Proprietà e diritti umani: matrimonio (im)possibile o prospettiva reale? In risposta a Vincenzo Sciarabba.
Ho accettato con sentimenti di autentica gratitudine l’invito di Vincenzo Sciarabba e Oreste Pollicino a scrivere due parole- due- sulla recensione del primo, ospitata nel blog del secondo, al mio libercolo sulla proprietà.
Già scrivendo il termine proprietà ho avuto ed ho la netta sensazione di quanto piccolo possa essere, in realtà, il contributo di un giovane (continuo a considerarmi tale anche se, voltandomi indietro, mi accorgo di esserlo un po’ meno di qualche anno fa, incalzato da chi ha, ormai, pieno titolo per potersi definire tale) su una “vicenda” che ha visto, a vario titolo ed in contesti temporali diversi, coinvolti i più autorevoli studiosi del diritto.
A mente fredda, del resto, la stessa scelta di pubblicare uno scritto sulla proprietà può apparire (e forse lo è davvero) azzardata per chi non ha titolo-legittimazione alcuna per inserirsi in scuole, di pensiero e non, o aggregazioni ideologico-politico-culturali.
Eppure, la legittimazione a mettere nero su bianco un compendio di prospettive (carico di incertezze che, tuttavia, non vorrebbero fare smarrire l’ipotetico lettore, ma semmai incoraggiarlo ad un nuovo modo di essere operatore del diritto) tutte proiettate a dimostrare la necessità di riannodare in modo diverso le teorie e le riflessioni sulla proprietà rispetto a qualche decennio fa, allacciandole più concretamente ai casi della vita ed ai fatti che continuamente prendono corpo in una realtà “liquida” e sempre più in movimento, ho ritenuto di cercarla (e di trovarla) nel modo, credo assolutamente personale, di intendere la funzione del giurista.
In fondo, le personali riflessioni sulla proprietà altro non sono che la negazione del canone della “certezza” che spesso alberga ed impera nel panorama di chi “scrive di diritto”.
E’ per questo che il libro non si rivolge – recte, non mira a rivolgersi- a chi queste certezze ha già maturato, sicuro che la forza (modesta) ed il rigore metodologico (minimo) delle argomentazioni esposte non riuscirebbero nemmeno marginalmente ad incrinare o anche solo a scalfire le granitiche certezze di chi, invece, “sa”.
Si rivolge, molto più modestamente, a chi ha ancora il desiderio, la voglia o la necessità di “farsi un’idea aperta”, magari non completamente strampalata, su un tema che continua ad avere un certo fascino, soprattutto se lo si rapporta alla persona, all’uomo.
Questo fascino, del resto, cominciai a sperimentarlo quando, a metà del 2006, provai a cimentarmi (ed a sistematizzare pregresse riflessioni) in modo forse un po’ più tecnico sullo stesso tema, incentrando l’attenzione su un fenomeno, quello dell’occupazione illegittima, che già a quell’epoca, ben prima delle famose “sentenze gemelle” della Corte costituzionale, mi portò ad accostare una “coppia” di concetti che ai più sarebbe apparsa, già all’epoca, quanto meno azzardata, se non tecnicamente scorretta e giuridicamente errata.
Dare, così, alle stampe, in quel periodo, un testo dal titolo “Occupazione acquisitiva. Tutela della proprietà e dei diritti umani” significava, in definitiva, dimostrare non certo che gli studi, gli orientamenti giurisprudenziali, le teorie fino a quel momento espresse avessero mal compreso i nessi ed i rapporti fra dominio e Uomo, ma soltanto che la mortificazione del diritto dominicale sistematicamente realizzata, soprattutto a livello nazionale, sulla (apparente) base di nobili (ed ancora oggi assolutamente insopprimibili) istanze solidaristiche, aveva prodotto una reazione talmente vigorosa delle istanze sovranazionali da rendere doverosa una rinnovata indagine su quei temi.
I successivi accadimenti, a partire dal 2007 e fino ai nostri giorni, hanno dimostrato, ai miei occhi, che quelle datate riflessioni andavano fatte, anche solo a futura memoria.
Oggi, quelle più recenti, sul nuovo statuto della proprietà, credo ancora di più non possano scindersi dal tema -più generale- dei diritti fondamentali, soprattutto quando ci si accorge di quanto ancora flessibile sia la portata del termine e, in definitiva, del “patrimonio” che la persona ha diritto ad avere tutelato.
Anche i recenti svolgimenti delle Corti, nazionali (Corte cost.n.264/2012) e sovranazionali (Corte dir.uomo Di Maggio c.Italia) dimostrano come il concetto di “bene” << non si limita solamente alla proprietà dei beni materiali e che è indipendente dalle classificazioni formali del diritto interno: altri diritti ed interessi che costituiscono un attivo, possono altresì essere considerati “diritti patrimoniali” e pertanto “beni”>>(Corte dir. uomo, 7 febbraio 2013, Fabris c. Francia, p.49).
In conclusione, l’idea “aperta” di proprietà, alla quale ricondurre un interesse sostanziale della persona che, come tale, viene protetto attraverso il riconoscimento di un diritto fondamentale ha propiziato un libro che, ancora una volta, come credo a ragione ha scritto Vincenzo Sciarabba, guarda al particolare con un occhio proiettato ai diritti dell’Uomo nella loro dimensione più generale.
Ecco che accostarsi alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani sul tema specifico e riflettere sul suo andamento ( non credo affatto né a rime obbligate, né a senso unico a favore del proprietario) in tema di proprietà consente, a me pare, di cogliere i tratti sistematici di un nuovo, assai impegnativo – ma non meno straordinariamente appagante- modo di essere giurista al passo con i tempi, partecipe in prima linea del processo di edificazione dei diritti.
Non è né può essere un libercolo a condurre gli ipotetici interessati verso le prospettive appena espresse.
Lo sono, invece, in modo efficace, le occasioni di scambio, di confronto, di dialogo tra Giudici, Avvocati e Accademici – fra i quali ultimi Antonio Ruggeri si è ritagliato un posto davvero speciale quanto a disponibilità (infaticabile) ad offrire le intuizioni feconde del suo pensiero ed a ricevere, in modo altrettanto aperto, stimoli e prospettive- che, senza farsi scudo del proprio profilo professionale e senza rimanere soffocati da talvolta stucchevoli precondizioni ideologiche, trovano forme, luoghi e contesti per “parlarsi alla pari”, per confrontarsi sui fatti e sulle ricadute di sistema che quei fatti continuamente e progressivamente determinano così innestandoli, questa volta sì, in una cornice di sistema composta da quei valori umani e culturali da almeno un cinquantennio incarnati nelle moderne Carte dei diritti -nazionali e sovranzionali- e nelle giurisprudenze che quotidianamente le vivificano.
La speranza è, dunque, che questa goccia non evapori, ma riesca a trovare con l’ausilio di Altri meglio attrezzati di chi scrive- fra i quali si inscrive pleno jure Vincenzo Sciarabba-, una sorgente nella quale, poi, serenamente disperdersi.
Tanto altro mi verrebbe da scrivere, ma mi accorgo di avere tradito la promessa iniziale e rubato tempo prezioso a chi legge.