Verso la realizzazione della tutela consolare dei cittadini europei nei Paesi terzi: la direttiva (UE) 2015/637
Il 20 aprile 2015 il Consiglio ha adottato la direttiva (UE) 2015/637 volta alla coordinazione e alla cooperazione delle misure concernenti la tutela consolare dei cittadini europei non rappresentati nei Paesi terzi. Si tratta innanzitutto di un atto tipico che abrogherà il 1° maggio 2018, termine ultimo per il recepimento della direttiva in questione, un atto atipico: la decisione 95/553/CE, adottata dai rappresentanti dei governi degli Stati membri riuniti in occasione del Consiglio del 19 dicembre 1995, non era un atto di diritto derivato bensì un accordo internazionale.
In questi vent’anni sono stati adottati numerosi atti atipici finalizzati all’assistenza consolare; si pensi, ad esempio, alla decisione 96/409/CE, adottata dai rappresentanti degli Stati membri in occasione del Consiglio del 25 giugno 1996, con lo scopo di istituire un documento di viaggio provvisorio, il libro verde della Commissione sulla protezione diplomatica e consolare dei cittadini europei nei Paesi terzi, COM(2007) 767 def. del 26 novembre 2006, il piano d’azione 2007-2009 della Commissione per un’efficace tutela consolare nei Paesi terzi: il contributo dell’Unione europea, COM(2007) 767 def. del 5 dicembre 2007 e le linee guida direttrici, sempre in tema di tutela consolare dei cittadini europei, che sono state elaborate dal Consiglio.
Si è reso necessario procedere all’adozione della predetta direttiva in seguito all’entrata in vigore del Trattato di Lisbona che ha sancito la tutela consolare e diplomatica dei cittadini europei non rappresentati nei Paesi terzi ai sensi dell’art. 23 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), un diritto riaffermato inoltre anche dall’art. 46 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. La direttiva 2015/637 presenta dei profili interessanti che meritano di essere analizzati.
In primo luogo, vi è un’affermazione del principio di non discriminazione sancito dall’art. 2, par. 1, dove si prevede che le ambasciate ed i consolati degli Stati membri forniscano tutela consolare ai cittadini non rappresentati alle stesse condizioni riservate ai loro cittadini. In secondo luogo, la nozione “assenza di rappresentanza” ex art. 6 dev’essere interpretata sia in senso formale (come ad esempio l’assenza di una sede diplomatica dello Stato di nazionalità all’interno di uno Stato non-UE alla quale il cittadino nazionale possa rivolgersi in caso di difficoltà) che in senso sostanziale (pur essendoci una rappresentanza diplomatica all’interno del Paese terzo, il cittadino non riesce a rivolgersi al consolato del proprio Paese perché non è facilmente raggiungibile e quindi viene assistito dal consolato di un altro Paese UE).
La dottrina ha tuttavia posto il problema del cosiddetto fenomeno del consular shopping, ovvero la possibilità per il cittadino europeo che si trova in un Paese terzo dove manca la rappresentanza diplomatica del suo Stato nazionale di scegliere di farsi assistere dal consolato o dall’ambasciata dello Stato UE in grado di offrirgli e garantirgli la migliore protezione. Tale fenomeno comporta un evidente rischio che consiste nel scaricare tutto il peso dell’assistenza consolare su un unico Stato UE. Questo rischio dovrebbe essere scongiurato grazie agli accordi conclusi tra gli Stati membri, notificati alla Commissione e al Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE) ed infine pubblicizzati dall’Unione europea e dagli Stati membri. Giova altresì ricordare che i casi di tutela consolare espressamente previsti dall’art. 9 della direttiva 2015/637 comprendono: l’arresto e la detenzione, la persona vittima di reato, incidente o malattia grave, necessità di aiuto o di rimpatrio nei casi di emergenza e la necessità di avere dei documenti di viaggio provvisori.
Uno degli più peculiari della direttiva 2015/637 riguarda il ruolo affidato alle delegazioni europee (SEAE) che contribuiscono a realizzare l’assistenza consolare dei cittadini europei presenti nei Paesi terzi. La decisione 2010/427/UE istituisce il SEAE ed affida alle delegazioni europee il delicato compito di assistere gli Stati membri nelle loro relazioni diplomatiche e nella protezione dei cittadini dell’Unione nei Paesi terzi. Alle delegazioni dell’UE non è richiesto di esercitare la tutela consolare, ma il loro ruolo si limita a garantire la cooperazione ed il coordinamento nelle situazioni di crisi ed urgenza. A loro sono infatti assegnate delicati compiti quali lo scambio di informazioni tra le varie autorità degli Stati membri, fornire un adeguato supporto logistico ed, in generale, comunicare qualsiasi informazione utile al fine di realizzare un’efficace tutela consolare.
Un altro aspetto originale e innovativo della suddetta direttiva è rappresentato dalla ripartizione degli oneri finanziari sostenuti per la l’adeguata assistenza dei cittadini europei non rappresentati. L’art. 14 della direttiva regola gli aspetti finanziari ed è articolato in due fasi. Nella prima fase il cittadino europeo si impegna a sottoscrivere un formulario (in allegato alla direttiva 2015/637) con il quale manifesta la volontà di restituire al suo Stato nazionale i costi relativi alla tutela diplomatica alle stesse identiche condizioni dei cittadini dello Stato membro che ha prestato l’assistenza; si tratta dunque dell’ennesima affermazione del principio di non discriminazione. Lo Stato nazionale potrebbe comunque decidere, di sua discrezione, di non chiedergli il rimborso delle spese. Nella seconda fase si prevede che lo Stato UE, il quale fornisce l’assistenza consolare, possa rivolgersi allo Stato membro di cittadinanza della persona assistita al fine di ottenere il rimborso dei costi della tutela consolare; tale rimborso è previsto che avvenga in tempi ragionevoli, non oltre i 12 mesi.
Il legislatore europeo ha altresì colto l’occasione per disciplinare le situazioni di crisi e di emergenza che possono verificarsi nei Paesi terzi (terremoti, attacchi terroristici, incidenti mortali causati dagli impianti nucleari, ecc…). In casi simili l’art. 13 della direttiva prevede due profili: uno di carattere operativo e l’altro di carattere finanziario. Per quanto riguarda l’aspetto operativo si evidenzia il ruolo chiave che ricopre lo “Stato pilota” al quale spetta l’onere di coordinare le operazioni e di aiutare i cittadini europei nei Paesi terzi; tale coordinazione dovrebbe avvenire grazie all’appoggio degli altri Stati membri e delle delegazioni del SEAE. I Paesi membri, d’altra parte, devono fornire allo “Stato pilota” impegnato nella coordinazione dei lavori tutte le informazioni utili relative ai propri cittadini non rappresentati e coinvolti in situazioni di crisi. In riferimento invece al carattere finanziario preme rilevare che lo Stato che fornisce l’assistenza diplomatica può chiedere al ministero degli affari esteri del cittadino assistito il rimborso delle spese sostenute per garantirgli l’assistenza diplomatica, anche in assenza della sottoscrizione del formulario da parte del cittadino non rappresentato (art. 15).
Un altro elemento della direttiva mette in rilievo il trattamento dei familiari non-europei di cittadini europei che accompagnano quest’ultimi in un Paese terzo e che, per svariate ragioni, necessitano della tutela consolare. A tal proposito, l’art. 5 della direttiva (UE) 2015/637 impegna gli Stati membri a fornire anche ai loro familiari non-cittadini europei la tutela consolare “dans la mêmes mesures et dans les mêmes conditions qu’elle serait accordée aux membres de la famille d’un citoyen de l’État membre prêtant assistance qui ne sont pas citoyen de l’Union, conformément au droit ou à la pratique national de cet État”. L’intenzione è quella di riaffermare, ancora una volta, il principio di non discriminazione.
Si evidenziano dunque degli aspetti non privi di originalità dal punto di vista contenutistico come, ad esempio, la tutela dei familiari non-cittadini europei, la ripartizione degli oneri finanziari ed il ruolo delle delegazioni UE con il compito di supportare l’operato degli Stati membri finalizzato alla tutela consolare. Vi è tuttavia una criticità in riferimento ai tempi di recepimento della direttiva: 3 anni al posto dei consueti 2 anni; una minor durata sarebbe stata probabilmente necessaria per rendere efficaci il prima possibile i diritti dei cittadini europei nei Paesi non-UE. Si spera comunque che, trattandosi di un tema fondamentale, sia rispettato il termine di recepimento della direttiva. Se ciò non dovesse avvenire i cittadini europei potranno sempre ricorrere alla Corte di giustizia in considerazione del fatto che questa direttiva produrrà degli effetti verticali, una volta scaduto il termine per il recepimento, data la chiarezza e la precisione dei termini usati. Agli Stati UE incombe intanto l’onere di adottare provvedimenti compatibili con la direttiva, di interpretare il diritto interno in maniera conforme ed eventualmente di risarcire i cittadini per i danni subiti dal mancato recepimento in tempo.
In conclusione si possono trarre alcune riflessioni alla luce delle osservazioni fin qui svolte.
Autorevole dottrina ha innanzitutto definito la cittadinanza europea come il diritto “più problematico e meno realizzato tra quelli enunciati” (C. Morviducci) ed è pertanto meritevole l’impegno del legislatore europeo finalizzato all’attuazione del diritto sancito dall’art. 23 TFUE. Si possono altresì comprendere le ragioni che hanno spinto il Consiglio ad adottare la direttiva 2015/637 dal momento che i 28 Paesi dell’Unione europea sono rappresentati soltanto in 3 Stati (Federazione russa, Stati Uniti, Repubblica popolare cinese).
Si è voluto quindi rafforzare la cittadinanza europea nella dimensione esterna, anche se si prevede che il processo che è stato avviato potrebbe risultare problematico sotto alcuni profili. È del tutto evidente che l’obiettivo dell’Unione europea che mira a proteggere i propri cittadini al di là delle proprie frontiere dovrà fare i conti con la riluttanza degli Stati membri restii a riconoscere la “tutela consolare europea”; la diplomazia resta, ancora oggi, un diritto storicamente considerato come uno degli “ultimates attributes of a sovereign State” (M.B. Moraru).
È infine opportuno evidenziare che la direttiva 2015/637 prevede “un’assistenza consolare” e non una vera e propria “protezione consolare”; si tratta di due concetti ben distinti da non confondere: ai sensi della Convenzione di Vienna sulle relazioni consolari del 1963 per protezione consolare si intende l’azione che il console svolge in favore dei suoi connazionali presso le autorità dello Stato territoriale nei confronti dei quali lo Stato territoriale abbia riservato un trattamento contrastante con gli obblighi giudici, mentre l’assistenza consolare implica un’attività svolta dal console a prescindere dalla violazione degli obblighi giudici da parte dello Stato nazionale. La dottrina auspica che in futuro si possa assistere ad un’evoluzione dall’assistenza consolare e diplomatica alla protezione (S. Izzo)