Una modulazione degli effetti temporali della sentenza Lexitor? Brevi riflessioni a margine della sent. n. 263/2022 della Corte costituzionale
Con sent. n. 263/2022 la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo, per violazione agli artt. 11 e 117 Cost., l’art. 11-octies, c. 2, d.l. n. 73/2021 (c.d. decreto Sostegni-bis) come convertito, nella parte in cui esso richiama delle norme secondarie contrarie alla sentenza Lexitor della Corte di giustizia ai fini dell’interpretazione dell’art. 125-sexies, c. 1, t.u.b. Si tratta di una pronuncia complessa e ricca di spunti interessanti: è pertanto opportuno ricostruire brevemente il quadro normativo sottostante.
Il diritto UE ha, attraverso la direttiva 2008/48/CE (che ha sostituito, abrogandola, la direttiva 87/102/CEE), armonizzato la legislazione degli Stati membri in materia di tutela dei consumatori nell’ambito dei contratti di credito; detta direttiva prevede, all’art. 16, para. 1, il diritto del consumatore all’adempimento anticipato degli obblighi derivanti dal contratto con contestuale riduzione del “costo totale del credito”, i cui elementi sono chiariti dall’art. 3, para. 1. La direttiva prevede in tal caso a favore del creditore il diritto ad un equo e oggettivamente giustificato indennizzo per gli eventuali costi sorti in relazione al rimborso anticipato.
Dopo il recepimento di detta direttiva la giurisprudenza di merito e l’Arbitro Bancario Finanziario (d’ora in avanti: “ABF”) hanno interpretato la disciplina sul rimborso anticipato nel senso che il diritto alla riduzione includesse esclusivamente i costi correlati alla durata del contratto e, dunque, soggetti a maturazione nel tempo (c.d. costi recurring), restando invece esclusi i costi sostenuti dal consumatore legati all’avvio della pratica di apertura del finanziamento (c.d. costi up-front). Tuttavia, di fronte alle condotte abusive emerse nella prassi dei finanziamenti, l’ABF e la Banca d’Italia hanno provveduto ad adottare provvedimenti volti a garantire una maggior trasparenza nei confronti dei consumatori; nei medesimi atti, esse confermavano l’interpretazione secondo cui la riduzione potesse avere ad oggetto i soli costi recurring.
A seguito di un rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 TFUE, la Corte di giustizia interveniva con la sentenza Lexitor (causa C-383/18, 1/9/2019) a chiarire l’incompatibilità tra la direttiva 2008/48/CE e la normativa polacca, che limitava la riduzione del costo del credito ai soli costi recurring escludendo quelli up-front. La direttiva in parola, infatti, sostituendo la nozione di “equa riduzione” del costo del credito – presente invece nell’abrogata direttiva 87/102/CEE – con l’espressione “riduzione del costo totale del credito” ha inteso garantire una più elevata tutela del consumatore, che verrebbe vanificata ove la riduzione fosse limitata ai soli costi legati alla durata del contratto. A partire da detta sentenza, nell’ordinamento italiano la giurisprudenza di merito e l’ABF hanno interpretato l’art. 125-sexies del t.u.b. in senso conforme alle indicazioni provenienti da Lussemburgo (estendendo quindi il diritto alla riduzione ai costi up-front).
È in tale contesto che si inserisce l’oggetto della questione di costituzionalità. Il d.l. n. 73/2021, infatti, è intervenuto con l’art. 11-octies ad innovare la formulazione dell’art. 125-sexies t.u.b. Da un lato, la disposizione prevede l’adeguamento al principio espresso in Lexitor per i contratti sottoscritti successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione; dall’altro, essa dispone che ai rimborsi anticipati dei contratti sottoscritti in data antecedente alla medesima data «continuano ad applicarsi le disposizioni dell’articolo 125-sexies (…) e le norme secondarie contenute nelle disposizioni di trasparenza e di vigilanza della Banca d’Italia vigenti alla data della sottoscrizione dei contratti». È proprio su questa previsione che si incentrano le censure del giudice a quo. Attraverso il richiamo ai provvedimenti della Banca d’Italia che avallavano l’esclusione dal diritto alla riduzione i costi up-front, il legislatore avrebbe invero introdotto una sostanziale limitazione temporale degli effetti della sentenza Lexitor, così integrando – secondo il Tribunale di Torino – un inadempimento sopravvenuto degli obblighi derivanti dall’appartenenza all’UE.
In questo dato si scorge il primo aspetto interessante della sentenza. Come noto, l’art. 134 Cost. stabilisce che la Corte costituzionale giudica della legittimità costituzionale delle sole leggi e degli atti aventi forza di legge. Ciò nonostante, vi sono alcune ipotesi in cui la Corte ritiene possibile superare il limite testuale dell’art. 134 e coinvolgere nel sindacato di costituzionalità delle norme di rango secondario (su tali ipotesi v. A. Melani). Nel caso in esame, ciò è reso possibile dalla costante giurisprudenza costituzionale che ammette che, qualora una norma regolamentare integri il contenuto precettivo di una norma primaria, che risulta in concreto applicabile solo attraverso le specificazioni operate dalla fonte secondaria, quest’ultima può rientrare nel sindacato di costituzionalità (così, ex multis, sentt. nn. 3/2019; 200/2018; 178/2015; 242/2014; 34/2011; 354 e 162/2008; 456/1994; 1104/1988). Si tratta, in altre parole, di casi in cui sussiste un «nesso stretto di specificazione qualificata» tra la norma primaria e la norma secondaria, che nel caso di specie è stato “stabilizzato” da una norma primaria successiva (sulle insidie che pur possono nascondersi dietro simili forzature del dettato costituzionale, fra cui un aggiramento del confine disegnato dalla Costituzione tra sindacato del giudice amministrativo e quello della Corte costituzionale, M. Massa).
Ebbene, per giungere alla pronuncia di accoglimento la Corte ricorda anzitutto che l’appartenenza all’UE impone di attenersi alle indicazioni rese in via pregiudiziale dalla Corte di giustizia. Le sentenze con quest’ultima chiarisce la corretta interpretazione del diritto europeo, avendo portata dichiarativa, dispiegano effetti retroattivi (salva l’ipotesi in cui sia la stessa Corte a derogare a tale regola) che agli Stati membri non è consentito modulare (da ultimo, cfr. ex multis CGUE C-177/20, Grossmania sulla portata dichiarativa delle sentenze europee e C-516/16, ETG sulla possibilità della CGUE di modulare gli effetti delle proprie sentenze). Ciò nonostante, il legislatore nazionale – secondo la ricostruzione della Corte – ha al contrario inteso cristallizzare, per i contratti sottoscritti antecedentemente alla l. di conversione n. 106/2021, l’interpretazione fornita dagli operatori finanziari all’art. 125-sexies t.u.b. prima che intervenisse la sentenza Lexitor, con l’obiettivo di preservare l’affidamento dei finanziatori e degli intermediari. Pertanto, conclude la Corte, il legislatore italiano è venuto meno all’obbligo derivante dal diritto europeo in virtù degli artt. 11 e 117 Cost. di conformarsi alle sentenze della Corte di giustizia. Di fronte a tale inadempimento, ricorda la Corte, il rimedio non può esaurirsi nella responsabilità civile dello Stato né, nel caso di specie, nella disapplicazione della norma interna in ragione delle caratteristiche della direttiva 2008/48/CE (che non ha effetti diretti nelle controversie orizzontali): spetta dunque al giudice costituzionale dichiarare l’illegittimità delle norme adottate dal legislatore in violazione del diritto europeo.
Vale la pena soffermarsi sulla decisione della Corte di trattenere la decisione e ricorrere all’annullamento con effetti erga omnes della disposizione oggetto di scrutinio interrogandosi su due questioni. La prima: sarebbe stato possibile inserirsi nel solco tracciato dalla sent. 67/2022 e dichiarare l’inammissibilità della questione suggerendo al giudice rimettente la disapplicazione dell’art. 11-octies? La seconda: sarebbe stato possibile, in alternativa, cercare di ritagliare un’ipotesi di compatibilità della norma nazionale con il diritto europeo coinvolgendo la Corte di giustizia con un rinvio pregiudiziale?
Quanto al primo interrogativo, occorre dare atto di diversi elementi. Anzitutto, va segnalato un filone giurisprudenziale emerso nella prassi (v. G. Mattace) che ha ritenuto di adeguarsi alle indicazioni contenute nella sentenza Lexitor della Corte di giustizia (qui un elenco delle sentenze di adeguamento). Talvolta, la scelta dei giudici orientatisi in tal senso si è fondata sul rilievo per cui neppure il richiamo alle disposizioni di trasparenza della Banca d’Italia avrebbe escluso in linea di principio i costi up-front dal diritto alla riduzione. Tale soluzione, tuttavia, non pare aver convinto la Corte costituzionale, che ha invece dato rilievo al fatto che dette disposizioni di trasparenza prevedessero che «le modalità di calcolo della riduzione del costo totale del credito a cui il consumatore ha diritto in caso di estinzione anticipata includono l’indicazione degli oneri che maturano nel corso del rapporto e che devono quindi essere restituiti per la parte non maturata» (c.vo aggiunto). Altra parte della giurisprudenza ha ritenuto invece opportuno, ai fini della disapplicazione, valorizzare la ratio di tutela del consumatore sottesa all’art. 16 para. 1 della direttiva 2008/48/CE: anche tale soluzione, tuttavia, non è stata fatta propria dalla Corte, che ha scelto invece di dare rilievo alla natura non self-executing della direttiva 2008/48/CE. Essa infatti ha ritenuto sussistere la piena applicabilità della “regola Granital” (cfr. sent. n. 170/1984), secondo cui le antinomie tra norme interne e norme europee prive di efficacia diretta vadano risolte attraverso una declaratoria di incostituzionalità. E ancora: la possibilità di disapplicare la disciplina italiana è stata ipotizzata in dottrina (U. Malvagna) invocando il principio di parità di trattamento tra i consumatori in base alla data di sottoscrizione del contratto di finanziamento. Potrebbe argomentarsi, tuttavia, che anche dare rilievo a detto principio avrebbe potuto portare ad una declaratoria di incostituzionalità: valorizzando la parità di trattamento (e, con essa, l’art. 3 Cost., pur invocato dal Tribunale di Torino con una censura dichiarata inammissibile dalla Corte per difetto di motivazione in ordine alla non manifesta infondatezza), infatti, sarebbe comunque venuta in rilievo un’ipotesi di contestuale violazione di parametri contenuti nella CDFUE e nella Costituzione, con conseguente intervento necessario della Corte costituzionale sulla scorta del filone inaugurato dalla sent. n. 269/2017 (sulla cui persistente attualità N. Zanon).
Quanto, invece, al secondo interrogativo, ci si potrebbe chiedere se fosse stato possibile per la Corte costituzionale: a) richiedere un intervento della Corte di giustizia che chiarisse l’effettiva portata della direttiva in esame quanto allo specifico profilo di interesse per la vicenda (G. Alpa); b) invocare la tutela dell’affidamento dinanzi alla Corte di giustizia quale principio legato all’identità costituzionale italiana, come tale idoneo ad assurgere a controlimite rispetto all’efficacia temporale retroattiva della sentenza Lexitor.
L’ipotesi sub a) appare improbabile ove si consideri il rilievo che nella motivazione assume l’assenza di efficacia diretta della direttiva 2008/48CE (che non esplica effetti diretti nei rapporti tra privati come quelli originati dai contratti di credito). Come noto, infatti, nel corso del tempo la Corte di giustizia ha chiarito che non solo i Trattati (C-26/62, Van Gend en Loos), ma anche il diritto derivato contenuto in atti diversi dai regolamenti possa essere dotato di efficacia diretta. Per quanto riguarda specificamente le direttive, queste possono avere efficacia diretta laddove i) non siano state recepite correttamente o per tempo; ii) le norme in esse contenute siano sufficientemente precise ed incondizionate (C-41-74, Van Dyun). Ciò nonostante, la Corte UE è sempre stata costante nel ribadire che tale effetto diretto opera solo in senso verticale, e pur sempre dal basso verso l’alto (dai cittadini nei confronti degli Stati membri: ex multis, C-148/78, Ratti): pertanto, è da escludere che le disposizioni contenute in delle direttive possano esplicare effetti diretti orizzontali (i.e. nelle controversie tra privati: ex multis, C-91/92, Faccini Dori).
D’altro canto, quanto all’ipotesi sub b), occorre in effetti dar conto del fatto che tra gli interessi in gioco nella vicenda in esame figurano anche quelli di quei finanziatori che hanno sottoscritto contratti di credito facendo affidamento sull’esclusione dei costi up-front dal diritto alla riduzione. Ciò nonostante, la soluzione del rinvio pregiudiziale volto ad invocare, implicitamente o meno, un vero e proprio controlimite – scelta che, per le implicazioni che comporta, richiede adeguata e cauta ponderazione – sarebbe forse apparsa azzardata. Del resto, è proprio la Corte costituzionale che parrebbe aver fatto propria la tesi della Corte di giustizia secondo cui sarebbe da escludere una sproporzione del pregiudizio subìto dai finanziatori grazie ai contrappesi dell’equo indennizzo previsto per i costi legati alla riduzione del credito e dell’incasso anticipato della somma erogata.