Una Basic Structure Doctrine anche in Israele?

Con un verdetto monumentale (oltre 740 pagine) e molto controverso, l’Alta Corte di Giustizia israeliana ha bocciato, il 1° gennaio 2024, l’emendamento alla Basic Law sul Giudiziario approvato dalla Knesset a luglio dell’anno precedente. Il testo, noto come Reasonableness Bill, limitava il controllo giudiziario sul Governo, ed era uno dei punti chiave del judicial overhaul portato avanti dall’Esecutivo Netanyahu. Si configura così, nella storia giuridica dello Stato di Israele, il primo caso di un emendamento ad una Legge Fondamentale israeliana annullato dalla Corte. Proprio per la sua unicità, la sentenza – una delle più importanti della storia costituzionale del paese e paragonabile, per rilevanza, alla United Mizrahi Bank v. Migdal Cooperative Village (1995) – è destinata a far lungamente discutere e a cambiare, nuovamente, i rapporti tra i supremi organi costituzionali del paese.
Con un voto che sarà certamente ricordato a lungo, e a cui per la prima volta tutti i 15 giudici hanno partecipato (la Corte è solita invece lavorare in composizione ridotta), la Corte si è spaccata quasi a metà, con otto giudici che hanno votato a favore dell’annullamento della legge, e sette per il suo mantenimento. I giudici che si sono espressi favorevolmente all’annullamento dell’emendamento sono: l’ex Presidente Esther Hayut (che ha terminato il proprio mandato il 16 ottobre 2023), l’attuale Presidente ad interim Uzi Vogelman (che eserciterà le funzioni di Presidente fino alla convocazione del Judicial Selection Committee da parte del Ministro della Giustizia Levin e all’elezione di un nuovo Presidente), Isaac Amit, Anat Baron, Daphne Barak-Erez, Chaled Kabub, Ofer Grosskopf e Ruth Ronnen. Viceversa, i giudici che si sono espressi a favore del testo sono Noam Sohlberg, Yosef Elron, Yechiel Meir Kasher, Yael Willner, Alex Stein, David Mintz e Gila Canfy Steinitz. L’ex Presidente della Corte Suprema Esther Hayut, insieme alla giudice Anat Baron, ha recentemente raggiunto il limite del pensionamento obbligatorio fissato al compimento dei 70 anni ma, come previsto dalla legge, ha avuto tre mesi di tempo per presentare la propria opinion sui casi affrontati durante il suo mandato.
La sentenza, vero e proprio terremoto costituzionale, ha un valore che trascende sicuramente quello del “solo” emendamento annullato e stabilisce il precedente di enorme portata per la giurisprudenza israeliana secondo il quale l’Alta Corte di Giustizia ha il diritto, in circostanze limitate, di intervenire ed annullare non solo la legislazione primaria ma anche le Leggi Fondamentali, dal valore costituzionale.
Oltre alla decisione circa l’incostituzionalità del Reasonableness Bill, un’ampia maggioranza di giudici – 12 su 15 – ha infatti stabilito che la Corte possiede l’autorità di esercitare un controllo giurisdizionale sulle leggi Fondamentali di Israele e che queste ultime possano essere sottoposte a sindacato di costituzionalità quando si pongono in contrasto con i principi supremi ricavabili dalla formula di Israele come “Stato ebraico e democratico” (definizione, quest’ultima, che risale, in termini sostanziali, alla Dichiarazione di Indipendenza israeliana del 1948 e successivamente formalizzata negli anni ’80). Anche se non esistono differenze procedurali nelle modalità di approvazione di una Legge Fondamentale rispetto ad una legge ordinaria, quando la Knesset approva una Legge Fondamentale si ritiene che lo faccia in ragione della sua autorità di Assemblea Costituente e il testo assume dunque un peso “quasi-costituzionale”. Di conseguenza, l’Alta Corte è stata finora estremamente riluttante nel dichiarare incostituzionali le Leggi Fondamentali, (nemmeno, significativamente, nel 2021, in relazione alla dibattuta Basic Law: Israel as the Nation State for the Jewish People).
Tuttavia, la Corte ha sviluppato negli anni due dottrine relative alla possibilità di intervenire sulle Leggi Fondamentali. La prima attiene al cosiddetto abuso dell’autorità costituente, da invocare nei casi in cui la Corte ritenga che una nuova Legge Fondamentale, o un emendamento ad una già esistente, sia stata approvata dal Parlamento per obiettivi politici e a breve termine (è questo il caso del 2021, quando un emendamento alla Basic Law: The Knesset – approvato l’anno precedente al fine di concedere alla turbolenta coalizione Likud-Kahol Lavan più tempo per risolvere le sue divergenze politiche prima che la Knesset venisse automaticamente sciolta – fu ritenuto dalla Corte come un abuso di autorità costituente, decidendo comunque di non dichiarare la legge incostituzionale).
La seconda dottrina è quella relativa agli unconstitutional constitutional amendments, che violano altre Leggi Fondamentali o vengono considerati in contrasto con l’essenza stessa di Israele come Stato “ebraico e democratico”, come delineato nella Dichiarazione di Indipendenza. A questo proposito (in quella che viene ormai conosciuta come “Dottrina Hayut”), l’ormai ex Presidente della Corte Suprema ha scritto nel 2021, nel suo parere sui ricorsi contro la Basic Law: Israel as the Nation State for the Jewish People, che l’unica fattispecie in cui la Corte potrebbe dichiarare incostituzionale una Legge Fondamentale “in questa fase del percorso costituzionale israeliano, è una legge della Knesset che modifichi il principio costituzionale che definisce Israele come Stato “ebraico e democratico”.
Precisamente questa dottrina, invero non nuova al dibattito costituzionale israeliano (e già sostenuta dall’ex Presidente della Corte Barak), richiama (seppur nelle ovvie distinzioni) altre esperienze ordinamentali in materia di limiti all’emendabilità costituzionale. In alcuni paesi, come l’India, la Corte ha infatti sviluppato l’idea di una “inemendabilità implicita”, ovvero limitazioni implicite al potere di emendamento costituzionale – anche in assenza di limitazioni esplicite – che derivano dalla struttura fondamentale della costituzione e dalla sua identità (la cosiddetta Basic Structure Doctrine). Un modello simile è inoltre la “Doctrina de la sustitución de la Constitución” colombiana che distingue tra emendamento costituzionale e sostituzione costituzionale al fine di proteggere gli elementi considerati essenziali della costituzione.
Se un simile dibattito è stato fin ad oggi ritenuto inapplicabile al contesto israeliano – che, va ricordato, è ancora “in the making” e caratterizzato da un costituzionalismo progressivo e “a tappe” – e che dunque non possa darsi una “basic structure without a full structure”, l’inedito intervento della Corte sulla Reasonableness Law apre alla suggestione che l’esperienza indiana possa rappresentare un modello e che dunque possa esistere una Basic Structure Doctrine anche nel contesto israeliano.
È proprio l’ex Presidente della Corte Suprema Esther Hayut a suggerire questa interpretazione, quando sottolinea nella sua opinion che «oggi dobbiamo compiere un ulteriore passo e stabilire che in casi rari in cui viene danneggiato il ‘cuore pulsante della ‘Costituzione Israeliana’ – questa Corte è autorizzata a dichiarare la nullità di una Legge Fondamentale che in qualche modo ha superato l’autorità della Knesset. Questo, alla luce delle caratteristiche strutturali uniche del sistema giuridico israeliano, e considerata la prassi giuridica degli ultimi anni che evidenzia la facilità con cui è possibile modificare radicalmente il nostro sistema di base» (trad. dell’autore, pag. 53 della sentenza).
Da segnalare nella sentenza anche l’opinion del Giudice Amit, che non può in questa sede essere riportata per questioni di spazio e che sottolinea il deficit democratico israeliano (parlando, a pag. 221, di una «democrazia non sofisticata»), chiarendo però come il testo annullato dalla Corte muovesse nella direzione opposta a quella del rafforzamento democratico e aumentasse il rischio di un deterioramento della separazione dei poteri, di aumento della corruzione nel servizio pubblico e di un generale sbilanciamento del sistema a favore dell’Esecutivo.
Tre dei giudici più conservatori dell’Alta Corte – Noam Sohlberg, David Mintz e Yosef Elron – si sono invece opposti al principio secondo cui la Corte può esercitare un controllo giurisdizionale sulle Leggi Fondamentali. Tuttavia, Elron, che si propone come candidato alla presidenza della Corte Suprema, non ha escluso «l’esistenza di un’eccezione ristretta che si riferisce solo a casi eccezionali ed estremi di violazione dei diritti fondamentali dell’individuo e in ogni caso solo come ultima risorsa» (trad. dell’autore, pag. 160 della sentenza).
Tra le immediate reazioni alla sentenza, è opportuno menzionare quella del Ministro della Giustizia Yariv Levin, artefice della riforma giudiziaria, che ha (nuovamente) accusato i giudici di «assumere, con questo atto, tutte le autorità che in una democrazia sono divise tra i tre poteri dello Stato» e di creare una situazione «in cui è impossibile legiferare o prendere qualsiasi decisione nella Knesset o nel governo senza l’accordo della Corte Suprema, conseguentemente privando milioni di cittadini della loro voce». In un altro post, Levin sottolinea che «la decisione dei giudici della Corte Suprema di pubblicare il verdetto di una legge così controversa anche tra i membri della Corte stessa, mentre i nostri combattenti rischiano la loro vita al fronte, è un atto che ferisce l’unità del nostro popolo ora più che mai necessaria. L’improvvisa cancellazione della legislazione della Knesset è un’ulteriore prova dell’urgente necessità di un reale equilibrio tra le autorità. In una democrazia piena è impossibile impedire al popolo di realizzare la propria volontà e cancellare di volta in volta le decisioni dei suoi eletti». Lo Speaker della Knesset Amir Ohana ha invece scritto sui suoi profili social che «la decisione della Corte contraddice il desiderio di unità del popolo, specialmente in tempo di guerra», e che «è ovvio che la Corte Suprema non abbia alcuna autorità per annullare Leggi Fondamentali, ma è ancora più evidente che non possiamo affrontare questo mentre siamo nel bel mezzo di una guerra».
Da sottolineare anche la riflessione di Gilad Kariv, deputato di Avodà (partito laburista di centrosinistra), che sul suo profilo X ha dichiarato: «la pubblicazione dell’importante e coraggiosa sentenza dell’Alta Corte di Giustizia non è un momento di celebrazione, ma una testimonianza della profondità della crisi costituzionale, politica e sociale creata dal Governo e dalla coalizione, del dilaniamento della società israeliana e dell’attacco senza precedenti all’indipendenza e allo status del sistema giudiziario».
Specifica attenzione deve essere prestata ai numeri della sentenza, che non devono trarre in inganno: se, come già indicato sono 8 su 15 i giudici che hanno ritenuto incostituzionale il Reasonableness Bill, sono almeno 3 i giudici che nelle loro opinions ricorrono ad una sentenza interpretativa di rigetto. I numeri dei giudici contrari all’emendamento (pur nelle differenze) sono dunque in realtà 11 su 15, con tre di questi che tuttavia preferiscono una sentenza interpretativa piuttosto che di incostituzionalità. Allo stesso modo, sono ben 12 su 15 i giudici favorevoli all’ipotesi di sindacato costituzionale per le Basic Laws (addirittura 13 se si considera Elron che si è detto favorevole solo in casi eccezionali). Anche senza contare le voci dei giudici Hayut e Baron (che come indicato, hanno raggiunto il limite del pensionamento e in base alla legge avevano tre mesi per formulare la loro opinion sui casi di cui avevano fatto parte) risulta che l’attuale Corte possa contare su una maggioranza di 11 a 2 a favore di un controllo giurisdizionale della Corte sulle Leggi Fondamentali che si basi sulla già richiamata “dottrina Hayut”.
Come già chiarito, la sentenza del 1° gennaio ha, e avrà, un valore dirompente per l’ordinamento israeliano. Come effetto più immediato, la decisione della Corte sferra un colpo decisivo al Governo Netanyahu e alla sua coalizione di destra radicale, già provata da un drastico calo di consensi dopo gli eventi del 7 ottobre 2023. Il Premier, forse più interessato alla prossima sentenza della Corte sulla Recusal Law, ha al momento accantonato le tematiche della riforma giudiziaria e sembra piuttosto intenzionato a riconquistare il consenso perso sul terreno di guerra.
Sullo sfondo della durissima lotta tra il Governo e la Corte sul tema della separazione dei poteri nell’ordinamento, a cui si è assistito per tutto il 2023, la sentenza rappresenta infatti un’enorme vittoria per le numerosissime voci che sostenevano che il programma di riforma giudiziaria radicale del Governo fosse un’iniziativa regressiva per l’ordinamento israeliano e pericolosa per la democraticità delle istituzioni (già provate dalla nuova fase di guerra). In secondo luogo, la sentenza avvicina l’ordinamento israeliano a quelli che hanno già sviluppato una teoria di non emendabilità dei principi fondamentali delle loro Costituzioni, sottraendo quindi al potere politico alcuni “territori” costituzionali ritenuti inviolabili e ribadendo pertanto che non esistano reali alternative ai modelli di democrazia costituzionale. La decisione in analisi, quindi, passerà alla storia non tanto per l’annullamento dell’emendamento sulla Ragionevolezza, per quanto drammatica, ma per aver sostenuto a grande maggioranza il principio dell’inviolabilità della democrazia costituzionale israeliana e dei necessari limiti che un ordinamento democratico deve porre in essere anche verso le proprie maggioranze politiche elette. Dopo un braccio di ferro tra l’Esecutivo e la Corte durato oltre un anno, i giudici hanno dichiarato con forza (pur provenendo da background culturali e ideologici molto diversi) che la Knesset non è onnipotente, che il legislatore ed il Governo debbano essere soggetti ai vincoli supremi dell’ordinamento e che le maggioranze politiche contingenti non possano minacciare i diritti dell’individuo e delle minoranze.
Infine, non può non essere sottolineato come un simile risultato di salvaguardia delle istituzioni trovi radici anche nella massiccia mobilitazione nazionale a sostegno del ramo giudiziario. Nonostante la Corte israeliana non sia avvezza ad una comunicazione social e informale ma abbia sempre optato per comunicazioni ufficiali e istituzionali, è riuscita nei mesi trascorsi in una complessa opera di pedagogia costituzionale, ottenendo un ampio sostegno da parte della popolazione che non deve essere trascurato nell’economia di questa analisi. È proprio questo rapporto stretto e forte che rappresenta forse la lezione più significativa della recente sentenza, diventando ideale modello anche per i moltissimi altri ordinamenti contemporanei che con preoccupante frequenza affrontano fenomeni di regressione costituzionale.