Torra inabilitato, la Catalogna torna nel caos istituzionale e si avvia a nuove elezioni
Il 28 settembre il Tribunal Supremo ha condannato Quim Torra, Presidente della Generalitat della Catalogna, per il reato di disobbedienza e ha confermato l’inabilitazione di 18 mesi dalle cariche pubbliche, facendolo decadere da capo del governo catalano.
Prima di analizzare la sentenza, è opportuno compiere un breve riepilogo dei fatti. Il 19 dicembre 2019 Torra è stato condannato ad un anno e mezzo di inabilitazione (e a una sanzione pecuniaria) per disobbedienza commessa da un’autorità o un funzionario pubblico ai sensi dell’art. 410 Codice penale spagnolo (si vedano, più ampiamente, F. BIAGI, Catalogna: alcune riflessioni intorno alla vicenda politico-giudiziaria di Quim Torra e A. MASTROMARINO, Un nuovo capitolo arricchisce la saga catalana: l’interdizione di Quim Torra, in Quaderni Costituzionali, n. 2/2020, pp. 408-411). Il Tribunal Superior de Justicia de Cataluña ha ritenuto Torra colpevole perché durante la campagna elettorale per le elezioni nazionali dell’aprile 2019 si rifiutò di rimuovere i manifesti a favore dei “presos polítics” dal balcone del Palau de la Generalitat, come aveva richiesto la Junta Electoral Central. Pochi giorni dopo, venerdì 3 gennaio la Junta Electoral Central ha deciso la decadenza di Torra dalla carica di deputato catalano. La questione, oltre ad essere politicamente delicata, è giuridicamente interessante visto che la Junta Electoral Central ha preso questa decisone nonostante la condanna inflitta a Torra non fosse definitiva. La Junta si è basata sull’art. 6, comma 2, lett. b) della Ley Orgánica del Régimen Electoral General che regola l’ineleggibilità (e viene applicato anche per quella sopravvenuta) prevedendola, altresì, per i condannati con sentenza, anche se non definitiva, per i delitti di ribellione, terrorismo, contro la Pubblica amministrazione o le istituzioni dello Stato, quando la stessa sentenza abbia stabilito la pena dell’inabilitazione dell’esercizio del diritto di voto passivo, l’inabilitazione assoluta o la sospensione da un ruolo pubblico nei termini previsti dalla legislazione penale. Al contrario, l’articolo 24 del Regolamento del Parlament prevede che le cause di perdita dello status di deputato sono la rinuncia espressa, una sentenza definitiva che annulli l’elezione, il decesso, l’incapacità dichiarata con sentenza definitiva, il termine del mandato oppure una condanna definitiva di inabilitazione.
In un primo momento, il Parlament catalano ha difeso Torra e ha approvato una risoluzione a firma delle tre forze indipendentiste (Junts por Catalunya, Esquerra Republicana e Candidatura d’Unitat Popular) che contestava la sentenza della Junta Electoral Central, ritenuto un organo amministrativo impossibilitato ad interferire sullo status di deputato. Il 27 gennaio il Presidente del Parlament, Torrent, ha dichiarato decaduto Torra. Torrent ha sottolineato l’ingiustizia della sentenza e della questione giudiziaria, ma il suo primo compito era quello di salvaguardare la funzionalità dell’organo (contro possibili ricorsi per il voto dello stesso Torra), dovendo, quindi, recepire la decisione della Junta (forse anche per non essere incriminato anche lui di disobbedienza).
La situazione ha comunque portato a grandi tensioni nella coalizione indipendentista, creando la frattura tra Junts por Catalunya (Torra) ed Esquerra Repubblicana (Torrent), crisi che era già stata anticipata nel Congreso de los Diputados a Madrid. Poche settimane prima, infatti, il partito di Torrent e Junqueras è stato decisivo, con la propria astensione, per la nascita del governo Sánchez, iniziando ad allontanarsi dall’unità indipendentista. Torra ha quindi dichiarato terminata l’esperienza di governo e ha annunciato nuove elezioni dopo l’approvazione della legge di bilancio. I pochi mesi entro cui dichiarare la data delle nuove elezioni si sono allungati per la pesante emergenza Coronavirus che ha colpito la Catalogna e Barcellona e Torra ha preferito farsi inabilitare che convocare prima le elezioni, forse anche per tirare il volano per le elezioni catalane, che saranno decisive e fondamentali per il futuro della spinta indipendentista.
Il Tribunal Supremo ha confermato, all’unanimità, che il comportamento di Torra ha violato la neutralità a cui sono tenute le pubbliche amministrazioni, soprattutto durante il periodo elettorale (recurso de casación n. 203/2020). Il Tribunal è arrivato a pronunciarsi sulla questione poiché Torra ha presentato appello contro la sentenza di condanna emessa dal Tribunal Superior de Justicia de Cataluña. Per il Supremo, però, “no es la exhibición de determinados símbolos o pancartas de una determinada opción política, sino su utilización en periodos electorales desobedeciendo lo dispuesto por la Junta Electoral Central que, en el ejercicio de sus funciones garantiza la transparencia y objetividad de los procesos electorales, prohibió su utilización, con vulneración del principio de neutralidad a que deben sujetarse las administraciones en general, contraviniendo órdenes expresas de aquella Junta Electoral”. Inoltre, il processo non va a comprimere la libertà di manifestazione del pensiero, riconosciuta espressamente anche in capo al vertice politico, ma il mancato rispetto da parte di un organo pubblico di una decisione della Junta Electoral, che mirava a ristabilire la neutralità durante la finestra elettorale. Infatti, sufragio libre andrebbe ricollegato alla necessità di “un sistema elettorale che garantisca una cornice o istituzionale di neutralità in cui il cittadino può con assoluta libertà, senza interferenze di alcun potere pubblico, decidere i termini e la portata della sua partecipazione politica”. Infine, il Supremo ha ritenuto proporzionale la sanzione dell’inabilitazione per il reato di disobbedienza, anche se riconducibile solo all’affissione di bandiere (sul valore di quest’ultime lo stesso Tribunal si è pronunciato il 1° giugno scorso, per un approfondimento sia permesso il rinvio a M. CECILI, La línia del front”. La battaglia identitaria del catalanismo si combatte per le bandiere, in Forum di Quaderni Costituzionali, 2020).
Una lettura critica della sentenza potrebbe partire dal significato attribuibile alla bandiera e se quelle esposte dal Palau de la Generalitat potessero essere riconducibili ad una fazione politica. I manifesti esposti da Torra erano in favore della libertà dei c.d. “presos politics”, cioè coloro che hanno partecipato attivamente al referendum indipendentista del 2017 e che per questo sono stati condannati (come Junqueras che dovrà scontare una pena di 13 anni in carcere) o sono fuggiti all’estero per evitare l’arresto (come Puigdemont, l’ex presidente della Generalitat).
Le bandiere esposte erano riconducibili ad una fazione politica (non erano i simboli propri dei partiti indipendentisti) oppure erano di mera vicinanza personale a politici condannati per le proprie idee? Certo si potrebbe rispondere che sono le persone a portare le bandiere e che quest’ultime sono sempre ricollegabili ad un significato ideologico. Il tema è complesso e resta il dubbio se sia proporzionata l’inabilitazione di un politico per essersi rifiutato di non esporre bandiere o effigi non esplicitamente ricollegate ad un partito.
In Catalogna ora la battaglia si sta concentrando sulla libertà di espressione del pensiero, che viene considerata violata dalla sentenza del Supremo (da qualche mese dal Palau de la Generalitat c’è un manifesto in favore della “llibertat d’opinió i d’expressió”). Pesa anche il fatto che tutti gli ultimi tre presidenti catalani siano decaduti per una decisione giudiziaria (Artur Mas, condannato dalla Corte dei conti spagnola a risarcire allo Stato la somma di 5,2 milioni di euro per malversazione, a causa dell’impiego illegittimo di fondi statali per l’organizzazione del referendum consultivo indipendentista catalano del 2014, Carles Puigdemont e, per l’appunto, Torra).
È ovviamente stata forte la vicinanza a Torra dal mondo catalano e catalanista. Puigdemont ha affermato che “uno Stato corrotto dalla Corona sotto accusa continua a decidere per conto dei catalani. Ancora una volta, lo Stato spagnolo interferisce con le nostre istituzioni democratiche”. Anche Torrent ha voluto sottolineare come “inabilitare il presidente della Generalitat per l’esercizio del diritto della libertà di espressione è inappropriato in un sistema democratico. La repressione non intaccherà la maggioranza di questo popolo”. I partiti di opposizione in Catalogna (Partito socialista, Ciudadanos e Partito popolare) invece hanno esultato e sperano di accelerare questa fase di stallo istituzionale. Bisogna segnalare che la sera del 28 settembre ci sono state proteste e scontri in tutta la Catalogna e in particolare a Barcellona (si è reso necessario l’intervento dei Mossos d’esquadra, la polizia catalana).
Ora il posto di Torra è stato preso da Pere Aragonès (ERC), ma ricopre solo la carica di facente funzioni di Presidente e pare che JxCat e ERC abbiano concordato che Aragonès non compia nessuna decisione senza l’accordo preventivo dei partiti. Il Parlament catalano ora dovrà tentare di eleggere un nuovo presidente, ma appare improbabile che ci riesca. Dopo due mesi dall’apertura delle votazioni il Parlament sarà sciolto ex lege e saranno convocate nuove elezioni, che potrebbero quindi tenersi non prima del prossimo febbraio (si parla del 7). Intanto Torra ha chiesto al Tribual Constitucional una sospensione “urgente” (che non sarà probabilmente concessa) della sua inabilitazione ed è pronto a ricorrere alla Corte EDU. I prossimi mesi saranno decisivi sia per i rapporti tra i due maggiori partiti indipendentisti sia per analizzare se le istanze catalaniste resteranno maggioritarie all’interno della società catalana.
In Spagna si sta realizzando una giurisdizionalizzazione estrema della questione catalana. Sarebbe necessario, invece, impegnarsi in un dialogo effettivamente democratico tra Estado e Catatunya, per far rientrare la lotta politica in binari strettamente pacifici. L’eccessivo uso del diritto penale per trattare i problemi politici (come sta facendo Madrid) può portare ad una situazione con effetti imprevedibili. La pacificazione deve avvenire e ciò potrebbe accadere presto, anche perché la crisi politica che ha portato alle dimissioni di Torra potrebbe spaccare definitivamente la già instabile coalizione indipendentista, con la possibilità di un’alleanza post-elettorale tra i socialisti e il partito di Junqueras, che pur essendo stato condannato a 13 anni di reclusione resta un perno per la politica catalana e nazionale.