«Tanto peggio per i fatti». Sipario sulla Presidenza Voßkuhle: il caso Quantitative Easing di fronte al Bundesverfassungsgericht
1.La scadenza del mandato dell’attuale Presidente del Bundesverfassungsgericht certo non passerà inosservata. Era Vicepresidente quando, da Presidente del Secondo Senato, firmò il Lissabon Urteil, avviando una fase di grande attivismo del Tribunale di Karlsruhe in materia europea (e non solo). I controlli di identità, nella forma dell’esame ultra vires e di identità in senso stretto, progressivamente si sono definiti e precisati, divenendo sempre più, potenzialmente, una minaccia anche per l’uso parallelo dei cataloghi così come delineatosi a partire da Solange II. In tal senso si può fare riferimento a una celebre decisione del dicembre 2015 su un mandato d’arresto europeo. Altra svolta, tutt’altro che indolore, fu la decisione di esercitare direttamente il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, prima nel caso OMT, poi nel caso QE, sempre con riferimento ad omissioni degli organi costituzionali interni in difesa delle prerogative della democrazia a livello statale e dello stato di diritto (o più esattamente del Rechtsstaat). Probabilmente, gran parte del problema è proprio a questa altezza: nella difesa “lancia in resta” della mittelbare Demokratie, secondo i paradigmi della Mittelbarkeitslehre, dimostrando continuamente una marmorea sfiducia non tanto verso la capacità dell’Unione di difendere i diritti fondamentali, ma di essere veramente democratica, in quanto e nella misura in cui strutturalmente e funzionalmente caratterizzata da vari deficit in tal senso.
A novembre, le affermazioni del Primo Senato nelle sue dirompenti decisioni sul diritto all’oblio devono aver rotto il già fragile equilibrio che reggeva la cautela che aveva in qualche modo guidato l’azione delle maggioranze nel Secondo Senato in questi anni, portando i giudici a ritenere colma la misura. Del resto, la forza, in particolare, della sentenza Recht auf Vergessen II è tale da suscitare, inevitabilmente, una reazione. In quelle decisioni, la difesa dei bilanciamenti intra-sistemici atterra sul desiderio di puntellare la dottrina della mittelbare Drittwirkung nazionale così come elaborata storicamente nella dogmatica tedesca. E se quella decisione è stata guardata in modo interlocutorio a livello europeo, troppi i dati da considerare in concreto nella esperienza di là da venire, essa appare segnata da una solida continuità proprio con l’idea di difendere il parallelismo tra i parametri. I controlli di identità, invece, come dimostra OMT, preludono a una chiara rottura di quel parallelismo, minando tale tutt’altro che armonica suddivisione di compiti e prospettando un assetto in cui gli atti di istituzioni europee possono ben essere parametrati a quei principi immodificabili del Grundgesetz che ne costituiscono l’identità costituzionale. In effetti, uno scenario più simile a Solange I che non a Solange II. Se il passato è solo il prologo, c’è molto da aspettarsi.
Nella decisione del 5 maggio (qui), come si dirà, il Tribunale afferma con veemenza come il modo in cui la Corte di Giustizia ha utilizzato il controllo di proporzionalità appare sostanzialmente privo di significato («im Grunde leerlaufen»), non garantendo un reale controllo sugli attori istituzionali coinvolti al punto da giustificare una rottura del principio di attribuzione. Sembrano, in definitiva, i due Senati seguire due strade almeno in parte divergenti e potenzialmente conflittuali, nella misura in cui il Secondo preferisce porre il parallelismo dei parametri in sordina, ampliando i casi sottoponibili a controllo di identità, mentre il Primo punta ad estendere il suo ruolo di costruttore comprimario di una solida Grundrechtsgemeinschaft, per quanto tutt’altro che pacificata e piena di ostacoli. Ma tutto ciò ci porterebbe troppo lontano.
Prima di entrare brevemente nel merito, ancora in via preliminare, tuttavia, è necessario richiamare un’altra recente decisione del BVerfG, Secondo Senato, meno commentata, ma non per questo meno problematica sul cammino dell’integrazione europea. È la pronuncia, del 13 febbraio, che aveva ad oggetto la legge di ratifica sul Tribunale dei brevetti: con essa, il BVerfG ha dichiarato l’incostituzionalità della legge impugnata in quanto non approvata con la maggioranza dei 2/3, così come prescrive l’art. 23 GG, equiparando quel Trattato che ne era alla base al trasferimento di diritti di sovranità, pur essendo solo collegato indirettamente al diritto europeo in senso stretto.
2.Tornando ai temi del nostro breve commento, dopo la sentenza Weiss del 2018 della Corte di Giustizia, che aveva ritenuto conforme al diritto dell’UE il QE, toccava ora di nuovo al BVerfG esaminare la compatibilità del Quantitative Easing con l’identità costituzionale tedesca. Per la metà di marzo era originariamente fissata la decisione. Poi, probabilmente vista l’emergenza sanitaria in atto e il fermento della BCE nel lancio del nuovo programma di acquisti di titoli di debito statale, la decisione è stata rinviata al 5 maggio: data di nascita di Karl Marx, ma soprattutto, ancora per poco, una data che ricade sotto la Presidenza di chi il controllo di identità lo ha plasmato e chiarito negli anni e che, adesso, lascia una Corte forse più debole nella sua volontà di potenza, per quanto abbia dimostrato di essere, appunto, potentissima. Del resto, in tedesco, Gewalt significa proprio sia violenza, sia potere.
Prima di tutto non può non osservarsi che nella sua decisione del 5 maggio, il Bundesverfassungsgericht si dimostra un giudice abituato, con le sue Urteilsverfassungsbeschwerden, a rimproverare gli altri attori giurisdizionali che esercitino in modo inappropriato la loro funzione sotto un profilo costituzionale. Come lascia trasparire l’art. 92 GG è un giudice in senso stretto, pur essendo anche organo costituzionale. La Corte di Giustizia, nell’ambito di un rinvio pregiudiziale, diventa così di fatto giudicabile nel suo processo argomentativo, al punto che l’esito del suo giudizio è considerato ultra vires. Qualcosa di simile, alla fine evitato, era accaduto nella celebre sentenza Honeywell del 2010 del Bundesverfassungsgericht. Quest’ultimo, in seguito, aveva fortemente ridimensionato il suo potere di esaminare autonomamente la correttezza della giurisprudenza europea, specialmente nel quadro dei ricorsi individuali per violazione del giudice naturale (art. 101 GG).
Nella decisione sul QE, tuttavia, i giudici di Karlsruhe passano dagli angoscianti “ja, aber” cui ci avevano abituato, a un rumoroso giudizio di incostituzionalità. Questa è una novità, non si può negarlo. Incostituzionalità, tuttavia, del tutto peculiare. Essa investe, infatti, non tanto, per ora, direttamente la politica monetaria della BCE, alla quale entro tre mesi è fatto onere di spiegare meglio in punto di proporzionalità le sue ragioni per superare una incostituzionalità al momento presunta (o meglio sospesa). È invece sicuramente ultra vires, come accennato, proprio la sentenza della Corte di Giustizia che, nel 2018, in ben trenta paragrafi (71-100), aveva cercato di dar conto dei motivi che rendevano proporzionate le eventuali ingerenze sulla politica economica del QE. Evidentemente tutto ciò non è bastato e, laddove la Corte di Giustizia è stata carente nel chiedere, ora la BCE deve rispondere al BVerfG. È chiaro che può decidere di non assecondare questo ordine. In tal caso, tutti si assumeranno le rispettive responsabilità: la BCE subendo l’immediata interruzione della partecipazione della Bundesbank al QE; il BVerfG accettando un eventuale procedimento di infrazione o comunque le possibili conseguenze della sua decisione per la Germania.
A quel riconoscimento all’attore istituzionale europeo, operato in Weiss, di «un ampio potere discrezionale» (Rn. 73; poi richiamato anche al Rn. 91), risponde il BVerfG con una forte stigmatizzazione nella decisione sul QE del peculiare esame meno intenso rispetto a quello condotto in altri ambiti analiticamente esaminati (si parla di una «Selbstbeschränkung des Gerichtshofs»). I giudici di Karlsruhe spiegano analiticamente, infatti, come andrebbe maneggiato senza meno il controllo in punto di proporzionalità perché sia compatibile con lo standard costituzionale tedesco. E pertanto il BVerfG ha ritenuto di chiarire, dettagliatamente, per quali ragioni gli effetti indiretti sulla politica economica rappresentano una sorta di male necessario, da contenere nei limiti della stretta necessarietà, rispetto al fine perseguito di politica monetaria e che tali effetti indiretti vanno tutti presi in considerazione, dandone conto in un bilanciamento complessivo. Sin dalla sentenza Pringle, del resto, la tensione tra le possibili interferenze tra le due politiche rappresenta un tema cruciale, la cui giustiziabilità andava in qualche modo resa operativa, anche perché tutto sommato proceduralizzabile e in fondo al di fuori di rigidi aut-aut.
Se con riferimento a un possibile “sviamento di potere” (artt. 119 e 127 TFUE), la Corte di Giustizia è avvisata del suo dovere di esercitare un controllo ben più penetrante sulle motivazioni prodotte dalla BCE, probabilmente rinnovando anche periodicamente un esame sulla permanenza delle condizioni che ne giustificano la proporzionalità, nell’esaminare la possibile violazione di un divieto di finanziamento monetario dei disavanzi statali (art. 123 TFUE) il BVerfG sembra accontentarsi, pur manifestando in più punti una certa insofferenza verso l’approccio accondiscendente della Corte di Giustizia, di quanto affermato in Weiss. Non vengono pertanto individuati i presupposti per accertare una violazione manifestamente evidente. Eppure, proprio qui, nelle pieghe di questi lunghi e tecnici passaggi, si annida un rischio ben più significativo: traslare le condizioni pensate per il vecchio QE, considerandole come le uniche che ne rendono ammissibile la compatibilità con i Trattati, sul nuovo, che in questa chiave appare decisamente problematico. Se fosse così, il prossimo ricorso individuale potrebbe avere effetti ben più radicali: insomma, in cauda venenum?
3.Si dice che Hegel, avvertito che era stato scoperto un pianeta tra Marte e Giove, abbia risposto, avendo sostenuto il contrario, che se i fatti non si accordano con la teoria, tanto peggio per i fatti. Appare immediato immaginare che il Tribunale di Karlsruhe abbia privilegiato la teoria alla realtà. Forse troppo. E, infatti, se si guarda al problema di come giuridicizzare e rendere sindacabile la tensione tra politica economica e politica monetaria, non può sottovalutarsi come tecnicamente la sentenza appaia di grande eleganza formale. Il possibile e temuto rilievo per cui questa sentenza del BVerfG potrebbe indebolire gli sforzi della Corte di Giustizia, in effetti quasi sola, nel quadro delle procedure di infrazione, nel difendere la Rule of Law (cfr. qui), ci porterebbe fuori strada, ma rappresenta senz’altro un altro argomento forte di chi sostiene che il principio realtà avrebbe meritato forse un po’ più di flessibilità, se non bastava la crisi economica in atto.
È probabile che il Bundesverfassungsgericht – oltre a ribadire che non è possibile mutualizzare il rischio tra stati, e probabilmente non sarebbe sufficiente neanche una semplice modifica del Grundgesetz essendo in gioco il 79 III sotto questo profilo – si sia limitato a chiarire che adesso ha uno strumento per controllare che quelle sovrapposizioni tra mezzi e fini, che di fatto consentono a una politica di avere ricaduta sull’altra, siano in qualche modo controllabili caso per caso. Del resto, difendendo il principio di attribuzione, si protegge, seppur senz’altro in modo colpevolmente asimmetrico, la democrazia rappresentativa statale.
Come spesso accade nella giurisprudenza tedesca, la Verhältnismäßigkeit rappresenta lo strumento ideale per raggiungere questo obiettivo. L’alto livello di giurisdizionalizzazione sul punto ha portato alla conclusione che alcune sovrapposizioni possono essere tollerabili. Ma se davvero è ammissibile considerare politica monetaria una azione che appare riferibile anche alla politica economica, l’intervento deve essere del tutto limitato, nel rapporto mezzi/fini, al minimo indispensabile. In un contesto in cui a livello sovranazionale la BCE, nonostante il dialogo monetario, appare senza dubbio godere di uno statuto di indipendenza non paragonabile a quelle banche centrali nazionali rispetto alle quali ogni parlamento, nel rispetto delle sue prerogative e delle norme costituzionali, può con legge intervenire a modificarne le responsabilità, serve un potere che si erga a “custode” dell’idea per cui l’Unione, a Trattati invariati, non è una Solidargemeinschaft, ma deve restare una Stabilitätsgemeinschaft. Se non lo fa la Corte di Giustizia, altri se ne occuperanno.
Ecco perché nella benevolenza della Corte di Giustizia sembra possibile individuare il vero bersaglio di questa decisione, per ora seria ma non ancora grave nelle sue implicazioni attuali. In tal modo, ancora una volta, il Tribunale si pone a baluardo della legalità e, in particolare, della legalità costituzionale, facendosi acceleratore delle “istanze controdemocratiche” che, a livello nazionale, rivendicano il loro diritto a partecipare affinché la responsabilità per l’integrazione, nel bene e nel male, venga realmente espletata da parte dei vari organi costituzionali coinvolti, garantendo, al di là della loro capacità di incidere in sede parlamentare, alle forze societarie e di minoranza di agire comunque in modo efficace (per un approfondimento, sul concetto di Controdemocrazia così come applicato in questi tornanti, se si vuole, qui).
Forse, in conclusione, qualcosa si è rotto. Forse questa decisione rappresenta una cesura o una manifestazione di forza e insofferenza. Sicuramente però il Tribunale eleva un monito alto e preciso a evitare sotterfugi e decidere finalmente di seguire “vie novelle”, senza avvantaggiarsi di clausole e codicilli, ma imponendo alla politica di assumersi di fronte ai propri elettori la responsabilità di andare avanti (o no). E, a questa altezza, la sfida è, ancora una volta, alla politica come dimostra il severo monito a Bundestag e Governo a decidersi finalmente di fare il loro dovere nel vigilare sull’Integrationsprogramm. Dove non possono, solidalmente, arrivare gli stati e le istituzioni europee a Trattati invariati, forse può, intanto, fare qualcosa il bilancio dell’UE. Può essere che, per il Secondo Senato, se cambiano i fatti, il diritto deve seguire. Altrimenti, tanto peggio per i fatti.