Strasburgo, Lussemburgo e Mrs Comity

Uno degli aspetti più interessati della prospettata adesione dell’Unione europea alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo è indubbiamente rappresentato dal problematico rapporto fra le Corti di Strasburgo e Lussemburgo.
È noto che, nonostante la formale assenza di rapporto, le giurisprudenze di questi due Tribunali si siano spesso incrociate, dando luogo ad una complicata relazione solo recentemente risoltasi nell’intesa Bosphorus (chiamiamola così), a cui tante pagine sono state dedicate dalla dottrina negli ultimi anni.
Come è stato sottolineato da più parti, Bosphorus si presenta come un meccanismo di “comity”, concepito per assicurare flessibilità nel rapporto fra Corti e, allo stesso tempo, judicial deference (sulla nozione di comity, per tutti, si veda Y.Shany, Competing jurisdictions of International Courts and Tribunals, OUP, 2003, 260 ss.).
Spesso la comity si fonda sull’assenza di una norma formale che coordini procedimenti paralleli (ecco il perché del suo utilizzo nel diritto internazionale contemporaneo caratterizzato dalla frammentazione dei regimi e dalla proliferazione dei tribunali) e per questo numerosi autori hanno sostenuto che, una volta formalizzato l’accordo di adesione dell’UE alla CEDU, non vi sarà più spazio alcuno per comity e judicial deference (si veda, per esempio, T.Lock, “The ECJ and the ECtHR: The Future Relationship between the Two European Courts”, The Law and Practice of International Courts and Tribunals 8 [2009] 375, 395-396).

Vi sono però alcuni fattori di cui si dovrebbe tenere conto prima di concludere per la sicura scomparsa di tali meccanismi: la specialità del diritto dell’Unione europea (indirettamente evocata dal giudice di Strasburgo nella sentenza Bosphorus quando si discorreva della legittimità del trasferimento della sovranità degli Stati-parte della CEDU ad organizzazioni internazionali) ed il grande enigma rappresentato dalla Carta dei diritti fondamentali di Nizza.
Cominciamo dal secondo elemento: come magistralmente ricordato da Sir Jacobs: “Although competition is in general a valuable technique for achieving economic progress and is central to the concept of the common market, it is not clear that competition between fundamental rights instruments within the same legal order has a positive value. Moreover, in the particular case of the European Institutional complex, the constitutional entrenchment of the Charter might be seen as liable to cause confusion” (F.Jacobs, “The European Convention on Human Rights, The EU Charter of Fundamental Rights and the European Court of Justice”, http://www.ecln.net/elements/conferences/book_berlin/jacobs.pdf).
Ebbene, guardando alla Carta di Nizza, il rischio di confusione, a ben vedere, sussiste.
Innanzitutto, dalla Carta emergono dei diritti non coperti dalla CEDU (i famosi diritti sociali ed economici) e ciò comporta la non completa sovrapponibilità di competenze fra le due corti in ambito di diritti.
In secondo luogo, l’attuazione dell’art. 52.3, che evoca la CEDU facendone, secondo alcuni almeno, una sorta di “standard minimo”; infine, il ruolo che la giurisprudenza della Corte di Strasburgo avrà sull’operato di quella del Lussemburgo.
Guardando all’esperienza degli ordinamenti interni, l’osservatore potrà notare come ogni ordinamento abbia deciso diversamente sulla Vexata quaestio del valore da riconoscere all’interpretazione del giudice di Strasburgo: nel caso inglese, vi è una precisa disposizione (art. 2 dello Human Rights Act del 1998) che prevede che i giudici “must take into account” la giurisprudenza della Corte EDU quando interpretano i “Convention rights”.
In Germania, un effetto simile è stato raggiunto nella famosa ordinanza 1481/04, relativa al rapporto fra il sistema costituzionale tedesco e la CEDU a seguito della pronuncia Görgülü c. Germania, n. 74969/01 della Corte EDU.
In questa pronuncia il Tribunale costituzionale tedesco ricordava come la Legge fondamentale (art. 23 e 24), riconoscendo un favor alle disposizioni internazionali e sovranazionali, sia un testo «aperto». Ciò comporta l’obbligo per il giudice tedesco di tenere in debito conto la normativa e la giurisprudenza CEDU, di interpretare le norme interne in maniera conforme ad esse (si configura in questo modo un obbligo procedurale) ma ciò solo dove l’interpretazione sia metodologicamente sostenibile (con tanto di obbligo di motivazione in caso di elusione di interpretazione conforme, motivazione che sarà sindacabile dal BVG, se adìto in via di ricorso individuale o incidentale).
Un caso ancora diverso è rappresentato dalla Spagna, dove l’articolo 10.2 della Costituzione spagnola invita all’interpretazione delle disposizioni costituzionali sui diritti in maniera conforme a quanto stabilito dalla Convenzioni internazionali ratificate dalla Spagna in questo ambito (senza nulla dire sul ruolo della giurisprudenza dei tribunali interpreti di tali convenzioni).
Il buon senso porterebbe a pensare che la Corte del Lussemburgo dovrà tenere conto almeno della giurisprudenza dei colleghi di Strasburgo ma la storia di casi come Mox Plant (C- 459/03, European Commission c. Ireland, in Racc., 2006, I-4635) dimostra anche quanto la Corte dell’Unione europea sia gelosa della propria attività interpretativa e questa osservazione ci conduce al secondo elemento menzionato: la specialità del diritto dell’Unione europea.
Guardando all’art. 1 del Protocollo al Trattato di Lisbona, dedicato al tema dell’adesione della UE alla CEDU, possiamo notare come la specificità dell’UE sia evocata: “L’accordo relativo all’adesione dell’Unione alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali è […] deve garantire che siano preservate le caratteristiche specifiche dell’Unione e del diritto dell’Unione” (http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:C:2010:083:0201:0328:IT:PDF).
Nei seguenti commi viene specificato in cosa si concretizzi tale specificità (modalità specifiche dell’eventuale partecipazione dell’Unione agli organi di controllo della Convenzione europea; la previsione di meccanismi necessari per garantire che i procedimenti avviati da Stati non membri e le singole domande siano indirizzate correttamente, a seconda dei casi, agli Stati membri e/o all’Unione).
“Nulla che tocchi il rapporto fra corti” si dirà. Vero ma è anche vero che l’articolo 1 recita testualmente “in particolare per quanto riguarda”, facendo pensare che queste due ipotesi siano soltanto due delle possibili concretizzazioni della specialità europea. Il dubbio diventa certezza, in effetti, all’articolo 3, dove si aggiunge che “Nessuna disposizione dell’accordo di cui all’articolo 1 deve avere effetti sull’articolo 344 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea”. A ben vedere l’art.344 TFUE citato corrisponde al vecchio arti. 292 TCE, uno dei pilastri dell’argomentazione della Corte di giustizia nel citato caso Mox Plant!!
Che dire? La peculiare natura del diritto UE giustifica un particolare ruolo ermeneutico riconosciuto alla Corte del Lussemburgo e ciò avrà sicuramente delle ripercussioni nel rapporto con i giudici EDU.
Proprio guardando ad alcuni recenti documenti pubblicati sul sito della Corte di giustizia, si può avere conferma di questo: nel documento di riflessione presente sul sito della Corte (http://curia.europa.eu/jcms/jcms/P_64268/) – segnalato anche dagli amici di http://adjudicatingeurope.eu/- ci si sofferma moltissimo sulle necessità di preservare l’autonomia interpretativa dei Tribunale del Lussemburgo anche dopo l’adesione dell’UE alla CEDU, a dimostrazione di quanto la chiave di lettura “concorrenza interpretativa” (N.Lavranos, Jurisdictional Competition: Selected Cases In International And European Law, Groningen, 2009) continui a pesare sull’attività dei giudici europei..
Insomma, non siamo mica così sicuri che Mrs Comity se ne andrà…