Strasburgo ed il diritto internazionale: la Cedu stretta tra l’Aja e le capitali europee
Si è concluso un primo tempo nella vicenda processuale Distomo, comune greco consegnato alle cronache per il massacro perpetrato nel giugno ‘44 dalle truppe di occupazione del Reich contro la popolazione civile in risposta ad un attacco partigiano. La Corte europea dei diritti dell’uomo, infatti, ha dichiarato inammissibile il ricorso di quattro cittadini greci contro la Repubblica federale di Germania per violazione del diritto di proprietà e del divieto di non discriminazione (Sfountouris et autres contre l’Allemagne, 31 maggio 2011, per ora disponibile solo in francese). Si conclude in questo modo il ramo tedesco di una lunga battaglia legale iniziata nella metà degli anni ’90, mentre continua quello greco-italiano.
Con questa pronuncia, la CEDU ha avuto modo di precisare, sia pur in negativo, il proprio ruolo quasi rifiutando, di fatto, sia di ergersi a Corte suprema degli Stati membri del Consiglio d’Europa sia a Corte internazionale di Giustizia del Vecchio continente.
Alla Corte di Strasburgo era stato posto il quesito, introdotto con il primo motivo ricorso, se le autorità giudiziarie tedesche avessero violato il diritto dei ricorrenti non riconoscendo nessuna tutela risarcitoria né dal diritto internazionale né dal diritto interno tedesco per le vittime dei crimini di guerra commessi durante la seconda guerra mondiale. In altre parole, si è chiesto alla Corte di sindacare l’interpretazione che hanno dato i tribunali tedeschi della normativa internazionale ed interna. La discriminazione contestata con il secondo motivo di ricorso concerneva lo schema di risarcimento tedesco (Bundesentschädigungsgesetz BEG) di cui beneficiano le vittime di persecuzione nazista, ma non le vittime di crimini di guerra non direttamente legati all’ideologia nazista. Nel respingere tale motivo di ricorso, la Corte ha ricordato l’ampio marge d’appreciation degli Stati membri, in particolare, quando si tratta di riparare ad un torto commesso prima dell’entrata in vigore della Convenzione.
Conclusosi il processo iniziato in Germania, tuttavia, continua il processo parallelamente proposto dinanzi ai tribunali greci, che è stato poi portato in Italia (Corte d’Appello Firenze, 20 marzo 2007; Cassazione SS.UU. 14199, 29 maggio 2008) con l’evidente scopo di forum shopping dopo che la Cassazione italiana ha disconosciuto l’immunità giurisdizionale dello Stato estero per crimini internazionali con l’ormai celebre sentenza Ferrini (Cass. civ. SS.UU., n. 5.044 11 marzo 2004). Sul punto, però, l’esecuzione nel caso Distomo è sospesa in attesa del pronunciamento della Corte Internazionale di Giustizia adita dalla Germania e che vede convenuta l’Italia, accusata di aver violato l’immunità tedesca.
L’immunità giurisdizionale della Germania in quanto Stato estero è senz’altro la questione più controversa nel ramo italo-greco del processo, questione sulla quale si pronuncerà la CIG, ma che, al contrario, non è stata posta nel processo de quo, dato che la Germania era convenuta dinanzi ai propri tribunali interni.
La questione di diritto internazionale posta nel giudizio in commento e della quale si lamentava erronea interpretazione da parte dei tribunali tedeschi, è controversa: trattasi del carattere self executing o meno dell’art. 3 del regolamento annesso alla IV Convenzione dell’Aja del 1907, regolamento tuttora applicabile alla condotta bellica e riconosciuto di natura consuetudinaria dal Tribunale di Norimberga a partire dal 1939 e quindi applicabile al secondo conflitto mondiale nonostante non tutti i belligeranti facessero parte della Convenzione.
L’articolo in questione dispone l’obbligo di risarcimento a carico dello Stato che viola le norme del regolamento, violazione non contestata dalla Germania. Infatti, anche se era da ritenere legittimo, all’epoca, l’attacco a civili in via di rappresaglia ad un torto subito come nel caso di attacco partigiano (tale fu la giustificazione dei bombardamenti aerei di città tedesche, e quindi di obiettivi civili, da parte della forza aerea britannica) vi fu senz’altro violazione del principio di proporzionalità. Nel caso di specie, invece, si discute, se il risarcimento può essere preteso soltanto dallo Stato (quindi dal governo greco) o anche dai singoli individui, che hanno subito il torto (quindi dai ricorrenti alla CEDU) e, dunque, se esso dia un diritto individuale ad agire. La giurisprudenza tedesca ha, al contrario delle parallele sentenze greche (BANTEKAS I., Prefecture of Voiotia v. Federal Republic of Germany. Case No. 137/1997. Court of First Instance of Leivadia, Greece, October 30, 1997, in AJIL, 1998, pp. 765-768; GAVOUNELI M., BANTEKAS I., Prefecture of Voiotia v. Federal Republic of Germany Case No. 11/2000. Areios Pagos (Hellenic Supreme Court), May 4, 2000, in AJIL, 2001, pp. 198-204), respinto il carattere self executing e, di conseguenza, l’azione sarebbe esercitabile soltanto dallo Stato.
Una volta negato il diritto all’azione del singolo in base al diritto internazionale, i tribunali tedeschi hanno verificato la possibilità di derivarlo dal diritto interno, in particolare attraverso la responsabilità aquiliana. Tale fu la via sostanzialmente seguita dalla giurisprudenza italiana negli analoghi casi Ferrini (supra) e Civitella (Corte Militare d’Appello di Roma, 18 dicembre 2007, Cassazione Pen. Sez. I. 21 ottobre 2008), che riguardano altrettante violazioni commesse dall’occupante tedesco in Italia nel biennio ’43-45.
Su questa strada, la giurisprudenza tedesca ha individuato due ostacoli. In primo luogo, ha ritenuto non applicabile il regime ordinario di responsabilità civile in caso di conflitto armato. La disciplina civilistica sarebbe sospesa e sostituita dal regime bellico, cioè dall’art. 3 Regolamento dell’Aja di cui sopra. In secondo luogo, ha rilevato il difetto di reciprocità, in quanto lo Stato greco non risarcirebbe cittadini tedeschi in una situazione analoga. In particolare, mentre il Bundesgerichtshof (3. Zivilsenat, 26. Juni 2003) ha posto l’accento sul primo dei due ostacoli, il Bundesverfassungsgericht (2. Senat 1. Kammer, Nichtannahmebeschluss, 15 Februar 2006) si è appoggiato sul secondo lasciando, in definitiva, impregiudicata la questione concernente la possibilità di considerare sospesa la responsabilità civile nel periodo bellico, che poteva avere una rilevanza al di là delle contingenze del caso concreto.
Senza approfondire gli aspetti di diritto intertemporale e la natura sostanziale o procedurale del requisito di reciprocità, occorre aggiungere che con il codice civile greco del 1947 sono venuti meno i limiti circa la responsabilità del funzionario pubblico verso i cittadini stranieri, mentre il requisito di reciprocità fu abrogato dal legislatore tedesco nel 1993. In sostanza, non solo è stata colmata l’assenza di reciprocità, ma è venuto meno lo stesso requisito.
Se alla giurisprudenza italiana nei casi Ferrini e Civitella nonché alla giurisprudenza greca in Distomo può essere imputato un eccesso di zelo, in quanto, seppur sul fronte della giurisdizione più che sul merito, è stata disconosciuta l’immunità giurisdizionale della Germania facendo leva su una motivazione per ora rimasta isolata nel panorama internazionale, non giovano nemmeno i tentennamenti motivazionali a dispositivo invariato a fugare i dubbi contro un conflitto di interesse immanente, quando ad essere investiti siano o i giudici dello Stato colpevole o quelli dello Stato vittima.
Potrebbe, quindi, a prima vista, apparire sensato investire di tali questioni un giudice “terzo” quale la Corte di Strasburgo. Invero, deputata ad interpretare la Convenzione europea dei diritti dell’uomo e solo indirettamente la normativa interna e quella internazionale posta al di fuori della Convenzione, essa si è esercitata in un’operazione di self restraint precisando di poter sindacare solo ad limine l’interpretazione del diritto interno ed internazionale da parte dei tribunali interni, chiamati in prima battuta ad applicarlo (“La Cour note que les requérants contestent en fin du compte l’application – d’après eux erronée – du droit pertinent par les tribunaux allemands. Or, d’après sa jurisprudence, elle ne peut que de façon limitée connaître des erreurs de fait ou de droit prétendument commises par les juridictions internes, auxquelles il revient au premier chef d’interpréter et d’appliquer le droit interne. Il en va de même lorsque le droit interne renvoie à des dispositions dudroit international général ou d’accords internationaux”). In breve, la CEDU non si è considerata nè una Corte suprema degli Stati membri del Consiglio d’Europa nè una Corte internazionale di Giustizia del Vecchio continente.
Il rifiuto di ergersi ad interprete ultimo del diritto internazionale appare, tuttavia, meno scontato rispetto a quello di diritto interno, se pure possa essere considerato in linea con il diritto internazionale, che considera gli Stati come i principali soggetti dell’ordinamento internazionale. In questo quadro, i tribunali interni sono chiamati a svolgere un doppio ruolo: quello di autorevoli interpreti del diritto internazionale e, in quanto organi, quello di esprimere la prassi dello Stato al quale appartengono.
Ove la Corte dei diritti dell’uomo avesse imposto la “sua” interpretazione del diritto internazionale agli Stati membri, avrebbe replicato il ruolo della Corte internazionale di Giustizia su scala europea, ma con giurisdizione notevolmente più ampia rispetto alla Corte dell’Aja, e accentrato un’interpretazione altrimenti affidata ai giudici statali e anche, ma non solo, alla CEDU. Inoltre, avrebbe vincolato gli Stati del Consiglio d’Europa ad una prassi che essa stessa avrebbe contribuito a determinare.
Non è possibile, certo, disconoscere il ruolo che le organizzazioni internazionali ed i tribunali regionali, tra cui la CEDU, svolgono nello sviluppo del diritto internazionale, ma in questo modo la CEDU, pur conscia del proprio ruolo come dimostrato con la sentenza in commento, contribuisce, ma non monopolizza.
Quanto alla tutela risarcitoria di vittime di conflitti armati – tema attuale oggi quanto all’epoca del secondo conflitto mondiale – e al conflitto di interesse immanente, non vi sembra alternativa ad un meccanismo internazionale di risarcimento de iure condendo e, nel frattempo, di istituti ad hoc. L’Eritrea-Ethiopia Claims Commission ne è un esempio.