Same-sex marriage: verso un intervento della Corte Suprema.

Con ordinanza del 7 dicembre 2012, la Corte suprema ha accettato di trattare due writs of certiorari sollevati nell’ambito di due casi molto noti all’opinione pubblica statunitense.
Si tratta, in particolare, del caso Hollingsworth v. Perry, relativo alla c.d. Proposition 8 – l’emendamento alla Costituzione della California, approvato per via referendaria nel novembre del 2008 al fine di porre nel nulla la decisione della Corte suprema della California che aveva introdotto il matrimonio tra persone dello stesso sesso – e del caso United States v. Edith Windsor, che chiama in causa direttamente il Defense of Marriage Act 1996 (d’ora in poi DOMA 1996), la legge federale che, come noto, ha vincolato la definizione federale di matrimonio al paradigma eterosessuale, escludendo in particolare la possibilità che gli Stati vengano obbligati a riconoscere le unioni omosessuali contratte – anche in forma matrimoniale – in altri Stati dell’Unione.
Nel caso Hollingsworth v. Perry viene richiesto alla Corte suprema di pronunciarsi sulla compatibilità con la Costituzione statunitense del divieto di istituire il same sex marriage contenuto nella Prop. 8. Va segnalato, peraltro, che la Proposition 8 è già stata dichiarata contraria alla Costituzione degli Stati Uniti, nel febbraio scorso, dalla Ninth Circuit Court of Appeals della California, sempre nel caso di Hollingsworth v. Perry. L’attuale certiorari viene richiesto dai firmatari della Proposition 8 proprio a seguito della pronuncia del febbraio scorso, al fine di provocarne il superamento da parte della Corte suprema. Si tratta, come evidente, di un caso che, pur strettamente legato al dibattito politico californiano, ha una proiezione federale, nella misura in cui una censura del divieto vigente in California finirebbe per dispiegare i propri effetti anche sugli analoghi divieti vigenti in altri Stati dell’Unione.
Più complesso il caso US v. Edith Windsor, che investe direttamente il DOMA 1996. La Windsor, 83 anni, nel 2007 aveva contratto matrimonio in Canada con la sua compagna, e il legame era stato riconosciuto dallo Stato di New York: sulla base del DOMA 1996, tuttavia, gli effetti del riconoscimento erano limitati allo Stato e non si estendevano ai rapporti di diritto federale, compresi quelli di natura fiscale. Alla morte della moglie, la Windsor si trovò dunque a dover corrispondere al governo federale la somma di 363.000 dollari di tasse sull’eredità della consorte, che non sarebbero state dovute qualora il matrimonio fosse stato contratto tra persone di sesso diverso e non fosse esistita la previsione del DOMA 1996, che impedisce al Governo federale di riconoscere effetto ai matrimoni same sex celebrati o riconosciuti a livello statale. Contro tale esito discriminatorio si appuntano le censure della Windsor, che punta a veder riconosciuta dalla Corte Suprema l’incostituzionalità del DOMA 1996.
La decisione della Corte Suprema di esaminare i due writs è senz’altro rilevante, e potrebbe preludere ad una svolta storica per i diritti degli omosessuali, in primo luogo negli Stati Uniti, ma senza dubbio con un notevole impatto anche al di fuori dei confini statunitensi. Non sembra casuale, pertanto, la scelta del momento. La rielezione di Barack Obama alla presidenza ha infatti accentuato la fragilità del DOMA 1996, nei confronti del quale il Presidente non ha mai nascosto il suo profondo scetticismo, pronunciandosi apertamente a favore del riconoscimento del diritto al matrimonio per le persone omosessuali. D’altro canto, non si deve dimenticare che, a seguito degli ultimi referendum statali, celebrati in concomitanza con le elezioni presidenziali dello scorso novembre, è ulteriormente aumentato il numero degli Stati che riconoscono il matrimonio tra persone dello stesso sesso: tale fattore, oltre a rivelare un mutamento profondo negli orientamenti dell’opinione pubblica sul tema, rischia di mettere ulteriormente in crisi il divieto di riconoscimento di cui al DOMA 1996. Quest’ultimo, nella misura in cui incide su un numero crescente di situazioni personali e, soprattutto, di realtà statali, mostra in misura sempre maggiore i suoi profili di debolezza, con riguardo alla certezza dei rapporti – anche economici, lo dimostra il caso di Edith Windsor – nonché, più in generale, con riferimento alla negazione “federale” della rilevanza giuridica di una dimensione di vita e libertà ormai accettata in un gran numero di Stati. Indipendentemente dagli esiti dell’intervento della Corte suprema, non si può non notare con favore che, ancora una volta, da Washington passerà una tappa fondamentale della lotta per i diritti civili nel XXI secolo, sul crinale del rapporto tra autorità e libertà, sulla strada del pieno riconoscimento del diritto ad essere se stessi ed a vivere in condizioni di uguaglianza esperienze di vita e affetto essenziali alla realizzazione della personalità.