Rendez-vous avec l’histoire: la Svizzera eletta come membro non permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite
Con 187 voti su 190, il 9 giugno 2022 l’Assemblea generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) ha eletto la Svizzera come membro non permanente del Consiglio di Sicurezza dell’ONU per il biennio 2023/2024.
Ai sensi dell’art. 23, par. 1 dello Statuto delle Nazioni Unite, accanto ai 5 Membri permanenti, siedono all’interno del Consiglio di Sicurezza anche 10 membri non permanenti (elected 10, E10), che vengono eletti dall’Assemblea generale in considerazione del loro contributo al mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, nonché al perseguimento degli altri obiettivi dell’Organizzazione. Una distribuzione geografica equa è garantita.
Depositata nel 2011 dall’allora ministra degli esteri e Presidente della Confederazione Micheline Calmy-Rey, la candidatura della Svizzera è stata oggetto di diversi dibattiti, e questo anche perché già lo stesso processo di adesione della Svizzera all’ONU era stato lungo e travagliato. In quel frangente avevano infatti giocato un ruolo fondamentale il significato che la neutralità storicamente rivestiva per la Svizzera, da una parte, e il potere riconosciuto in questo contesto alla democrazia diretta, dall’altra.
In generale, il diritto alla neutralità consiste nel diritto di uno Stato a non partecipare ai conflitti tra altri Stati e trova il suo fondamento nelle due Convenzioni dell’Aja del 1907 e in alcune norme consuetudinarie internazionali. Più precisamente, le due Convenzioni – relative, rispettivamente, alla guerra terrestre e a quella marittima – stabiliscono che lo Stato che si dichiara neutrale deve astenersi dal partecipare ai conflitti armati, dal fornire assistenza agli Stati belligeranti con armi o truppe militari, così come dal mettere a disposizione il suo territorio per fini militari. Inoltre, nel caso in cui venissero imposte delle restrizioni al commercio di armi, munizioni e altro materiale militare, lo Stato neutrale deve allora applicarle in egual misura a tutti gli Stati belligeranti coinvolti. Il diritto alla neutralità si distingue dalla politica della neutralità – nozione implementata dalla Svizzera in occasione dell’adesione alla Società delle Nazioni nel 1920 – intesa come l’insieme di quelle misure che uno Stato adotta in tempo di guerra o di pace per rafforzare l’efficacia e la credibilità della sua neutralità.
La neutralità della Svizzera si è da sempre contraddistinta per essere al contempo permanente ed armata: la Svizzera si impegna quindi a rimanere neutrale in qualsiasi futuro conflitto ma, allo stesso tempo, è sempre pronta a difendere militarmente la propria indipendenza e integrità territoriale per mezzo del suo esercito. Seppur da sempre considerata monolitica ed intangibile, la neutralità della Svizzera è stata in realtà a più riprese adattata al contesto internazionale, tanto da essere definita oggi un concetto “a geometria variabile”. Secondo Michel si possono distinguere almeno quattro fasi in questa evoluzione. Fino al 1920, la Svizzera ha sposato una politica di neutralità integrale. Poi, con l’adesione alla Società delle Nazioni e fino al 1938, la Svizzera ha optato per una politica di neutralità differenziata, caratterizzata dall’accettazione delle sanzioni economiche, ma non delle misure militari, decise da quest’ultima. In seguito, nel corso della Seconda guerra mondiale e fino alla fine della Guerra fredda, essa è ritornata ad una politica di neutralità integrale. Questa pratica ha poi subito nuovamente un importante cambiamento a partire dal 1990 con il sistematico allineamento alle sanzioni ONU, evoluzione poi consacrata nel Rapporto sulla neutralità del 29 novembre 1993. In base a quest’ultimo, il diritto alla neutralità si applicava ormai unicamente ai conflitti tra Stati, e non quindi alle misure di sicurezza collettiva. Più precisamente, la Svizzera si è da lì in poi orientata ad una politica di associazione alle sanzioni non militari. In particolare, a quelle economiche dell’ONU e dell’Unione europea (UE), e di sostegno alle sanzioni militari o agli interventi umanitari armati decisi o autorizzati dal Consiglio di sicurezza dell’ONU, se rispondenti a ragioni umanitarie, di solidarietà e di pace a livello internazionale.
Come anticipato sopra, il concetto di neutralità ha notevolmente condizionato la questione dell’adesione della Svizzera all’ONU, questione che ha pure sollecitato la democrazia diretta.
In effetti, nel 1945, quando una commissione di esperti istituita dal Consiglio federale giunse alla conclusione che la Svizzera dovesse aderire a questa organizzazione, il Consiglio federale stesso decise di non presentare domanda formale di adesione per l’impossibilità di apporre una riserva espressa con riferimento alla neutralità della Svizzera e agli impegni sottesi allo Statuto delle Nazioni Unite. La questione dell’adesione venne poi nuovamente sollevata nel 1960, quando il Consiglio federale, dati i cambiamenti intervenuti dopo il 1945, era arrivato alla conclusione che un’adesione all’ONU non soltanto fosse auspicabile, ma anche possibile, senza appore riserva alcuna relativamente alla neutralità. Con il Messaggio del 21 dicembre 1981, il Consiglio federale ha quindi proposto all’Assemblea federale l’adesione della Svizzera all’ONU (apponendo tuttavia comunque una riserva sulla neutralità), che la stessa ha poi approvato con il Decreto federale del 14 dicembre 1984. Nel rispetto dell’art. 140, cpv. 1, lett. b Costituzione federale (Cost. fed.) (essendo l’ONU un’organizzazione di sicurezza collettiva), questa decisione venne poi sottoposta a referendum obbligatorio. La sua riuscita prevedeva quindi il raggiungimento della doppia maggioranza di Popolo e Cantoni. In occasione della votazione intervenuta il 16.03.1986, il Decreto federale venne invece respinto con una maggioranza netta del Popolo (75.8%) e dalla totalità dei Cantoni (20 6/2).
Come ricorda Hottelier, la questione dell’adesione della Svizzera all’ONU è poi rimasta in sospeso per diversi anni, e questo sia per la netta preferenza emersa in occasione del suddetto referendum, sia per i nuovi e diversi obiettivi di politica estera comparsi successivamente. È soltanto alla fine degli anni ’90 che la discussione riaffiora con il lancio, ad opera di un comitato interpartitico, dell’iniziativa popolare “per l’adesione della Svizzera all’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU)”. Peculiarità del sistema elvetico, l’iniziativa popolare è quello strumento di democrazia diretta che, a livello federale, permette al Popolo di proporre una revisione totale (art. 138 Cost. fed.) o parziale (art. 139 Cost. fed.) della Costituzione federale. Per essere lanciata, è sufficiente che un gruppo di promotori formuli una proposta di modifica della Costituzione e che raccolga 100.000 firme nell’arco di 18 mesi (che iniziano a decorrere dal giorno in cui l’iniziativa è stata pubblicata). L’iniziativa deve rispettare pochi limiti specifici (art. 139 cpv. 3 Cost. fed.): sotto il profilo formale, deve rispettare l’unità della forma (deve essere formulata come progetto elaborato o proposta generica), l’unità della materia (nel senso che non può toccare contestualmente ambiti giuridici diversi) e deve essere realizzabile (non deve essere materialmente impossibile). Sotto il profilo materiale, invece, essa non soggiace ad alcun limite inferiore (ciò che concretamente significa che può toccare qualsiasi tema, anche di importanza non fondamentale o che per materia dovrebbe figurare in un atto legislativo e non costituzionale) e ha come unico limite superiore il rispetto dello jus cogens. La sua accettazione richiede la doppia maggioranza di Popolo e Cantoni. Poiché l’adesione all’ONU non può avvenire unilateralmente ma richiede il consenso dei suoi organi, con l’iniziativa era stato quindi incaricato il Consiglio federale di depositare la richiesta di ammissione. I promotori avevano quindi proposto di completare l’art. 197 delle disposizioni transitorie Cost. fed. (art. 24 vecchia Cost. fed., VCost. Fed.) come segue: “1La Svizzera aderisce all’Organizzazione delle Nazioni Unite. 2Il Consiglio federale è abilitato a rivolgere al Segretario generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite una richiesta della Svizzera ai fini dell’ammissione in seno a tale organizzazione e una dichiarazione di intenti per l’adempimento degli obblighi che risultano dallo Statuto delle Nazioni Unite”. Fatto assai raro nella storia elvetica, sia l’Assemblea federale, sia il Consiglio federale ne avevano raccomandato l’accettazione. Sottoposta a votazione il 03.03.2002, questa è stata accolta con una maggioranza debole sia del Popolo (54.6%), sia dei Cantoni (11 2/2). Su proposta del Consiglio di sicurezza, il 10 settembre 2002 l’Assemblea generale ha ammesso la Svizzera come 190° membro dell’ONU.
Stante questo passato piuttosto tormentato, la candidatura della Svizzera come membro non permanente del Consiglio di sicurezza ha fatto inevitabilmente riemergere le perplessità circa la compatibilità della neutralità e democraticità svizzera con gli obiettivi dell’ONU. Sin dall’inizio, questa proposta non godeva infatti di un supporto unanime, tant’è che già solo qualche anno dopo il suo deposito, nel 2018, venne anche presentata una Mozione per il suo ritiro. Da una parte, i sostenitori alla candidatura – tra cui il Consiglio federale e l’Assemblea federale – ritenevano che questo seggio avrebbe consentito alla Svizzera di potere contribuire più attivamente alla costruzione di un “ordine internazionale giusto e pacifico” (art. 2 cpv. 4). In particolare, dovendo già mettere in atto, in quanto membro, le decisioni del Consiglio di sicurezza, possedere un seggio avrebbe permesso alla Svizzera di influenzarle, nonché di promuovere il dibattito su nuove tematiche e valori. Infine, in quanto importante contribuente del budget ONU, l’ottenimento di un seggio avrebbe altresì consentito un utilizzo efficace delle risorse. D’altra parte, secondo gli oppositori, il potere riconosciuto al Consiglio di sicurezza dal Capitolo VII Statuto ONU di adottare sanzioni e ordinare attività militari contro altri Stati per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, impedisce ai suoi membri di mantenere una posizione neutrale. A loro avviso, si poteva realizzare il rischio che la Svizzera, non volendo compromettere la sua neutralità, venisse costretta ad astenersi sistematicamente, ciò che è contrario alle funzioni del Consiglio di sicurezza (art. 24 par. 1). Infine, alcune preoccupazioni sono state sollevate anche con riferimento alla democraticità. Gli oppositori reputavano infatti difficile garantire la partecipazione dell’Assemblea federale e del Popolo nella definizione delle priorità della Svizzera in seno al Consiglio stesso.
In attesa di vedere se, come dichiarato dal Presidente Ignazio Cassis, la Svizzera riuscirà veramente a promuovere la pace nel mondo e, in quanto Paese neutrale, a favorire delle soluzioni di compromesso, si devono tenere in considerazione due aspetti molto importanti in relazione al rischio che la qualità di membro possa indebolirne la neutralità e la democraticità. Per quanto attiene alla neutralità, la sua conciliabilità con un seggio non permanente al Consiglio di sicurezza è stata confermata anche in un Rapporto del 2015 dal Consiglio federale, che si è ampiamente interrogato sulla questione. Relativamente alla democraticità, invece, si consideri che nessun strumento democratico riconosce oggi al Popolo di potere direttamente partecipare alla definizione della politica estera del Paese. Tuttavia, nel Rapporto del 24 settembre 2020, il Consiglio federale ha assicurato che tutte le informazioni sul comportamento di voto della Svizzera verranno pubblicate sul sito del Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE), così da soddisfare il crescente bisogno di trasparenza sia verso l’Assemblea federale, sia verso il Popolo.