Relazioni tra ordinamenti, comparazione e integrazione sovranazionale: a proposito dell’ultimo libro di Oreste Pollicino
Il bel libro di Oreste Pollicino (“Allargamento dell’Europa a Est e rapporto tra Corti costituzionali e Corti europee. Verso una teoria generale dell’impatto interordinamentale del diritto sovranazionale?”, Milano, Giuffré 2010) offre l’occasione per tornare a riflettere e discutere – dopo l’intervento di Giorgio Repetto sul volume di De Vergottini, quello di Francesco Saitto sul volume di V. Jackson e quello della prof. ssa Groppi sull’uso dei precedenti stranieri – sul rapporto tra metodo comparativo e studio dei processi di integrazione sovranazionale. Come emerge sin dalle prime pagine del volume di Pollicino, infatti, l’itinerario di ricerca si snoda lungo le due direttrici del “diritto pubblico comparato” – vale a dire, l’analisi comparata delle tecniche di apertura e, più in generale, dell’incidenza dei processi di integrazione sovranazionale sulle singole esperienze costituzionali – e del “diritto europeo comparato”, vale a dire nell’ottica di una comparazione tra l’esperienza comunitaria europea e quella maturata nell’ambito dell’ordinamento facente capo alla CEDU (cfr. p. 10).
L’area prescelta ai fini della comparazione è quella dei Paesi dell’Europa orientale che, nell’arco dell’ultimo ventennio, hanno aderito all’ordinamento comunitario e allo stesso tempo alla CEDU. Tale scelta, peraltro, consente all’Autore di muovere da un angolo visuale particolarmente adatto allo studio comparato delle tecniche di integrazione. Da un lato, infatti, l’esperienza dei Paesi dell’Europa orientale costituisce un laboratorio eccezionale per l’analisi dell’incidenza dei processi di integrazione sulle singole esperienze nazionali, in particolare sotto il profilo della relazione tra un patrimonio giuridico già consolidato (quello europeo, nelle due dimensioni) ed esperienze raccolte attorno a documenti costituzionali di recente adozione e realtà istituzionali di altrettanto recente consolidamento. D’altro canto, proprio questo dato mostra con particolare nettezza le forme e la portata della “reazione identitaria” da parte degli ordinamenti nazionali e la sua complessa combinazione con atteggiamenti di apertura a dinamiche integrative di mutuo arricchimento: ciò, peraltro, in misura forse maggiore rispetto all’esperienza dell’Europa occidentale, in cui evoluzione del processo di integrazione e reazione identitaria hanno proceduto parallelamente, precisandosi poco a poco e nella costante interazione – anche conflittuale – tra ordinamenti. Allo stesso modo, se si considera la fase dei processi di integrazione in cui interviene l’allargamento, ben si comprende come lo studio di Pollicino sulla convergenza tra modalità di relazione interordinamentale e tecniche di integrazione nella duplice prospettiva dei rapporti Stati membri/UE e Stati membri/CEDU (ma anche, come ovvio, nella dimensione orizzontale UE/CEDU) tragga notevole alimento dall’angolo visuale prescelto.
Il riferimento alla comparazione si innesta peraltro, nello studio di Pollicino, sul recupero di una prospettiva teorica consapevole delle molteplici interconnessioni sussistenti tra processi di integrazione sovranazionale e relazioni tra ordinamenti giuridici. In quest’ottica, tuttavia, il recupero della teoria degli ordinamenti giuridici – nella sua matrice romaniana, e nelle rielaborazioni neoistituzionalistiche rivolte allo studio del pluralismo ordinamentale europeo (essenzialmente, Mc Cormick) – si apre alla considerazione di nuove modalità di coesistenza e interazione tra ordinamenti, legandosi così molto strettamente al superamento del costituzionalismo introverso e a posizioni che collegano le dinamiche di apertura degli ordinamenti alla riflessione sul ruolo dell’interprete (Haberle, Delmas Marty, Ridola, Cervati, Jackson, Legrand ma anche Ruggeri). A ben vedere, tutta l’opera di Pollicino è molto attenta a sottolineare il profilo della relazione dinamica tra tecniche di integrazione e percorsi argomentativi degli interpreti, così come alla relazione di entrambe con ben precise dinamiche istituzionali ed interistituzionali: in quest’ottica, sembra doversi sottolineare il valore della ricchissima ed assai consapevole ricostruzione di giurisprudenza, che fa di questo volume una risorsa indispensabile per chiunque voglia cimentarsi con lo studio delle tecniche di integrazione.
Nello studio dei percorsi argomentativi, torna in primo piano il discorso sulla comparazione, sul quale abbiamo focalizzato l’attenzione nel corso di queste brevi riflessioni.
Si pensi, solo per fare un esempio, allo strumento del margine di apprezzamento e alle virtualità di un approccio comparativo al suo studio, che ci appare in grado di mitigarne notevolmente la portata conflittuale. Più in generale, l’approfondimento della rilevanza del metodo comparativo nei percorsi argomentativi delle Corti come “attori” del processo di integrazione (Pollicino usa l’immagine suggestiva della “cinghia di trasmissione”) contribuisce a chiarire il ruolo dell’interprete nei processi di integrazione, declinando al tempo stesso la relazione tra ordinamenti – altrimenti incentrata su dinamiche prettamente interistituzionali – in termini di relazione tra esperienze giuridiche e costituzionali. E’ proprio nell’interazione tra le Corti – e, più in generale, grazie alla loro attitudine di apertura critica alla cooperazione interordinamentale (che è, al tempo stesso, specchio, conseguenza e motore di dinamiche di relazione tra ordinamenti) – che prendono corpo i processi di integrazione sovranazionale.
L’approccio di metodo seguito da Pollicino, in altre parole, affianca alla tradizionale prospettiva di analisi dei processi di integrazione incentrata sulla ricostruzione delle evoluzioni normative, istituzionali e giurisprudenziali interne agli ordinamenti sovranazionale, la riflessione sulla “matrice” comparativa di simili sviluppi (in particolare, con riferimento alla giurisprudenza). Allo stesso tempo, lo studio delle dinamiche di relazione si nutre dell’analisi puntuale e accurata dell’incidenza dei processi di integrazione sul quadro nazionale, sotto il duplice profilo dell’arricchimento di quest’ultimo attraverso il processo di integrazione e del contributo (cooperativo) delle singole esperienze nazionali al processo medesimo.
In quest’ottica, il volume di Pollicino dimostra ancora una volta che la comparazione rappresenta un efficace strumento di comprensione delle dinamiche di sviluppo dei processi di integrazione sovranazionale, almeno sotto un duplice profilo: da un lato, in senso stretto, come strumento di studio di tali processi; d’altro canto, nella prospettiva dell’interprete, come strumento di contributo cooperativo alla costruzione degli stessi (secondo la logica del mitverfassen, descritta assai efficacemente da M. Kotzur nel volume del 2004 sulla cooperazione transfrontaliera).
In conclusione, se è vero che i processi di integrazione si nutrono della relazione tra ordinamenti, la comparazione appare uno dei più significativi strumenti a disposizione dello studioso e dell’interprete non solo per la comprensione dei processi medesimi, ma anche per il positivo contributo al loro sviluppo.