Recensione: “Tunisia, la primavera della costituzione”
Come è ormai ben noto, a partire dal 2010 una serie di sollevazioni ha iniziato a scuotere un mondo arabo schiacciato fin dalla decolonizzazione sotto il tallone di dispotismi di vario ordine e grado. A sei anni di distanza da quella che è stata frettolosamente e imprudentemente salutata come “Primavera araba”, ben poco resta dei sogni ed illusioni di democrazia e libertà, in gran parte frantumati al brusco risveglio di guerre civili infinite, conflitti tribali, giacobinismi islamisti o gattopardesche restaurazioni.
In questo quadro desolante, la Tunisia spicca come una (effimera? Duratura?) eccezione. Il processo democratico incardinatosi, con fatica e momenti di forte crisi, nel Paese dei Gelsomini, ha infine portato a una situazione in cui un paese arabo – unicum nella storia – può fregiarsi della qualifica di “libero” attribuita dall’autorevole Freedom House, con una relativa armonia politica interna e un vibrante dibattito civile, il tutto benedetto da una Costituzione all’avanguardia che si è largamente avvalsa del contributo della Commissione di Venezia del Consiglio d’Europa.
Tutto questo viene analizzato nel prezioso contributo a cura di Tania Groppi e Irene Spigno dal titolo “Tunisia. La primavera della Costituzione”.
Il ricco volume, dall’agile lettura, riesce a condensare in meno di duecento pagine gli aspetti più importanti della transizione tunisina e dell’esito costituente, rifuggendo il monotematismo proprio di molti saggi giuridici (cui comunque appartiene a pieno titolo, come anche indicato dalla classificazione della casa editrice) e affrontando tutte le molteplici e complesse questioni sociali, religiose, storiche e politiche di un non facile percorso democratico, oltre che gli aspetti giuridici della Costituzione che da tale travaglio è scaturita.
Al contempo, tale multiformità di elementi non comporta confusionarie commistioni. Il libro è infatti chiaramente diviso in due parti: la prima, “Transizione democratica e processo costituente in Tunisia”, dà il quadro storico e sociologico della realtà tunisina e del processo costituente; la seconda, “La Costituzione del 2014: contenuti”, analizza il nuovo testo nelle sue componenti principali.
Per venire ai contenuti di dettaglio, la prima parte si apre con un capitolo introduttivo redatto da una delle curatrici del volume, Tania Groppi, che ripercorre le linee fondamentali della Costituzione. Seguono l’analisi storica del caso tunisino (Leila El Houssi, cap. 2), il resoconto delle fasi e dei protagonisti del processo costituente (Chawki Gaddes, cap. 3), la partecipazione popolare allo stesso (Tania Abbiate, cap. 4), e il superamento dei rischi del suo naufragio, esaminati da un membro della Costituente, Fadhel Moussa (cap. 5).
Per quanto concerne la parte seconda, essa può essere divisa a sua volta in due sezioni: nella prima, che va dal capitolo 6 al capitolo 8, si dà conto della dimensione dei diritti (su cui in particolare focalizza il cap. 6, redatto dall’altra curatrice del volume, Irene Spigno), con un approfondimento sull’uguaglianza di genere (Eleonora Ceccherini, cap. 8) ed uno sull’influenza islamica e sul triplice rapporto tra religione, laicità e democrazia (Pietro Longo, cap. 7). Agli ultimi capitoli della seconda parte sono invece dedicate le specifiche dell’architettura istituzionale: forma di governo (Marco Olivetti, cap. 9), decentramento territoriale (Lofti Tarchouna, cap. 10), e ruolo della corte costituzionale (Nicola Vizioli, cap. 11), importante novità introdotta dalla costituzione del 2014, così come le “Istanze costituzionali indipendenti” di cui all’ultimo capitolo, a cura di Stefania Spada.
Un aspetto che viene messo in luce a più riprese lungo tutta la trattazione è quello del ruolo cruciale rivestito dalla società civile – e a buon diritto, visto che all’attivismo della stessa si deve di fatto il successo della transizione costituzionale tunisina. Si pensi segnatamente alle manifestazioni seguite agli assassinii politici di Chokri Belaid e Mohamed Brahmi, che hanno di fatto costretto il principale partito islamista Ennahdha – per non far la fine dell’omologo egiziano – a moderare le proprie richieste e scendere a compromessi con le forze laiche; si pensi poi alla vigorosa opposizione delle donne tunisine alle prime bozze costituzionali che le degradavano al ruolo di “complementarietà” rispetto agli uomini, portando finalmente alla cristallizzazione della piena eguaglianza; infine, ma non da ultimo, si consideri il ruolo di fondamentale mediazione che ha valso il premio Nobel per la pace al cosiddetto “Quartetto” – composto dal principale sindacato del paese (UGTT), confederazione degli imprenditori (UTICA), Lega tunisina per la difesa dei diritti dell’uomo (LTDH) e ordine degli avvocati – per aver di fatto traghettato il paese fuori dalle sabbie mobili e dalle forche caudine della forte crisi istituzionale attraversata dall’Assemblea Costituente.
Un elemento che sicuramente arricchisce la trattazione è il fatto che, oltre all’analisi degli studiosi d’area, vi si trovano testimonianze dei protagonisti stessi del processo costituente come Chawki Gaddes, che ha monitorato i lavori dell’Assemblea, e Fadhel Moussa, che della stessa ha fatto parte. Il primo spiega in modo chiaro e con taglio critico le complicate fasi della transizione: quali errori sono stati commessi, quali elementi hanno interferito, come tali difficoltà sono state superate, e quali attori hanno infine contribuito, dall’interno e dall’esterno, al successo finale della costituente. Il secondo dà invece conto degli ostacoli contro cui una svolta autenticamente democratica della Tunisia rischiava d’infrangersi, riguardanti non solo la fase immediatamente rivoluzionaria, ma anche quella successiva, in cui si profilava il rischio concreto di una “dittatura della maggioranza”, come l’autore stesso la definisce, incentrata su un islam politico volto “a inserire la Tunisia in un cerchio dominato dall’ideologia dei Fratelli musulmani e da altri movimenti estremisti”, che in un primo momento si proponevano l’inserimento della sharia nella Costituzione.
In relazione a questo punto e all’analisi delle forze politiche in campo (tema trattato a più riprese), un aspetto che avrebbe forse meritato un più compiuto approfondimento è quello del ruolo e delle posizioni espresse dal partito religioso Ennahdha, sia in rapporto alle conquiste civili del bourghibismo (primo fra tutti: il codice dello statuto personale, che ha conferito alla donna in seno alla famiglia diritti impensabili nell’ottica regionale e del diritto islamico classico, ed ha pertanto trovato forti opposizioni islamiste), che al processo costituente. Quanto alle prime, qual è, e qual è stata, l’attitudine di Ennahdha verso le riforme d’ispirazione modernista (se non laica), e com’è cambiata (se è cambiata) nel tempo? Sul secondo, com’è avvenuto il passaggio dalla pretesa di un’impostazione costituzionale islamista fondata sulla sharia all’accettazione di quella civile infine affermatasi? Secondo quali linee politiche e concettuali si sono articolati i contrasti in merito agli articoli più controversi della Carta?
Anche con riguardo a questi ultimi, caratterizzati da perduranti ambiguità, un maggior approfondimento sarebbe stato auspicabile. Si pensi segnatamente agli articoli 1 e 6. Il primo, riprendendo quello della costituzione pre-rivoluzionaria, assegna all’Islam il ruolo di religione ufficiale, giocando sull’ambivalenza tra religione dello stato/religione dei Tunisini, ed è stato oggetto di contrasto, come detto, circa un eventuale inserimento della sharia. Quanto all’articolo 6, se da un lato vi viene proibita la pratica del takfir – o scomunica dei musulmani considerati miscredenti -, dall’altro esso dichiara lo stato “guardiano della religione” e lo chiama a “difendere il sacro e a punire le offese contro di esso”, senza chiarire che cosa debba intendersi per “sacro” e come tali previsioni si concilierebbero con la libertà di espressione e di coscienza (che peraltro alcuni deputati miravano a espungere dal medesimo articolo 6), cosa che ha suscitato le critiche di organizzazioni domestiche e internazionali, inclusa la Commissione di Venezia. Anche altre previsioni, pur rispettose dei nomina iuris mutuati dal diritto internazionale, possono rivelarsi problematiche a seconda dell’interpretazione che ne viene data: si pensi ad esempio all’articolo 49, che prevede restrizioni dei diritti per ragioni, inter alia, di “morale pubblica”.
Da questo punto di vista, particolarmente interessante sarebbe stato un approfondimento basato sul resoconto dei dibattiti in seno ai lavori preparatorî.
Siffatta analisi sarebbe utile anche per provare a gettare una luce sui possibili sviluppi futuri, dato che che le sorti di una costituzione, per quanto ben fatta sulla carta, si giocano soprattutto sulla sua attuazione e traduzione in diritto vivente, attraverso l’interpretazione delle sue disposizioni e l’emanazione delle leggi secondarie.
Ciò detto, il volume colpisce per la sua natura omnicomprensiva sui molteplici aspetti della transizione costituzionale tunisina, che ne fa al momento un unicum nell’ambito degli studi d’area per la varietà dei temi, nonché per il livello scientifico degli autori e la ricchezza delle fonti dirette e indirette. Tutto ciò lo rende un punto di riferimento imprescindibile per gli studiosi del settore, mentre l’agevolezza della lettura e la chiarezza dello stile ne permettono piena fruizione anche ai non iniziati che nutrano un interesse per queste tematiche di scottante attualità.