Recensione a “J. M. Castellà Andreu, Estado autonómico: pluralismo e integración constitucional, Marcial Pons, 2018”
Il libro in esame affronta con piglio attento e critico l’attuale configurazione dello stato autonomico spagnolo utilizzando la lente e la prospettiva della questione catalana. Se, come evidenzia l’Autore, la questione catalana e la crisi d’identità dello stato autonomico sono due questioni diverse, tuttavia le stesse non possono che essere affrontate – almeno in parte – congiuntamente, specialmente in questo particolare periodo storico. La questione catalana funge, dunque, da incipit e da epilogo del libro: in una metaforica chiusura del cerchio.
L’introduzione (“Introducción: entre la crisis secesionista y el impasse del estado autonómico”) parte dalla necessità di affrontare lo studio dello stato autonomico alla luce della crisi catalana che rappresenta “el punto álgido de la crisis política mas aguda en el periodo democrático non solo del Estado autonómico, sino de la democracia constitucional y de España, como Nación y como Estado” (p. 12).
È dalla domanda “come siamo arrivati a questo punto?” che l’Autore parte per comprendere che cosa, nel sistema territoriale spagnolo, ha fallito nell’integrazione della Catalogna: l’architettura istituzionale o la prassi sviluppata dagli attori politici? Il bilancio tracciato dal volume esce in coincidenza dei 40 anni di vigenza della Costituzione del 1978, che contrassegnano il più lungo periodo di decentramento territoriale vissuto dallo Stato spagnolo.
Ovviamente l’analisi delle cause della disfunzionalità del sistema territoriale è prodromica allo sviluppo di soluzioni e compromessi specifici che possano ricostruire un sistema entrato – parzialmente o totalmente, a seconda delle narrazioni – in crisi. In questa Introduzione si delineano le criticità principali del titolo VIII della Costituzione del 1978, le problematiche del sistema autonomico, i tentativi di sviluppare risposte e soluzioni alla crisi territoriale, l’angolo prospettico dei nazionalisti catalani e baschi e quello dei vari partiti e attori istituzionali.
Si delinea così un affresco attuale e attento di quello che è il panorama e l’intreccio di opinioni, giudizi e prospettive sullo stato attuale e sullo sviluppo futuro del labirinto territoriale spagnolo (secondo la fortunata espressione di Blanco Valdés).
Partendo da questa ricostruzione delle differenti Weltanschauung oggi presenti, da quelle dei nazionalisti a quelle della dottrina, il Capitolo I (“El estado autonómico como forma de descentralización política de la España constitucional”) ricostruisce l’evoluzione quarantennale dell’ordinamento territoriale spagnolo, evidenziandone scelte, mutazioni, e tendenze. Il capitolo affronta i principali temi sottesi allo stato autonomico ripercorrendone i caratteri in relazione al patto costituzionale, alla sua evoluzione diacronica e aperta e al suo “risultato” attuale. Si analizza così il caso più notorio di “compromiso dilatorio” costituzionale, l’evoluzione in senso di omogeneizzazione delle comunità autonomiche e i conflitti di quest’ultima prospettiva con la visione territoriale delle nazionalità, in primis Catalogna e Paesi Baschi. Il prodotto di questa evoluzione quarantennale del modello territoriale è un sistema autonomico dotato di diverse caratteristiche, alcune delle quali peculiari, che possono essere riassunte in: una garanzia delle autonomie, seppur generica, la centralità degli Statuti, le differenze che gli stessi immettono nello stato autonomico (hechos diferenciales, in primis), una struttura istituzionale chiara, un sistema di divisione competenziale non sempre soddisfacente, un modello di finanziamento ancora parziale (con le peculiarità del concierto económico vasco) e una scarsa partecipazione delle comunità alle politiche dello stato centrale.
Interessante e stimolante è il paragrafo dedicato alle influenze del diritto comparato nella costruzione, evoluzione e consolidamento del “federalismo” spagnolo: questo paragrafo fornisce numerosissimi spunti di riflessione attraverso cui leggere e comprendere il complesso organigramma del sistema territoriale spagnolo alla luce di altri modelli territoriali.
Evidenziati i parametri attraverso cui lo stato autonomico può essere descritto e inquadrato, l’Autore si focalizza sulle problematiche del modello spagnolo e rileva le varie critiche che allo stesso sono state poste: dall’eccessivo numero di enti, alla struttura istituzionale che ne è stata data, fino alla constatazione della scarsa partecipazione dei soggetti substatali alle politiche dello stato centrale. Particolare enfasi è poi prestata alle problematiche connesse ad asimmetria e omogeneità, che hanno accompagnato lo sviluppo dello Stato spagnolo.
Le critiche evidenziate dalla dottrina al modello autonomico possono essere suddivise in tres grandes bloques: “primero, la necesaria simplificación de Comunidades Autónomas, la ‘racionalización’ (..); secundo: la dotación de un mayor contenido político a la autonomía (..); y tercero: la potenciación de la asimetría entre Comunidades Autónomas (..) y el reconocimiento de la plurinacionalidad del Estado” (p. 63).
Da questo novero di osservazioni critiche sul sistema territoriale spagnolo, più o meno condivisibili per il professore di Barcellona, il volume prosegue analizzando le proposte di riforma dell’estado autonómico, a cui è dedicato il Capitolo II.
Il Capitolo II “Ante una posible reforma del estado autonómico” affronta le riforme tentate, attuate o semplicemente proposte che si sono alternate dal 1978 a oggi, con un’attenzione particolare a quelle legislative, quelle statutarie e le proposte di riforma costituzionale.
I temi individuati per il dibattito concernono: lo statuto di autonomia e la distribuzione competenziale; la partecipazione delle comunità autonome alle dinamiche decisionali a livello centrale; il finanziamento delle Comunità autonome; i fattori simbolici e l’integrazione delle nazionalità; gli elementi da mantenere.
Fra le riforme legislative vengono esaminate le relazioni fra stato e comunità autonomiche con particolare riguardo alla partecipazione delle comunità autonomiche nell’UE, il finanziamento delle stesse e la ley orgánica del Tribunal Constitucional. Queste innovazioni legislative, pur solo accennate, non mancano di evidenziare e stimolare profondi spunti di analisi critica sulle prospettiche problematiche di suddette evoluzioni normative e del contesto storico-politico nel quale si inseriscono.
Segue una sintesi efficace degli interventi in materia statutaria e delle innovazioni apportate dallo statuto della Catalogna del 2006, che ha inaugurato la via degli statuti di “seconda generazione”, interrotta sia dall’accrescersi della crisi economica nonché dalla sentenza del Tribunale Costituzionale del 2010 sullo statuto catalano.
Infine, importanti pagine sono dedicate alle proposte di riforma costituzionale succedutesi negli anni sia a livello istituzionale che sul piano della società civile.
A questa sezione descrittiva, ne segue una prescrittiva che si focalizza sulla necessità e opportunità di una riforma. Si evidenzia così che vi è: “Un grado notable de acuerdo entre la doctrina constitucionalista sobre la necesidad de la reforma constitucional del estado autonómico. Se trata de un juicio abstracto”.(p. 97). Invece: “Diferente es el juicio de la academia sobre la oportunidad de la reforma en este momento histórico” (p. 99).
Dopo una rapida analisi comparata riemerge l’argomento dell’opportunità di affrontare congiuntamente il tema della riforma costituzionale con quello della crisi catalana. Si passa, così, ad alcune delle pagine più dense e ricche di riflessioni e suggerimenti riguardo il modus di costruzione di una possibile riforma costituzionale che possa ambire alla risoluzione dei problemi del sistema territoriale spagnolo. I temi che, fra Sein e Sollen, potrebbero o dovrebbero essere toccati da un’eventuale riforma sono: la forma degli statuti e la distribuzione competenziale; la partecipazione delle Comunità autonome ai processi decisionali centrali e le forme di collaborazione fra enti; il sistema di finanziamento delle C.A; i fattori simbolici e l’integrazione delle nazionalità. Su questi temi l’Autore con l’occhio dello studioso del sistema territoriale spagnolo, ma anche con quello del realismo politico, traccia una serie di considerazioni, che dipingono un quadro ricco di suggestioni e temi di riflessione. Da queste pagine traspare l’approfondita e ampia conoscenza dell’Autore sul tema del modello territoriale spagnolo e un’acuta capacità di osservare, individuare e descrivere i problemi che hanno accompagnato la travagliata esistenza dello stesso.
Interessante, poi, è la sezione dedicata agli elementi dell’Estado Autonómico da non mutare, fra cui spicca l’analisi della proposta dell’inserimento nella Carta, mediante revisione costituzionale, di una clausola per la secessione sul modello sviluppatosi in Canada a seguito della sentenza Reference Re Secession e dal Clarity Act.
In questa prospettiva, forse, le possibili soluzioni per risolvere la spinosa questione del derecho a decidir avrebbero meritato un maggior spazio, così come una ricognizione dei vantaggi o svantaggi di una clausola secessionista in Spagna. A maggior ragione perché il tema dell’autodeterminazione accompagna quasi ab origine (dall’emendamento Letamendía alle dichiarazioni basche e catalane del 1989-90 fino ai tempi a noi più prossimi) lo sviluppo del modello territoriale spagnolo e impegna in un confronto serrato nazionalità e stato centrale. Certamente, però, la disamina di questa tematica poteva risultare non in linea con il disegno complessivo del volume, teso a un’analisi a 360 gradi dello stato autonomico, a cui avrebbe sottratto armonicità, alterandone la trattazione lineare.
Le conclusioni del libro “Epílogo sobre Cataluña en la España constitucional y autonómica” chiudono idealmente il cerchio tracciato, analizzando come vi siano numerosi fattori da tenere in considerazione nella crisi catalana e come il tema debba essere affrontato in maniera puntuale e approfondita. Le soluzioni di riforma vengono, dunque, lette e commisurate in relazione al caso catalano, che spinge anche l’Autore a una serie di considerazioni preliminari: è imperativo prima ricostituire un patto politico per poi dare forma allo stesso mediante le opportune riforme. Una sorta di pessimismo sembra però prevalere: “El pacto político y la consiguiente reforma resultan tan oportunos como difíciles en estos momentos” (p. 140).
Schematicamente, quindi, sono ripresi i possibili percorsi di riforma con l’avvertenza che “ahora por ahora parece muy difícil que todo ello pueda tener lugar, pero en las manos de todos esta intentarlo” (p. 141).
Si conclude con questa frase un volume che non è solo un’approfondita analisi “strutturale” dello stato autonomico, ma anche un’attenta disamina degli spazi di azione politico-legislativa percorribili. Per dirla con Gauguin questo volume affresca il “Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?” dello Stato autonomico spagnolo.
Il volume, infatti, oltre a delineare un quadro meticoloso e ricco di spunti di pregio e interesse che aiutano a comprendere la complessa evoluzione del sistema territoriale spagnolo dà anche conto delle prospettive future in cui cautela e mestizia si mescolano. Sicuramente, l’invito che traspare dal volume è quello al compimento di una riforma che segua però alla ricostituzione di una normalità istituzionale della Comunità catalana e che possa aiutare a ripensare il sistema nel suo complesso.