Recensione a “Constitutional Principles of Local Self-Government in Europe” di Giovanni Boggero
Taking local self-government seriously. Questo potrebbe essere una efficace sintesi dell’impianto concettuale del libro “Constitutional Principles of Local Self-Government in Europe” di Giovanni Boggero (2018), edito da Brill nella collana “Studies in Territorial and Cultural Diversity Governance” curata da Francesco Palermo e Joseph Marko.
Il volume, attraverso un’analisi molto articolata e coerente che si sviluppa lungo quattro capitoli, delinea la natura, gli elementi e le caratteristiche del “sistema” europeo di Local Self-Government, al cui centro l’Autore situa la European Charter of Local Self-Government: scelta, questa, da un lato inevitabile, in quanto tale strumento di diritto internazionale pattizio rappresenta la più compiuta razionalizzazione dei principi in materia nell’ambito europeo; ma anche, dall’altro lato, coraggiosa, in quanto la capacità della Carta di incidere a livello nazionale viene costantemente discussa (basti al riguardo riferirsi all’interpretazione che la Corte costituzionale italiana ha proposto della natura della Carta, da ultimo nella sentenza n. 50/2015). La sfida del libro, anticipando alcune delle considerazioni finali, può dirsi però riuscita, tanto dal punto di vista del metodo dell’indagine quanto delle conclusioni raggiunte.
Dal punto di vista del metodo, sono tre le caratteristiche che emergono in modo evidente dalla trattazione e che ne orientano l’incedere: un approccio di tipo storico, finalizzato a valorizzare la continuità concettuale e assiologica tra le tradizioni europee in materia e il contenuto della Carta (in particolare nel primo capitolo); la scelta di considerare la Carta come “living instrument”, inserito in e integrato da un sistema complesso di ulteriori strumenti normativi – anche di natura “soft” – che risultano decisivi al fine di individuare un valore sostanzialmente costituzionale di tale strumento (ancora in formazione e declinabile in modo differenziato in termini di impatto sugli ordinamenti nazionali); infine, l’utilizzo della comparazione giuridica, che consente all’Autore di individuare una dimensione concretamente normativa dei principi espressi dalla Carta attraverso l’analisi dell’impatto prodotto a livello nazionale, alla luce di una macro-distinzione tra democrazie consolidate e “nuove” democrazie.
La struttura del libro risulta coerente con l’obiettivo dichiarato dall’Autore fin dall’Introduzione (The European Charter of Local Self-Government as International Treaty with Constitutional Significance): dimostrare come la Carta – e il sistema normativo identificabile attorno alla sua concreta attuazione a livello tanto internazionale (strumenti di soft law quali i report) quanto nazionale (in particolare, l’influenza esercitata nelle transizioni costituzionali dei Paesi del centro-est Europa) – non esprima meramente una ormai obsoleta dimensione culturale (“a piece of paper or an outdated cultural dimension”, 1), ma sia al contrario in grado di esprimere un valore costituzionale potenziale (“potential constitutional value”, Ibidem).
Idealmente, l’opera può essere suddivisa in due parti, che corrispondono rispettivamente al primo e secondo capitolo, da un lato, e al terzo e quarto, dall’altro.
Nella prima parte (primo e secondo capitolo), vengono ripercorse le radici storiche dei concetti di “charter” e di “local self-government”, al fine di evidenziare la connessione teleologica – all’interno del quadro istituzionale del Consiglio d’Europa – tra la “narrazione” del principio di “municipal freedom”, intesa quale retorica dell’autonomia e dell’autogoverno contrapposta alla struttura centralistica degli ordinamenti (p. 2), e quello che l’Autore definisce “trinitarian mantra of the constitutional faith”: rule of law, democracy e human rights. Situando la Carta all’interno delle fonti del diritto internazionale e del rapporto – differenziato – con gli ordinamenti nazionali, nel secondo capitolo viene manifestato il rischio di un fraintendimento, che viene peraltro alimentato dalla struttura della Carta stessa (l’Autore in tal senso sottolinea la natura ‘à la carte’ degli obblighi derivanti dalla medesima e l’utilizzo di concetti vaghi e principi generali al suo interno, che se da un lato favoriscono una ampia adesione degli Stati, dall’altro espandono inevitabilmente il margine di apprezzamento di questi ultimi), relativo alla natura di tale strumento: una costante oscillazione tra l’attribuzione di una natura meramente politica, che ne diminuisce di conseguenza la portata normativa, da un lato; e il riconoscimento di un valore vincolante in senso pienamente giuridico, tanto da ipotizzarne – alla luce della sua possibile connessione con il diritto dell’Unione europea – la funzione di “minimum common standard” a livello europeo (71).
La tensione, peraltro tipica degli strumenti di diritto internazionale pattizio, tra natura politica e normativa della Carta rappresenta uno dei fili rossi della trattazione, che l’Autore – nella seconda parte del libro – sembra risolvere, seppur con un atteggiamento di ragionevole e opportuna cautela, a favore della seconda: a tal fine, la valorizzazione, in particolare attraverso l’uso della comparazione, di una dimensione costituzionale in nuce ricavabile dalla Carta europea interpretata “in action” risulta decisiva.
In tal senso, non appare casuale che il terzo capitolo si apra con una costruzione progressiva del contenuto concettuale – e quindi normativo – di “autogoverno locale”, il quale viene significativamente declinato in termini costituzionali, utilizzando la sponda offerta dall’art. 2 della Carta (“The principle of local self-government shall be recognised in domestic legislation, and where practicable in the constitution”). L’autogoverno locale, in tale prospettiva, deve essere tutelato a livello statale in quanto istituzione (“as an institution”, 138), richiedendo in tal senso una tutela costituzionale speciale (139) in quanto elemento essenziale al fine di qualificare la natura democratica di un ordinamento. L’analisi di ciò che l’Autore definisce “institutional design” dell’autogoverno locale si sviluppa in modo coerente a tale premessa, analizzando i vari “luoghi” giuridico-istituzionali nei quali il “constitutional local self-government” trova espressione, legittimazione e riconoscimento, seppur in modo differenziato, a livello nazionale. All’interno di tale traiettoria assumono particolare rilievo, essendo nell’opera qualificati come “core area” in tale ambito, il principio di sussidiarietà (161), la garanzia di adeguate risorse finanziarie (210, senza le quali l’autogoverno sarebbe “illusory”, 203) e il diritto all’autonomia finanziaria (218). Tra l’affermazione a livello internazionale dell’esistenza di una “core area” di garanzie sulle quali si fonda il principio del local self-government e l’effettiva realizzazione delle medesime a livello statale si gioca in pieno la partita tra la qualificazione della Carta, e del sistema normativo composito ad essa collegato, quale documento politico o, come proposto dall’Autore, come atto normativo dotato di una portata sostanzialmente costituzionale.
L’approfondita analisi dei vari ambiti di intervento della Carta, arricchita in modo decisivo da sistematici riferimenti di natura comparata finalizzati a valutarne l’effettiva portata sugli ordinamenti statali in termini non solo simbolici ma anche normativi, conduce l’Autore – che peraltro non rinuncia, opportunamente, a evidenziare debolezze a livello attuativo che sono riconducibili alla natura stessa dello strumento (limitata portata self-executing dei suoi principi; ampio margine di apprezzamento nazionale; struttura a maglie aperte del testo) – a proporre una lettura ‘forte’ della medesima. I contenuti della Carta, infatti, non possono essere ridotti a “isolated legal principles”, ma assumono la natura di “constitutional guarantees which should be read as part of a “system”” (273). La traiettoria conduce quindi dalle disposizioni della Carta ad un sistema di garanzie, destinato a completarsi, consolidarsi e svilupparsi grazie al decisivo contributo degli organi del Consiglio d’Europa (nonché alla volontà politica degli Stati membri). La Carta, quindi, viene posta al centro di tale sistema, caratterizzato da un contenuto necessariamente fluido derivante dal meccanismo di ratifica ‘à la carte’ e dalla dottrina del margine di apprezzamento, che legittimano l’adozione di soluzioni differenziate, in grado di esprimere le diverse ‘raisons d’état’ a livello statale (273).
Un centro, pertanto, il cui contenuto risulta ontologicamente mobile – alla luce delle caratteristiche appena enunciate – e dinamico, in quanto inteso quale living instrument che deve essere interpretato alla luce del mutare delle condizioni presenti in un determinato momento storico e ambito geografico (274). Un motore essenziale di tale sistema è individuato – in modo solo apparentemente paradossale – in un tipico strumento di soft law: l’attività di monitoraggio svolta in particolare dal Congress of Local and Regional Authorities (275 ss.), la quale qualifica gli effetti prodotti dalla Carta a livello nazionale in termini di armonizzazione, valorizzazione delle specificità territoriali e scambio di buone pratiche tra gli Stati membri del Consiglio d’Europa (276).
L’opera si chiude con una efficace sistematizzazione delle caratteristiche di tale sistema – integrato (tra hard e soft law), differenziato (nella continua e a volte problematica interazione tra ius localis commune europaeum e sua concreta attuazione a livello statale) e dinamico (la Carta come living instrument) – che risulta in perenne e fisiologica tensione tra l’emersione a livello europeo di principi costituzionali comuni in materia di autonomia locale e il loro effettivo radicamento nei diversi ordinamenti statali, nonché delle funzioni che tale sistema può svolgere: il consolidamento del diritto internazionale pubblico (281), in quanto il sistema della Carta può essere considerato un avanzamento verso il riconoscimento della soggettività internazionale delle autorità locali territoriali (285); la costruzione di un diritto costituzionale europeo del governo locale (287), in quanto il sistema della Carta offre un nucleo minimo di principi di natura costituzionale, che va oltre la mera codificazione delle tradizioni costituzionali comuni in materia di governo locale (288); infine, l’integrazione dei diversi modelli di governo locale, favorendo se non l’armonizzazione quantomeno la convergenza e la circolazione dei principi costituzionali in materia tra diversi ordinamenti nazionali (291).
Seppur ostica, la sfida di “prendere la Carta sul serio” viene affrontata in modo convincente dall’Autore, attraverso un percorso di analisi che, grazie al decisivo apporto della comparazione giuridica, valorizza le potenzialità costituzionali espresse dal “sistema della Carta” e ne evidenza realisticamente le problematiche attuative nella dinamica multilivello tipica del rapporto tra diritto internazionale e ordinamenti statali, oltre a rappresentare – come evidenziato nella Prefazione di Luciano Vandelli – “the most complete assessment to date of the interpretation and implementation of the European Charter of Local Self-Government” (XIV).