Recensione a A. Baraggia, Stati Uniti e Irlanda: la regolamentazione dell’aborto in due esperienze paradigmatiche, Giappichelli, Torino, 2018.
Il tema dell’aborto, della sua disciplina giuridica, dei dilemmi etici che solleva e del bilanciamento con altri diritti, è ancora oggi una questione delicata e attuale nel dibattito pubblico e giuridico, come le recenti tensioni in Argentina e in Polonia dimostrano.
Il libro di Antonia Baraggia si inserisce con competenza e profondità prospettica in questo dibattito, tracciando con chiarezza e puntualità gli aspetti salienti della questione e analizzando due ordinamenti – si permetta il termine – “antitetici” in quanto a impostazione e soluzioni adottate costituzionalmente: gli Stati Uniti d’America e l’Irlanda.
Entrambi gli ordinamenti sono, peraltro, risultati trasfigurati dalle vicende a noi più prossime e successive alla pubblicazione del volume, che ciononostante rimane estremamente attuale nelle sue osservazioni in fatto e in diritto: il referendum irlandese del 25 maggio 2018 che ha abrogato la disposizione costituzionale “anti-abortiva” e il nuovo corso che la Corte Suprema statunitense sembra aver inaugurato con la sentenza National Institute of Family and Life Advocates v. Becerra del 26 giugno 2018. Due eventi costituzionali che appaiono invertire i sistemi giuridici in esame rispetto alla loro originale connotazione.
La stessa Autrice individuando precocemente questi trend di evoluzione evidenziava l’inefficacia dei tentativi (opposti) di sclerotizzazione di una tematica eticamente controversa e divisiva come quella della disciplina abortiva: l’“inversione di tendenza (..) è indicativa di come anche la costituzionalizzazione, in queste materie controverse, non metta al sicuro una scelta piuttosto che un’altra” (p. 29).
La monografia in esame risulta fondamentale per l’analisi anche di queste più recenti tendenze, dando conto in maniera diacronica dell’evoluzione dei due sistemi e fornendo un inquadramento imprescindibile per comprenderne la genesi.
Oltre a tracciare accuratamente il quadro del bilanciamento e dei test adottati nei due paesi relativamente alla questione dell’aborto il volume della Baraggia spazia e tocca anche tematiche più ampie, quali il rapporto giudiziario-legislativo e quello stato federale-unità subterritoriali, le interazioni CEDU – ordinamento statale e i modelli di interpretazione costituzionale.
Il libro si apre con un’attenta introduzione volta ad evidenziare la domanda di ricerca, la metodologia sottesa alla scelta dei casi e i confini dell’analisi.
Il Capitolo I, intitolato “L’aborto come ‘questione costituzionale’”, affresca le principali problematiche in termini di bilanciamento di diritti e delinea il quadro dei due ordinamenti: il caso americano viene individuato come l’apripista della costituzionalizzazione dell’aborto come diritto della donna e il caso irlandese come “eccezione nel panorama europeo” alla legalizzazione dell’aborto. Certamente è peculiare la non scelta dell’ordinamento tedesco come oggetto di comparazione, che viene però giustificata dall’Autrice alla luce della volontà di analizzare due sistemi nettamente contrapposti e – peraltro – sullo stesso paradigma della Repubblica federale tedesca l’Autrice si sofferma al fine di enuclearne le differenze e di evidenziare le motivazioni di tale esclusione. Un cenno avrebbe poi forse meritato anche la situazione italiana in cui il dibattito sempre vivo sugli obiettori di coscienza solleva numerose problematiche in relazione all’accesso all’aborto; sicuramente, però, l’introduzione di ulteriori paragrafi e pagine avrebbe potuto incrinare il buon equilibrio verso cui il volume tende. Non si può, infatti, non apprezzare la sistematicità e specularità che la scelta dei due sistemi permette.
Nel capitolo si introduce inoltre la vexata quaestio di come affrontare i temi eticamente controversi e le questioni maggiormente divisive negli ordinamenti democratici e – ancora una volta – i due modelli appaiono ascrivibili alla categoria dei most different cases hirschleiana: l’ordinamento statunitense sembra aver intrapreso la strada del judicial activism, mentre quello irlandese quella della valorizzazione del potere legislativo.
Il Capitolo II esamina il sistema statunitense ed è interamente dedicato a una analisi dell’evoluzione della giurisprudenza della Corte Suprema in tema di aborto. Partendo dal leading case Roe v. Wade, l’Autrice sviluppa un’indagine minuziosa e attenta della case law della Corte, soffermandosi anche su sentenze spesso non accuratamente valorizzate dalla dottrina ma dall’indubbio interesse. Si procede così ad uno studio diacronico dello sviluppo del test per il bilanciamento dell’aborto con altri diritti, degli standard giurisprudenziali utilizzati e delle sfumature con cui la Corte lascia margini di azione ai legislatori statali: sotto attento vaglio sono esaminate – fra le molte trattate – le decisioni Planned Parenthood v. Danforth, 428 U.S. 52 (1976), Webster v. Reproductive Health Services, 492 U.S. 490 (1989), Planned Parenthood v. Casey, 505 U.S. 833 (1992), Gonzales v. Carhart, 550 U.S. 124 (2007) e Whole Woman’s Health v. Hellerstedt, 579 U.S. (2016).
In questa disamina affiorano sia i contrasti fra i diversi stati, che le spaccature in seno alla Corte, di cui le dissenting opinions – a volte molto dure – danno atto. È proprio nell’analisi dell’evoluzione della giurisprudenza, del dialogo coi legislatori statali e della presa d’atto dei progressi scientifico-tecnologici che sembra emergere – da ultimo – un nuovo approccio meno assolutistico e più casistico della Corte Suprema in tema di aborto. Questo trend porta l’Autrice a concludere che “Al di là delle diverse letture dell’approccio evidence based, siamo di fronte – come il giudice Thomas rileva nella sua dissenting – ad una ‘reconfiguration’ dello standard di scrutinio applicato alle restrizioni in materia di aborto” (p. 90).
Il Capitolo III analizza invece l’ordinamento irlandese e l’intricato intreccio di pronunce nazionali, internazionali e della Cedu sulla materia abortiva, dall’Autrice sistematizzate e razionalizzate in un’esauriente ricognizione della situazione pre referendum 2018.
L’analisi parte – come per il caso statunitense con la sentenza Roe – dal caposaldo della costituzionalizzazione della questione abortiva: ossia l’introduzione dell’ottavo emendamento del 1983 che riconosceva il diritto alla vita dei non nati, limitando fortemente la possibilità di abortire. L’esauriente e quanto mai completa ricostruzione cronologica degli interventi in materia abortiva decorre dal noto caso Open Door e dalla querelle da esso prodotto sia in ambiente nazionale che convenzionale. L’analisi si dipana passando dalla disamina della decisione Attorney General v. X, dallo studio della complessa interazione e del dialogo fra i giudici e il legislatore, tramite il noto caso A. B. C. v. Ireland, approdando infine al vaglio del Protection of Life during Pregnancy Act del 2013. Nel capitolo è prestata particolare attenzione, oltre al dialogo giudici (nazionali e convenzionali) -legislatore, alle dinamiche integrative nel sistema eurounitario e alle spinte internazionali di apertura a un riconoscimento del diritto all’aborto, come espresso nel noto caso Mellet dell’Human Right Committee ONU.
Di notevole interesse sono i meccanismi di interazione democratica (i referendum, la costituzione della Citizens’ Assembly, etc.) di cui si da conto nel capitolo e che rilevano, in netta contrapposizione con l’attivismo giudiziale statunitense, “una via caratterizzata dall’interazione dialettica tra i poteri e tra questi e le istanze sociali: l’arena del confronto politico non è stata compressa dal judicial activism delle corti che, sebbene non abbiano rinunciato alla loro ampia attività interpretativa (e talvolta creativa), hanno lasciato spazio all’intervento del legislatore” (p. 124), permettendo così che “uno dei temi più divisivi per la società irlandese” fosse “posto al centro dell’arena politica e della ‘every day politics’, cui tutte le componenti sociali sono chiamate a contribuire attraverso la poliedricità degli strumenti della democrazia” (p. 125).
Il Capitolo IV – e ultimo – traccia le conclusioni dell’opera ricapitolando le considerazioni finali inerenti i due ordinamenti e ristrutturando in chiave conclusiva il tema dell’equilibrio fra potere giudiziario e legislativo e la loro complicata convivenza.
Il libro, riprendendo il titolo del capitolo finale, offre un approfondito e fruttuoso “sguardo al passato per capire il presente”, tracciando un affresco delle principali dinamiche, delle opzioni politico-costituzionali e delle soluzioni giuridiche che hanno caratterizzato due ordinamenti promotori di due scelte originariamente molto diverse (ma altrettanto divisive) rispetto al delicato tema dell’aborto.
La polarizzazione e la dicotomia dei due ordinamenti – come pronosticato e anticipato dal libro e confermato dai recenti avvenimenti costituzionali – sembra peraltro essersi ridotta, secondo quel processo di armonizzazione e globalizzazione dei diritti che appare avvicinare ordinamenti giuridici (occidentali) spesso agli antipodi in quanto a impostazione e soluzioni adottate. L’analisi dell’evoluzione di due ordinamenti paradigmatici aiuta il lettore e lo studioso di questi temi delicati e complessi a inquadrare i rationales, le soluzioni e le modalità di decisione politico-istituzionale sottese a scelte costituzionali (originariamente) così divergenti.
In definitiva il volume fornisce gli strumenti concettuali e teorici per comprendere la genesi e l’evoluzione dei due sistemi e del loro approccio “costituzionale” alla tematica dell’aborto e contiene suggestioni e interessanti spunti di riflessione per pensare e interrogarsi sul ruolo di giudiziario e legislatore nelle situazioni giuridiche complesse e divisive.