Recensione a B. de Witte, A. Ott, E. Vos (eds), Between Flexibility and Disintegration: The Trajectory of Differentiation in EU Law, Edward Elgar, Northampton, 2017

Una costante dell’ultimo anno, specie all’indomani del voto del 23 giugno sul c.d. Brexit, è il richiamo alle possibilità offerte dagli strumenti asimmetrici e flessibili previsti nei Trattati europei per superare l’attuale fase di impasse che caratterizza il processo integrativo. L’ultimo esempio in ordine di tempo è offerto dalle dichiarazioni del Presidente del Consiglio dei ministri Gentiloni a proposito della c.d. web tax. Anche in precedenza, lo scorso marzo per la precisione, Italia, Spagna, Francia e Germania avevano insistito sull’opzione “Europa a più velocità” per rilanciare l’UE post Brexit. Eppure, quanto è stato sfruttato finora il potenziale asimmetrico dall’UE? A questo (e molto altro) è dedicato il libro qui recensito.

Si tratta di un volume che raccoglie gli atti di un convegno tenutosi all’Università di Maastricht nel 2015 e ha il pregio di offrire una panoramica di visioni complementari sul tema dell’asimmetria nel processo di integrazione. Come dal titolo risulta chiaro, infatti, il focus del volume è chiaramente rappresentato dalla flessibilità nel diritto dell’Unione europea (UE); tuttavia, ciò non esclude una certa interdisciplinarità, essendo presenti anche contributi di sicuro interesse per i cultori del diritto costituzionale e comparato (si vedano, ad esempio, i saggi di Thym e di Curtin e Fasone). Si tratta di una scelta oculata perché anche nei processi federali l’asimmetria ha da sempre funzionato come strumento di integrazione: basti pensare al Canada o alla Svizzera. Il punto di partenza da cui prendono le mosse molti dei contributi del volume è il sospetto verso i meccanismi asimmetrici e di flessibilità che caratterizzano il diritto dei Trattati. Anche qui si possono scorgere delle similitudini con quanto discusso fra i comparatisti, vista l’iniziale reticenza che li ha caratterizzati con riferimento agli strumenti asimmetrici: si potrebbero qui richiamare le riflessioni di Tarlton, ad esempio, nel suo pionieristico saggio sul Journal of Politics.

Il volume si divide in due parti e si struttura in sedici capitoli. La prima parte è dedicata alla dimensione istituzionale, mentre la seconda a specifici aspetti di policy. Dopo un’Introduzione a firma dei tre curatori in cui vengono anticipati i contenuti dei singoli contributi, il volume si apre con un saggio di de Witte (“Variable Geometry and Differentiation as Structural Features of the EU Legal Order”), in cui l’Autore sottolinea la progressiva emersione degli strumenti di integrazione differenziata e la tendenza dell’opzione asimmetrica a lasciare il ruolo di eccezione per assurgere a caratteristica strutturale dell’ordinamento dell’UE. Il secondo saggio (“Competing Models for Understanding Differentiated Integration”), a firma di Thym, offre una panoramica dei differenti modelli utilizzabili per leggere e comprendere i rischi e le opportunità offerti dell’integrazione differenziata e richiama gli accorgimenti sostanziali e procedurali previsti dai Trattati europei per preservare il nucleo dell’ordinamento sovranazionale. Nel terzo capitolo (“Enhanced Cooperation: The Cinderella of Differentiated Integration”) Peers si sofferma sulla cooperazione rafforzata, quella che fino a pochi anni fa era un’opzione mai utilizzata a dispetto dell’importanza formale che, a una prima lettura dei Trattati, lo studioso del diritto dell’UE potrebbe riconoscerle. Nel quarto capitolo (“Modes of Flexibility: Framework Legislation v ‘Soft’ Law”) Dawson e Durana si soffermano su alcuni esempi di “flexible legal instruments” (p. 92), rispettivamente il caso delle direttive, di quella che potremmo chiamare in italiano “disciplina quadro” (analizzando alcuni casi specifici, in particolare nell’ambito della politica ambientale e del diritto anti-discriminatorio) e il c.d. soft law, con particolare attenzione all’uso di quest’ultimo in tempo di crisi. Il quinto capitolo di Curtin e Fasone (“Differentiated Representation: Is a Flexible European Parliament Desirable?”) è uno dei contributi più interessanti e originali. In questo contributo le Autrici si soffermano sull’impatto dell’integrazione differenziata sul Parlamento europeo, facendo uso della comparazione in certi casi e immaginando possibili scenari volti a “razionalizzare” le conseguenze istituzionali della scelta asimmetrica. Il sesto capitolo di Ott (“Differentiation through Accession Law: Free Movement Rights in an Enlarged European Union”) analizza in maniera dettagliata le varie tipologie di differenziazione giuridica introdotta dalle ultime generazioni dei trattati di adesione, con particolare riguardo al mercato interno. Il settimo capitolo (“Flexibility and Differentiation: A Plea for Allowing National Differentiation in the Fundamental Rights Domain”) chiude la prima parte del volume ed è stato realizzato da de Visser e van der Mei. Oggetto del contributo sono alcune riflessioni sul rapporto fra Carte costituzionali e Trattati all’indomani della sentenza Melloni. Gli Autori si interrogano su quale spazio possa essere stato lasciato da questa importante decisione alla differenziazione nella protezione dei diritti fondamentali.

La seconda parte del volume si apre con un interessantissimo saggio di Van den Bogaert e Borger dedicato all’asimmetria che caratterizza l’Unione monetaria (“Differentiated Integration in EMU”). Il capitolo analizza tre forme di differenziazione “in participation, in objectives and instruments and in law” (p. 209). Nel nono capitolo (“Differentiated Integration in the Field of Economic and Monetary Policy and the Use of “(Semi-)Extra” Union Legal Instruments – The Case for “Inter Se Treaty Amendments””) Herrmann affronta il tema del ricorso a strumenti formalmente esterni allo strumentario del diritto dell’UE in senso stretto. Si tratta della nota questione della scelta di misure formalmente appartenenti all’ambito del diritto internazionale pubblico (come, ad esempio, i trattati internazionali), ma in realtà in qualche modo collegate al diritto dell’Unione (per esempio, attraverso clausole come quella dell’art. 2 del Trattato di stabilità, coordinamento e governance, c.d. Fiscal Compact). Nelle pagine finali del contributo l’Autore propone anche l’introduzione di un nuovo art. 48a che permetterebbe “amendments to be made to the provisions listed in Article 139(2) TFEU (which do not apply to the non euro area Member States) by agreement and ratification by the euro area Member States only (inter se Treaty amendment)” (p. 249). Il capitolo dieci, di Ferran, è dedicato all’Unione bancaria europea (“European Banking Union and the EU Single Financial market: More Differentiated Integration, or Disintegration?”) e ne analizza l’impatto sul mercato unico dal punto di vista giuridico, esplorando anche i rischi di disintegrazione e le garanzie previste dal quadro giuridico rilevante. L’undicesimo capitolo (“The Financial Transaction Tax Project”) è stato realizzato da Van Cleyenbreugel e Devroe e si sofferma su una delle opzioni avanzate durante la crisi, ovvero una tassa sulle transazioni finanziarie. Nel capitolo vengono analizzati i pro e i contra di una possibile cooperazione rafforzata. Weimar e Vos nel dodicesimo capitolo (“Differentiated Integration or Uniform Regime? National Derogations from EU Internal Market Measures”) affrontano la questione delle deroghe nazionali al mercato interno europeo, inquadrando la questione alla luce della tensione esistente fra armonizzazione e rispetto della diversità giuridica. Nel capitolo vengono analizzati sia i casi di deroga attraverso clausole opt out sia i casi di differenziazione attraverso clausole di salvaguardia. Nel tredicesimo capitolo (“Flexibility in EU Environmental Law and Policy: A Response to Complexity, or Fig Leaf for Expediency?”) Kingston ricorda l’importanza che gli strumenti flessibili hanno avuto nella politica ambientale europea, ricostruendone origini e tipologie, ma anche interrogandosi sulla desiderabilità di alcuni limiti volti a preservare le politiche europee in questo ambito. Un approccio molto diverso, improntato all’esclusione di forme di integrazione differenziata – sia sotto forma di quella che l’Autrice chiama flessibilità informale, relativamente ai fenomeni di attuazione discrezionale e impropri delle politiche europee, sia in forma di accordi ufficiali – caratterizza il capitolo di El Enany sulle politiche di asilo (“The Perils of Differentiated Integration in the Field of Asylum “). L’Autrice ricorda come tali strumenti flessibili abbiano permesso negli anni al Regno Unito di adottare un approccio “cherry picking” (p. 382) che ha indubbiamente danneggiato il processo integrativo in questo campo. Nel penultimo capitolo Herlin- Karnell (“Between Flexibility and Disintegration in EU Criminal Law”) ricostruisce il significato del concetto di integrazione flessibile in ambito penale europeo, cercando di mostrare come in tale area emergano in maniera chiara i limiti di un’integrazione differenziata (p. 384). L’ultimo capitolo, a firma di Koutrakos (“Foreign Policy between Opt-outs and Closer Cooperation”), analizza le forme di integrazione diversificata nell’ambito della politica estera. Nel suo contributo l’Autore presenta la flessibilità come una caratteristica inerente nel settore della politica estera e di sicurezza comune, analizzando i casi di opt out generali (il caso danese) e quelli di opt out specifici o “ad hoc”, come l’Autore li definisce. L’ultima parte del contributo guarda allo scenario post-Lisbona.

Forse, data l’incredibile varietà di esperienze e fenomeni analizzati sarebbe stato preferibile insistere sulla costruzione iniziale di una categoria analiticamente unica di integrazione differenziata, che rendesse i casi analizzati più omogenei dal punto di vista del lettore. Allo stesso tempo, sembra mancare una conclusione che faccia “sistema” richiamando la struttura unitaria dell’opera. Comunque, il volume offre una miniera di spunti per lo studioso del diritto dell’Unione, che non solo vi troverà una solida ricostruzione delle diverse sfaccettature in cui la flessibilità si presenta a livello sovranazionale, ma che apprezzerà anche lo sforzo fatto per ricondurre al concetto di differenziazione anche esempi o esperienze di integrazione normalmente non analizzati sotto questa categoria. Tuttavia, il libro recensito è di sicuro interesse anche per il comparatista. Analogamente a quanto sostenuto da de Witte nel primo capitolo, anche nel diritto comparato l’asimmetria è stata sempre relegata ad eccezione nella vita dei sistemi federali e quasi federali e quest’approccio può essere visto come una delle conseguenze dei “residui contrattualistici” delle concezioni del federalismo (per cui, se il foedus è un contratto, allora alle sue parti deve essere garantito un eguale trattamento e dignità).

Come ha puntualizzato meglio di altri Palermo in Italia, questa visione dell’asimmetria ha tuttavia il torto di ridurla alla questione della distribuzione delle competenze, dimenticando altre due importanti questioni che hanno dato, spesso, ospitalità costituzionale all’istituto: il finanziamento e la rappresentanza istituzionale degli enti sub-statali (questione che, peraltro, permette di qualificare come «asimmetrico» anche un ordinamento tradizionalmente – o almeno fino alla riforma costituzionale del 2006 – ritenuto simmetrico: la Germania). Se infatti si include nel concetto di asimmetria anche la dimensione della rappresentanza, allora in virtù della composizione del Bundesrat, l’espediente della rappresentanza “geometrica” (proporzionale alla popolazione) invece che “aritmetica” (un eguale numero di rappresentanti indipendentemente dalla popolazione delle unità del sistema federale di riferimento) rende l’ordinamento tedesco “asimmetrico”. Questo approccio alternativo all’asimmetria permette di “ripensarla” in termini di “regola” – e non di “eccezione” – nella vita dei sistemi federali.

Come nel diritto comparato, anche nel diritto sovranazionale si è molto riflettuto sulla necessità di rendere sostenibile tale flessibilità (molto interessanti le considerazioni di Thym e Kingston in proposito, nel Volume qui recensito). Di particolare interesse è poi il capitolo di Curtin e Fasone relativo all’impatto della differenziazione sulle Istituzioni sovranazionali, pensando a configurazioni anche de iure condendo.

Se resa “sostenibile”, ovvero se esercitata nel rispetto di alcune garanzie (procedurali e sostanziali) volte a salvaguardare il nucleo costituzionale del sistema di riferimento, l’asimmetria e la flessibilità si presentano quindi come strumenti di integrazione (seppur differenziata) e non come fattore di disintegrazione. Per esempio, guardando alla cooperazione rafforzata, si possono ricordare le seguenti garanzie: 1) il numero minimo di Paesi necessario per attivarla; 2) il necessario coinvolgimento delle Istituzioni sovranazionali; 3) la clausola di apertura, che permette anche agli Stati che hanno deciso di non partecipare immediatamente di aggregarsi in un secondo momento; 4) l’esistenza di ambiti/settori che non possono essere messi a repentaglio dalla cooperazione rafforzata: il mercato interno, la coesione economica, sociale e territoriale ai sensi dell’art. 326 TFUE; 5) infine, il fatto che non possa costituire un ostacolo o giustificare una discriminazione per gli scambi tra gli Stati membri, né possa provocare distorsioni di concorrenza tra quest’ultimi, (si vedano gli Art. 20 TUE e da 326 a 334 TFUE).

In conclusione, si tratta di un libro molto interessante da vari punti di vista, basato su una solida struttura e frutto di un dialogo riuscito fra prospettive diverse.