Recensione a “Richard Mullender, Matteo Nicolini, Thomas D.C. Bennett ed Emilia Mickiewicz (eds.), Law and Imagination in Troubled Times: A Legal and Literary Discourse, Routledge, 2020”
In che modo l’analisi giuridica può unire immaginazione e realtà all’interno dei dibattiti dottrinali, al fine di sviluppare tracce teoriche senza tuttavia trascurare il piano pratico? Il libro Law and Imagination in Troubled Times: A Legal and Literary Discourse , curato da Richard Mullender, Matteo Nicolini, Thomas D.C. Bennett ed Emilia Mickiewicz, raccoglie percorsi che contestualizzano l’attività speculativa pura, trovando la necessaria collocazione epistemologica nel rapporto fra “a cultural competence, a faculty of mind, a capacity for comprehension, synthesis, and creativity” (p. 1) e la complessità del mondo contemporaneo. L’obiettivo di questo percorso critico è alquanto ambizioso: soddisfare “the urgent need for composed creativity” (p. 3) nei suoi significati programmatici, oltre che esortativi.
Le parti di cui si compone il volume mostrano uno sviluppo giuridico-letterario creativo attraverso un approccio interdisciplinare. La prima e la quarta parte, ovvero ‘Imagination, law, and history: framing the future’ e ‘The future of the legal imagination’, si soffermano sullo sviluppo storico-dottrinale, mentre la seconda e la terza parte ‘The courts and the legal imagination’ e ‘Thought, stylistics, and discourse’ delineano un processo di giustificazione descrittiva e determinazione teorica, incentrandosi sul funzionamento dei tribunali e sui modelli di pensiero giuridico, armonizzando una molteplicità di temi.
Il capitolo ‘The progress of legal education in England’ sottolinea il ruolo fondamentale dell’approccio creativo nell’educazione giuridica inglese, in particolar modo nelle università e nelle law schools. Dopo aver illustrato l’evoluzione dell’educazione giuridica in Inghilterra, la tesi proposta da Sir John Baker riflette sulla possibilità che “the system in operation today in academic law schools is an amalgam of the methods from the past” (p. 31). Il capitolo ‘The dragon in the cave: Fleta as a legal imagining of early English common law’ analizza il Fleta, Seu Commentarius Juris Anglicani, un compendio di statuti dell’ultimo decennio del XIII secolo, considerato dall’Autore come un esempio di “legal imaginings manifest as legal texts, written inscriptions that become […] collections of statutes, legal codes, or legislation” (p. 34). In questo saggio, J.C. Gooch assume come il disordine sociale e politico di un periodo medievale ‘tormentato’ produca un impatto sia coevo che successivo sulla capacità creativa in ambito giuridico, al punto tale da ispirare le tesi di Thomas Hobbes e favorendo “a political philosophy that affected western civilisation for years after the Enlightenment” (p. 51). Il capitolo intitolato ‘The apotheosis of King Charles I’, scritto da I. Ward, è un’indagine costituzionale ed estetica che parte dal capolavoro di Rubens. La prima parte del contributo è un esempio di forza narrativa, in grado di trasformare il lettore in un testimone invisibile, che scruta i fatti attraverso il vino di porto versato nel bicchiere servito a Carlo I. In questo spazio narrativo emerge la “struggle between those who were ‘wrong but romantic’ and those who were ‘right but repulsive’” (p. 70).
Il funzionamento delle corti, oggetto della seconda parte del libro, rappresenta uno dei luoghi naturali in cui le capacità immaginifiche possono intrecciarsi con la logica giuridica, alimentando, però, la sovrapposizione dei poteri legislativo e giudiziario. Il capitolo di E. Mickiewicz è una panoramica su come – e se – “productive and reproductive imagination can be used to assess the limits and legitimacy of judicial decision-making” (p. 75). Il capitolo ‘Law and belief: The reality of judicial interpretation’ offre una riflessione sull’importanza che il circolo ermeneutico riveste nell’attività interpretativa del giudice, ripensando in modo critico non solo le teorie dell’interpretazione, ma anche la funzione che esse svolgono. S. Fraley esamina l’attività della Corte Suprema degli Stati Uniti in alcuni leading cases (come Obergefell v. Hodges; Citizens United v. FEC; District of Columbia v. Heller), con l’obiettivo di far risaltare la tesi per la quale le teorie dell’interpretazione giuridica sono spesso utilizzate per giustificare un risultato interpretativo, piuttosto che deduttivo. Secondo l’Autore, l’ethos pubblico, considerato come “the public’s own legal imagination” (p. 107), può risolvere “the Court’s inconsistent application of legal interpretation” (p. 107). Il capitolo seguente ‘Legal imagination or an extra-legal hoax: On storytelling, friends of the court, and crossing legal boundaries in the US Supreme Court’, di A. Wawrzyszczuk, affronta in modo critico il realismo giuridico, sostenendo che all’interno della funzione giurisdizionale trovino spazio differenti narrazioni.
La terza parte del volume si apre con il capitolo intitolato ‘The French Revolution and the programmatic imagination: Hilary Mantel on law, politics, and misery’, che esplora il romanzo di Hilary Mantel A Place of Greater Safety attraverso l’analisi contenuta in Modern Social Imaginaries di Charles Taylor. Richard Mullender riflette sul concetto di ‘immaginazione programmatica’, intendendolo come “human capacity to envision (more or less precisely) social improvements that involve the mobilisation of legal and political resources and that necessitate concerted human action” (p. 133), proponendo il ruolo di ‘diagnosi deflazionistica’, anziché di invito all’azione per il miglioramento sociale, alimentando, così, lo spazio per una critica alle opinioni comunitarie riassunte nell’ipotesi conclusiva: “we could not expect, on all occasions, an emphatic ‘Yes’ in response to the question, ‘Feeling safe, are we?’” (p. 155). In questo percorso teorico, il concetto di “miseria egualitaria” lancia una sorta di maledizione nella ricerca di valori che la natura umana può principalmente immaginare, poiché, secondo l’Autore, “misery may be our fate” (p. 154). P. O’Callaghan, nel capitolo “Internal coherence and the possibility of judicial integrity”, afferma che la mera coerenza fra principi, e fra principi e azioni, non produce di per sé integrity. Per rimediare a questa mancanza, secondo l’Autore i giudici devono riflettere su tre aspetti essenziali: “on their role-distinct obligations, mistakes made in their official function, and their personal failings” (p. 172). Il capitolo ‘Legal humanism: ‘Stylistic imagination’ and the making of legal traditions’, di C. Costantini, colma il divario tra ‘l’uomo di diritto’ e ‘l’uomo di lettere’. La notevole analisi dell’immaginazione stilistica come strumento tassonomico o tecnica descrittiva sottolinea il ruolo dei crittotipi e dei formanti della tradizione inglese nel modellare le costruzioni sociali e le relative aspirazioni.
La quarta parte del libro, riservata al futuro della creatività giuridica, si apre con le riflessioni di G. Delledonne su Lonesome Dove series di Larry McMurtry, con l’obiettivo di spiegare “the final years of the frontier experience [as archetypical myth] and the omens of its end” (p. 203). Il capitolo seguente ‘A Coleridgean dystopia: Formalism and the optics of judgment’, di T.D.C. Bennett e O. Reilly, collega la critica all’approccio formalistico con la produzione di sentenze “unitarie” da parte della Corte suprema del Regno Unito. Le interconnessioni tra cultura, diritto, Brexit e l’approccio immaginifico per un cambiamento paradigmatico sono i principali argomenti del capitolo conclusivo “Against the failure of the legal imagination: Literary narratives, Brexit, and the fate of the Anglo-British constitution”. In questo saggio, la tesi di M. Nicolini muove dalla proposta metodologica di J. Welby, secondo il quale il processo di cambiamento costituzionale innescato dalla Brexit richiede un “change of mood” che promuova “a new constitutional creativity” (p. 239). In effetti, l’Autore suggerisce che un approccio giuridico creativo può offrirsi come strumento per governare la complessità, attraverso l’incontro fra le narrazioni giuridiche del passato e quelle future. Per l’Autore, questo processo dovrebbe andare oltre il mero opportunismo e superare le esigenze della globalizzazione, dei mercati e dell’omologazione giuridica, trovando nella complessità e nella diversità il percorso per la riscoperta futura di narrazioni giuridiche britanniche nate nel passato.
A uno sguardo d’insieme, ci si accorge che il volume ruota intorno a tre assi fondamentali: 1) il tempo; 2) la cultura; 3) l’azione tramite il pensiero. Lo sviluppo argomentativo del volume evidenzia come il futuro influenzi il passato e viceversa, usando le capacità creative come veicolo e offrendo al lettore la possibilità di scegliere fra una comprensione lineare o circolare del contenuto. Nei vari contributi la cultura assume forme e significati assiologici differenti, sia come imposizione esogena che come tradizione endogena. La terza coordinata simboleggia e cerca di semplificare un ‘paradosso funzionale’: un libro ‘su’ letteratura e diritto che rappresenta esso stesso letteratura, alimentando un approccio creativo al diritto (persino emergendo come una sorta di formante in divenire). Va evidenziato, inoltre, che i contributi, per quanto diversi, danno forma a un’opera omogenea con peculiarità narrative disseminate tra comprensioni, visioni e percezioni metodologiche (analitiche, teoriche, pragmatiche, interdisciplinari). Nel complesso, il volume è sicuramente uno strumento indispensabile per chiunque si avvicini al diritto in modo ‘aperto’, che sappia individuare la struttura complessa delle questioni problematiche contemporanee e accettare, quindi, l’esistenza di soluzioni giuridiche non ancora pensate.