Recensione a M. Goodwin, P. De Hert (eds), European Roma Integration Efforts – A Snapshot, Brussels University Press, Brussels, 2013, pp. 276

È di recente pubblicazione, nella serie monografica del Institute for European Studies presso la Vrije Universiteit Brussel, il volume “European Roma Integration Efforts – A Snapshot”, curato da Morag Goodwin e Paul De Hert ed edito da Brussels University Press. La collettanea raccoglie gli atti di un seminario di studi svoltosi nel 2012, al quale parteciparono studiosi provenienti da diversi paesi europei con l’intento di valutare i progressi fatti nell’ambito dell’integrazione dei rom.

Appare opportuno segnalare che, nell’ambito accademico e delle organizzazioni internazionali, il termine rom ha una portata omnicomprensiva, di categoria riferita a una pluralità di gruppi, per un totale di circa 10-12 milioni di persone sparse nel continente. Non si discorre quindi di un’unica minoranza, distinguibile per tratti etnici, culturali o linguistici. Rom quale etichetta generica comprende popoli sia di origine indiana che europea, nella stragrande maggioranza dei casi con uno stile di vita sedentario, mentre solo una ridottissima parte di essi è dedita all’itineranza. Ad accomunarli sono gli stereotipi negativi e le discriminazioni subite in qualsiasi ambito (lavorativo, educativo, sanitario, abitativo), tanto che i loro componenti rientrano nella categoria dei soggetti più svantaggiati d’Europa.

Da sempre studiati da antropologi, linguisti e sociologi, i rom hanno iniziato a interessare anche i giuristi dagli anni Novanta. Inizialmente l’attenzione si è focalizzata sui diritti minoritari, in specie quelli linguistici e di partecipazione politica, riconosciuti ai rom dell’area centro-orientale in vista dell’allargamento a Est dell’Unione europea. A seguito del rafforzamento delle iniziative intraprese dal Consiglio d’Europa e dall’UE per combattere la recrudescenza dell’antiziganismo e per spezzare il circolo di esclusione multidimensionale che affligge gli individui appartenenti a queste etnie, l’ambito della ricerca giuridica si è esteso all’antidiscriminazione e all’inclusione sociale.

La raccolta che si recensisce è l’ultima di una serie di lavori a più mani, di rilevanza nazionale o internazionale, che ambiscono a fare luce sui rom con un taglio aperto alla dimensione europea e alle esperienze di vari ordinamenti. Nell’introduzione, Morag Goodwin segnala che l’opera intende soffermarsi solo sulle azioni volte a integrare tali soggetti nelle società di appartenenza, senza esaminare la questione dei diritti comunitari. Quest’ultimo essendo un tema dagli effetti sterili sulle drammatiche condizioni di emarginazione in cui versano i rom, aggiungiamo noi, anche se non sono mancate voci contrarie, in difesa dei diritti collettivi intesi come veicolo di inclusione sociale. Il passaggio da un approccio centrato sui diritti minoritari a uno rivolto all’integrazione socio-economica è ben ravvisabile nell’agenda dell’UE, essendo un obiettivo primario che si ricollega all’impegno trasposto nel Trattato di Lisbona e nella strategia “Europa 2020”. Secondo Goodwin, la spirale positiva che dovrebbe ingenerarsi come risultato delle politiche or ora intraprese va dall’eguaglianza nell’accesso ai diritti sociali e, passando per l’educazione e la partecipazione nel mercato del lavoro, produrrebbe benefici economici anche per la maggioranza, giungendo così all’accettazione sociale dei rom.

La collettanea vuole offrire delle istantanee solo su determinati ambiti, reputati di particolare interesse. I nove contributi che costituiscono il nucleo del libro sono suddivisi in due sezioni, la prima rivolta all’esame degli approcci istituzionali del Consiglio d’Europa e dell’Unione europea, la seconda di approfondimento sulle prassi e le normative di alcuni paesi. Il volume si chiude con l’estratto del rapporto dell’Agenzia per i diritti fondamentali dell’UE (FRA) sulla condizione dei rom in undici ordinamenti europei, pubblicato nel 2012.

La sezione intitolata “Examining Institutional Approaches” si apre con due saggi sulla giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani e prosegue con un’analisi della Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali. A questi lavori, calati nell’alveo del Consiglio d’Europa, si aggiunge un articolo rivolto all’Unione europea.

Il saggio di Mathias Möschel, “Is the European Court of Human Rights’ Case-law on anti-Romani Violence ‘Beyond Reasonable Doubt’”, approfondisce il tema dei numerosi casi di omicidi e brutalità contro i rom giudicati dalla Corte di Strasburgo, in violazione degli articoli 2 (diritto alla vita), 3 (divieto di tortura, trattamenti inumani e degradanti) e 14 (divieto di discriminazione) della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU). Dall’analisi affiora una giurisprudenza estremamente cauta nel riconoscere l’intento razziale alla base delle violenze. Per questo motivo, l’A. sostiene che la Corte EDU dia un’immagine dell’Europa lontana dalle problematiche discriminatorie e che contribuisca alla generale tolleranza verso i comportamenti razzisti. Anche il contributo di Jasmina Mačkić, “Proving the Invisible: Addressing Evidentiary Issues in Cases of Presumed Discriminatory Abuse against Roma before the European Court of Human Rights through V.C. v. Slovakia”, non delinea alcuna apertura della Corte EDU verso una maggiore tutela razziale. Il caso approfondito, il primo di una lunga serie di analoghi ricorsi pendenti, riguarda la sterilizzazione di una donna rom senza il suo consenso informato. Nella decisione si riconosce la lesione dell’art. 8 CEDU per le conseguenze dell’operazione chirurgica sulla vita familiare della ricorrente, ma non la violazione dell’art. 14 (divieto di discriminazione). Sebbene nella cartella medica fosse indicata l’origine etnica della donna, il pregiudizio razziale non viene riconosciuto. Questi due lavori permettono di evidenziare il diverso peso che assume il fattore etnico a seconda del tipo di cause trattate. Solo nelle fattispecie di segregazione scolastica di bambini rom la Corte EDU ha riconosciuto (anche se con alcune incertezze) la discriminazione razziale indiretta alla radice del trattamento disparitario. Diversamente, nelle situazioni che profilano una discriminazione diretta, la lunga tradizione di diniego dei giudici di Strasburgo, interrotta appena nel 2004 con un caso relativo all’omicidio di due rom, è ancora prevalente.

Il contributo di Roberta Medda-Windischer si focalizza su “The Roma and the Framework Convention for the Protection of National Minorities: A Tool to Disentangle the Dichotomy between a Socially Disadvantaged Group and a National Minority”. L’A. dimostra come la Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali sia strumento utile anche per monitorare il livello di inclusione dei rom negli ordinamenti che hanno ratificato questo trattato internazionale. Elise Muir e Mark Dawson, in “Enforcing Fundamental Rights in the European Union After the Treaty of Lisbon: What Can the Roma Case Tell Us?”, sottolineano le debolezze degli strumenti di tutela dei diritti di tipo individuale e istituzionale previsti nell’Unione europea. Entrambi i contributi evidenziano che l’attuale quadro normativo e giudiziale, sia a livello internazionale che sovranazionale, non consente una effettiva protezione dei rom. Da un lato, Medda-Windischer reputa che, senza l’adozione di misure positive da parte degli ordinamenti, i rom abbiano scarse possibilità di integrarsi. Dall’altro lato, Muir e Dawson suggeriscono di introdurre nell’UE uno strumento di vigilanza attivabile da ONG e da altri organi impegnati nella protezione dei soggetti vulnerabili, sulla falsariga del sistema adottato nell’ambito della Carta sociale europea del Consiglio d’Europa.

La sezione intitolata “Country Perspectives” comprende cinque articoli, che divergono per la scelta degli ordinamenti, dei temi trattati e dove il primo contributo è scritto da un’antropologa, mentre gli altri sono stesi da giuristi.

Great Ideas – Bad Practice: On Implementation of Policies and Programmes for Roma”, di Ada Ingrid Engebrigtsen, accosta due esperienze di tentativi di inclusione dei rom. Si tratta di casi lontani nello spazio e nel tempo (Ungheria, 1890; Norvegia, 1970-80), falliti per motivi differenti. Il primo perché i rom non vennero coinvolti nella pianificazione e nell’attuazione del programma per la loro integrazione, e rifiutarono i lavori loro proposti, in precedenza riservati agli schiavi. Il secondo perché, sebbene i rom fossero stati coinvolti nel percorso inclusivo, nella fase di attuazione le istituzioni pubbliche si interfacciarono solo con alcuni rom auto-proclamatisi rappresentanti dell’intera comunità e privi di legittimazione al di fuori delle rispettive famiglie. Entrambi i casi sono rivelatori del fatto che l’integrazione di tali gruppi non può procedere per generalizzazioni e decontestualizzazioni.

Il saggio di Uladzislau Belavusau, “Anti-Roma Hate Speech in the Czech Republic, Hungary and Poland”, evidenzia la crescita di movimenti e partiti neo-nazisti in Europa centrale e gli interventi giudiziali non tutti a favore degli individui oggetto della propaganda razzista. Sono soprattutto le corti di livello inferiore a negare le violazioni, e le loro sentenze vengono quasi sempre rovesciate dalle corti supreme e costituzionali. L’A. conclude segnalando le potenzialità offerte dalla direttiva europea 2000/43/CE che attua il principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica per combattere il discorso razzista. In particolare, viene ricordata la sentenza Feryn della Corte di giustizia dell’UE (causa C-54/07 del 10 luglio 2008), che riconosce che le dichiarazioni pubbliche di un datore di lavoro di non assumere dipendenti di una determinata origine etnica configurano una discriminazione diretta. In quel caso, i giudici di Lussemburgo permisero a una ONG di agire in giudizio, in assenza di un ricorso individuale del soggetto leso. Un’apertura che potrebbe favorire anche i rom, sovente impossibilitati a fare valere i loro diritti con le attuali soluzioni rimediali per le condizioni economico-sociali in cui versano, tali da precludere l’accesso alla giustizia.

Anna Śledzińska-Simon, nel contributo intitolato “Roma as a Discrete and Insular Minority in Poland: In a Quest for Effective Rights Protection Mechanisms”, sostiene che il motivo per cui in Polonia i diritti non si applicano ai rom è legato ai modi in cui sono state attuate le direttive europee riconducibili al diritto antidiscriminatorio e sono stati accolti gli standard di protezione minoritaria. All’analisi dei diritti collettivi, sia linguistici che di partecipazione politica, segue una parte focalizzata precipuamente sull’inclusione. La disamina sui programmi governativi destinati al miglioramento socio-economico dei rom mette in luce diverse criticità. In primo luogo, i finanziamenti loro destinati hanno l’effetto negativo di alimentare il sentimento anti-rom; in subordine, quando i fondi vengono gestiti dagli enti locali, non è raro che vengano utilizzati per scopi non direttamente connessi all’integrazione dei rom; infine, ancora troppo basso è il numero di ONG espressione dei gruppi rom che riescono a ottenere la gestione dei progetti.

Il lavoro di Emanuela Ignatoiu-Sora, “Roma in Romania: From Law to Practice”, è particolarmente interessante perché si occupa in dettaglio dell’aspetto inclusivo nell’ordinamento romeno. Nel corso del tempo le istituzioni hanno direzionato in modo diverso l’attenzione verso i rom. All’approccio ai diritti culturali è seguito il focus sulla discriminazione e indi quello sull’inclusione scolastica, considerata un obiettivo prioritario dal governo. L’integrazione nell’ambito educativo registra significativi progressi compiuti nell’arco di un ventennio, anche se il traguardo della piena accessibilità è ancora lontano.

La breve rassegna delle esperienze statali si chiude con l’articolo di Jozefien Van Caeneghem che, come chiarisce il titolo “Positive Action for Roma in Belgium”, si incentra sulle misure affermative adottate per i rom residenti in Belgio. Le azioni per sostenere temporaneamente l’inclusione di tali gruppi non sono previste a livello federale, sebbene la legislazione le contempli. Spiragli di apertura si intravedono invece a livello sub-statale. Nelle Fiandre, un decreto del 1998 promuove la partecipazione delle minoranze nella comunità nell’ambito lavorativo. Sulla base di tale atto, inoltre, un ente ad hoc è incaricato di monitorare la condizione dei rom e dei viaggianti e di fungere da mediatore nei rapporti con le istituzioni. Appena nel 2002 è stato previsto un aiuto finanziario aggiuntivo per le scuole che accolgono bambini rom, e la priorità nell’iscrizione per gli alunni che hanno uno stile di vita itinerante. Sul fronte abitativo, dal 1990 il governo fiammingo finanzia quasi per intero un campo di sosta per i viaggianti e, con il codice abitativo del 2004, si è provveduto a riconoscere il caravan alla stregua di un alloggio, estendendo le garanzie legate alla casa a questo mezzo. Più recentemente, anche la regione Vallonia ha iniziato a prendere provvedimenti simili in ambito educativo e abitativo, anche se con impegno e risultati inferiori alla controparte fiamminga.

I contributi, in definitiva, convergono sul diritto antidiscriminatorio e sulle tutele giudiziali e para-giudiziali da una parte e sull’aspetto inclusivo dall’altra. Essi concorrono a evidenziare le criticità della “questione rom”, che si traducono in pochi successi e molti fallimenti da parte delle istituzioni europee e degli Stati nel garantire ai rom parità di accesso ai diritti fondamentali. Il traguardo dell’integrazione è ancora molto distante.

Il volume abbozza aspetti che dovrebbero essere divulgati maggiormente al di fuori dei circoli accademici, facendo partecipi in primo luogo legislatori, amministratori locali e organi giudiziari, affinché affrontino con maggiore impegno gli ambiti che vertono su misure affermative, accesso ai diritti sociali e relativi rimedi processuali. Ancora, le analisi dottrinali di giuristi, antropologi e sociologi sono fondamentali per fare luce su esperienze riuscite e su soluzioni esportabili altrove. La vastità del campo di indagine, sia dal punto di vista geografico sia da quello scientifico, in quanto coinvolge più discipline, è tale da richiedere ulteriori sforzi da parte dei cultori del tema, al fine di continuare a monitorare le tendenze a livello europeo, delineare nuove strategie o soltanto per segnalare le cause degli insuccessi.