Recensione a C. Caruso, La libertà di espressione in azione. Contributo a una teoria costituzionale del discorso pubblico, Bologna, 2013, pp. 395.
Il volume di Corrado Caruso si propone come un approfondito contributo ad un tema di stringente attualità quale è quello del ruolo della libertà di manifestazione del pensiero nelle odierne società multiculturali e multirazziali. Oggetto della riflessione è il discorso pubblico, che sottende una teoria della libertà di pensiero tesa da un lato alla formazione della propria personalità individuale e dall’altro a orientare le scelte democratiche dell’ordinamento. L’Autore articola il discorso a partire dall’analisi della struttura delle libertà nel nostro sistema costituzionale, proseguendo con l’esposizione della “teoria del discorso pubblico”, delineando i confini esterni della libertà di espressione, come individuati dalla Corte Costituzionale, ed i confini interni, desunti dall’analisi del dato giurisprudenziale della magistratura ordinaria e amministrativa.
Il primo capitolo del Libro, intitolato “Le libertà costituzionali come istituzioni”, si sofferma sulla formulazione delle libertà all’interno del nostro ordinamento costituzionale, con particolare attenzione ai meccanismi di garanzia e di bilanciamento. Il capitolo si apre con un’analisi della costruzione filosofica-dogmatica del concetto giuridico di libertà negativa all’interno delle discipline pubblicistiche, partendo dall’elaborazione compiuta nel/dall’ordinamento tedesco e dalla sua trasposizione all’interno dell’ordinamento unitario italiano. Secondo l’Autore la dogmatica liberale, “aggiornata”, caratterizza anche il modello “personalista” della Carta Costituzionale nell’elaborazione di «singole pretese all’astensione del pubblico potere» e delle garanzie che vi si accompagnano. Il capitolo continua con l’analisi delle criticità della teoria “tradizionale” dogmatica nella ricostruzione delle libertà, concludendo che nell’odierno sistema costituzionale all’astensione dei pubblici poteri deve accompagnarsi il «libero sviluppo delle potenzialità umane», anche come processo di partecipazioneai meccanismi sociali, nel quadro del pluralismo istituzionale. La teoria dell’Autore approda infine alla qualificazione delle libertà come «istituzioni in senso stretto». Il capitolo si chiude analizzando le criticità dei meccanismi di bilanciamento e la distinzione, che rileva anche in quest’ambito, fra regole e principi.
Attraverso l’analisi di alcuni sottoinsiemi della libertà di pensiero il secondo capitolo, “Dialettica della libertà di manifestazione del pensiero: verso una teoria costituzionale del discorso pubblico”, giunge alla proposizione di un’appropriata formulazione della libertà di manifestazione del pensiero nel sistema generale delle libertà costituzionali.
La libertà di manifestazione del pensiero attraverso il mezzo stampa, nella sua accezione liberale e nella sua trasposizione costituzionale offre lo spunto per l’analisi delle ricostruzioni dottrinali volte all’inquadramento della libertà di pensiero, partendo dall’indeterminatezza del testo costituzionale. L’Autore si sofferma sulla teoria sostanzialistica, nell’analisi del pensiero di C. Esposito, e sui limiti non solo formali,ex art. 21, ma anche di natura costituzionale che essa individua, per poi esaminare il superamento dell’individualismo nelle teorie democratiche che vedono la libertà di pensiero come strumento di tutela delle minoranze, con i limiti dell’incitamento all’azione. Su questa teoriasi innesta il dilemma delle democrazie fra la scelta sistemica di una impostazione “aperta” e tollerante ed una impostazione “chiusa” e protetta, che si esplica attraverso l’espediente della limitazione “orientata” della libertà di espressione.
Il bilanciamento odierno sembra risolversi nel sacrificio completo della libertà di manifestazione del pensiero rispetto al valore fondante della dignità umana, insito nell’art. 3 Cost.: si escludono così, in una nuova forma di funzionalizzazione, le idee che rifiutano lacornice pluralista, con particolare attenzione alla propaganda razzista. Si dedica in tal senso attenzione anche alle teorie, sviluppate dalla Critical Race Theory, sui danni, psico-fisici e sociali, che la diffusione di idee razziste può causare. L’Autore critica il limite della dignità della comunità come mezzo di restrizione della libertà di pensiero, con la correlata visione «trumpcard» della dignità ex art. 3, che permette di costruire barriere ideologiche al discorso pubblico nell’arena politica. Una formaancor più pervasiva e significativa della intolleranza e chiusura del sistema pluralista alle opinioni anti-sistema, ossia di quelle in contrasto con il «retroterra ideologico culturale di riferimento», è riscontrata dall’Autore nella repressione del negazionismo, inteso come species, in certe condizioni, del discorso razzista.
Si prosegue poi con l’analisi della costruzione del diritto di essere informati, che implicherebbe il superamento della nozione di libertà in senso negativo, attraverso la creazione di un «diritto sociale fondamentale» che non sarebbe tuttavia in grado di assorbire la libertà di pensiero tout court: si analizza in particolare il diritto a essere informati, fra la regolazione dei mezzi di informazione “tradizionali” e la rete.
La teoria proposta dall’autore è quella della libertà di espressione, come discorso pubblico, tesa alla formazione di uno spazio politico, scevro il più possibile da limitazioni, lesive del principio contro-maggioritario e della vita democratica dell’ordinamento. All’interno della contrapposizione fra ragione pubblica e discorso pubblico, che postula una neutralità verso i contenuti, è quindi necessario favorire tale libertà sia nei confronti dello Statoche delle comunità. Postulato dellateoria è un effettivo accesso ai mezzi di diffusione delle idee e di partecipazione pluralista, che si accompagnaalla indifferenza contenutistica: neutralità e apertura sono i presupposti di un’autentica rigenerazione democratica.
Si tratta di «riconciliare la naturale tensione personalista con il decisivo contributo ai processi di autogoverno democratico».
Nel capitolo terzo, “I confini esterni del discorso pubblico nelle argomentazioni della Corte Costituzionale”, l’Autore analizza i «confini esterni» del discorso pubblico come sviluppati dal Giudice delle Leggi, ossia l’evoluzione dell’interpretazione dei limiti alla libertà di manifestazione del pensiero. In prima istanza si analizzal’orientamento più risalente della Corte legato alla teoria dei c.d. limiti naturali, che nasconderebbero dietro un’apparente velo di neutralità una subordinazione alle scelte legislative in materia di reati di opinione, attraverso la tecnica dissociativa di lettura dell’art. 21. A tale teoria si associa un giudizio di bilanciamento teso alla soppressione di una libertà, quella di espressione, a favore di altri interessi «sovracostituzionali». Questa tecnica ha avuto un riscontro anchesulla libertà di stampa nell’individuazione dei limiti legati ai diritti della personalità. In un secondo periodo, fra gli anni ’60 e ’70, l’orientamento della Corte muta ritenendo lo strumento dissociativo teso a individuare una sottoclasse di comportamenti punibili e aumentando il numero dei presupposti per l’applicazione della norma penalein relazione ai reati di opinione: si analizza la giurisprudenza da collegare al c.d. bilanciamento definitorio. La formalizzazione delle tecniche di giudizio permette di giungere a una maggior garanzia rispetto al contenuto del discorso pubblico, con lo spostamento della censura dal dicere al facere che un’espressione può avere. Con l’abbandono della tecnica dissociativa si determina un nuovo tipo dibilanciamento fra interessi costituzionali confliggenti: l’Autore con una consistente casistica giurisprudenziale evidenzia come ciò tenda a lasciare ai margini del sistema costituzionale l’art. 21.
Un approfondimento specifico è poi dedicato alla necessità di garantire la pluralità di voci, intese come comunicazione politica, all’interno del mercato radio-televisivo e alla giurisprudenza della Corte in materia. In quest’ultimo ambito, e nella più ampia categoria dei mezzi di diffusione delpensiero, si può riscontrare una maggior attenzione da parte della Corte al ruolo che il discorso pubblico assume all’interno di una società democratica. Si tratta tuttavia di una serie di decisioni che non vengono ricomprese nella costruzione di una teoria sistematica da parte della Corte. A conclusione l’Autore prospetta una simmetria fra il primo periodo della Corte con quello della Corte Suprema Statunitense dell’Espionage Act e in relazione alla casistica nelle pronunce sul sistema radiotelevisivo, sul piano della tecnica argomentativa, all’atteggiamento di ad hoc balancing della Corte Suprema in era maccartista. Malgrado le differenze con il sindacato di legittimità (strict scrutiny) statunitense, l’Autore sembra rinvenire anche nella giurisprudenza costituzionale italiana, con i doverosi distinguo, quella comune volontà di annoverare la manifestazione del pensiero «tra le condizioni materiali che legittimano l’assetto procedurale (e formale) delle moderne democrazie rappresentative».
Il quarto e ultimo capitolo, “La struttura interna del discorso pubblico nelle argomentazioni degli “altri” giudici”, si occupa dei «confini interni» della manifestazione del pensiero. Il capitolo si concentra sulla propaganda razzista contro i gruppi e sulla libertà di pensiero in relazione all’individuo, nell’analisi dei limiti dell’onore e della reputazione, nel contesto del foro pubblico o privato. In tema di propaganda razzista l’Autore si sofferma sull’iter giurisprudenziale del c.d. caso Tosi e sulla restrizione della libertà di pensiero quando essa leda la dignità umana tutelata dall’art. 3: in relazione al «limite logico del pensiero-azione» rileva,nelle circostanze concrete del caso,la debolezza nella ricostruzione del nesso eziologico. La critica si concentra sulla costruzione della fattispecie penalistica tesa a incriminare la propaganda razzista e sul meccanismo di bilanciamento, incentrato esclusivamente sul polo della dignità umana. Un’analoga censura contenutistica è rilevata a livello convenzionale con la restrizione, ex art 17 Cedu, dei discorsi dell’odio, soprattutto di quelli antisemiti e negazionisti, estesa successivamente a quelli islamofobi. Cambia la tecnica argomentativa ma il risultato è il medesimo: una restrizione del discorso sulla base del suo contenuto.
Si giunge quindi a una proposta di riformulazione del reato di propaganda razzista, la quale tenga in considerazione il pericolo potenzialmente derivabile per il bene giuridico protetto nelle circostanze fattuali concrete. Questa riforma sarebbe da intraprendere a livello legislativo o in via pretoria tramite intervento della Consulta, cui non osterebbero, secondo l’Autore, i disposti della “Convezione internazionale sulla eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale” del 1966 e il 2008/913 GAI.
Un maggior favor per la libertà di pensiero e un bilanciamento più attento si è registrato in materia di diritto di cronaca in relazione al decoro, l’onore e la reputazione, fino alla creazione di un tutela più forte, con la dismissionedel requisito della veridicità, per il diritto di intervista. Nella garanzia del diritto di cronaca sarebbe riscontrabile, secondo l’Autore, un’attenzione e una tutela particolare per il discoro pubblico: ciò è rilevabile in alcune pronunce sul diritto di critica in materia politica ed amministrativa, contemperato tuttavia dal ruolo pubblico/politico ricoperto dall’offeso, che sarebbe idoneo a creare regimi differenti.
In tema rilevano anche le decisioni dei giudici amministrativi, in una casistica giurisprudenziale che va dai decreti di espulsione alla libertà di riunione. Anche in materia di trasmissioni radiotelevisive si può assistere alla valorizzazione del discorso pubblico come possibilità di formazione di un’opinione consapevole, con un’attenzione particolare alla par condicio e alla c.d. comunicazione politica, da valutarsi in vari aspetti, enucleati nel paragrafo.In relazione all’ambito televisivo viene anche analizzata la necessaria presenza di una pluralità di soggetti sul mercato radiotelevisivo, con l’analisi del caso Centro Europa 7, da cui si rileva tuttavia una discrezionalità del potere pubblico che lede il discorso pubblico.
Una maggior libertà del discorso pubblico potrebbe allora vedersi nei nuovi media, on-line, che, nell’interpretazione giurisprudenziale finora sviluppatasi,risulterebbero portatori di una libertà di manifestazione del pensiero più ampia di quella concessa ai mezzi tradizionali.
Si assiste quindi da un lato a limitazioni della libertà di pensiero basate sul mero contenuto del discorso, come nella propaganda razzista, e dall’altro a una valorizzazione del discorso pubblico nel prisma dell’interesse pubblico alla diffusione del pensiero, salvo rilevare le criticità legatealla«restrizione sottotraccia» del diritto di critica nel caso di tutela di soggetti “deboli” e la discrezionalità del pubblico potere nel caso Europa 7, in cui si limita il pluralismo di informazione.
Nelle “Osservazioni finali” si riafferma il ruolo centrale delle corti all’interno dell’ordinamento italiano e l’atteggiamento collaborativo della Corte costituzionale rispetto agli interventi repressivi legislativi, in contrasto con il ruolo contro-maggioritario assunto dalla Corte Suprema Statunitense, che si rende custode ultima del discorso pubblico.
Il libro fornisce un’attenta critica alle attuali teorie dominanti in tema di libertà di pensiero, evidenziandone la frammentazione in tanti micro settori, cercando al contrario di delineare una teoria unitaria basata sul concetto didiscorso pubblico, che non si chiuda nel carattere di libertà negativa, ma si spinga a un ruolo attivo e trasformativo della società, incorporando anche il diritto a informare e ad essere informati. Si auspica quindi la creazione di un’arena pubblica, in cui riecheggia la teoria del marketplaces of ideas statunitense, in cui l’individuo sia libero di manifestare le proprie idee per cambiare la società, in nome della propria personale Weltanschauung. L’ordinamento dovrebbe a questo fine assumere una prospettiva di neutralità rispetto al contenuto delle idee espresse. A differenza della teoria liberale del sistema statunitense del marketplace of ideas, l’Autore sembra prospettare la necessità di garantire il pluralismo nell’accesso ai media, attraverso una regolamentazione che, opportunamente modulata dallo Stato, promuova e tuteli la c.d. comunicazione politica. Si tratterebbe in definitiva di creare una tutela rinforzata per la libertà di pensiero o perlomeno un suo bilanciamento più “coerente” con altri principi costituzionali, fra cui la dignità umana; in ciò si può cogliere l’influenza della teoria della preferred position garantita nel sistema americano alla libertà politica tutelata dal Primo Emendamento. All’interno di un quadro così articolato potrebbero trovare una collocazione, svolgendo una funzione democratica, anche quelle idee anti-sistema potenzialmente lesive della dignità dei gruppi, categoria peraltro fortemente criticata dall’Autore. L’attenta analisi del dato giurisprudenziale, nella disomogeneità del bilanciamento della libertà di espressione con altri interessi costituzionali nei vari ambiti di applicazione della stessa, potrebbe lasciare aperta la possibilità della promozione e della affermazione della “teoria del discorso pubblico” delineata dall’Autore, anche se tale processo si prefigura senz’altro lungo e articolato.