Questa iscrizione s’ha da fare. A proposito del requisito di abitualità della dimora dei richiedenti protezione internazionale

Le novità introdotte dal cd. Decreto “Immigrazione e Sicurezza” n. 113/2018 sono state molteplici e forse non sempre facili da comprendere. Alcune, tuttavia, hanno sin da subito esplicato effetti giuridici assai rilevanti (come già discusso su questo blog), specie per ciò che concerne la peculiare, ma non per questo meno importante, condizione giuridica dei richiedenti protezione internazionale. Quest’ultima, sul piano della tutela, è stata oggetto di un preciso e talvolta ingiustificato ridimensionamento. In ogni caso, si ricordi che tali soggetti sono sottoposti al vaglio della Commissione Territoriale per la concessione di un titolo che consente loro non solo la mera permanenza sul territorio, bensì identifica la natura della protezione stessa da eventuali pericoli o timori di persecuzione. Ciò nonostante, il legislatore ha ritenuto che fosse possibile la preclusione dell’iscrizione anagrafica per questa tipologia di stranieri presso il Comune di competenza, ovvero l’amministrazione del territorio che “ospita” il migrante in attesa di un responso. Allo stesso tempo, va altresì ricordato che la già citata normativa, così come confermata in fase di conversione, ha stabilito che gli stessi richiedenti asilo non possano più accedere al servizio di protezione ordinario (sinora, SPRAR) e quindi usufruire dell’accoglienza integrata che – all’atto pratico – accompagna il beneficiario verso un inserimento autonomo all’interno della comunità locale. Quale sorte, quindi, per l’identificazione della loro presenza sul territorio?
Nello specifico, l’art. 13 del DL n. 113/2018, così come convertito dalla legge n. 132/2018, ha introdotto il nuovo art. 4.1-bis nel D.lgs. 142/2015, in virtù del quale si stabilisce che «il permesso di soggiorno di cui al comma 1 non costituisce titolo per l’iscrizione anagrafica ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223, e dell’articolo 6, comma 7, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286». Una semplice lettura, quindi, sembrerebbe escludere la possibilità di registrare anagraficamente tali soggetti poiché non in possesso di tutti i requisiti di legge. Tuttavia, è bene sin da ora sottolineare che nell’ordinamento giuridico italiano il concetto di regolarità del soggiorno non coincide in maniera esplicita e diretta con il mero possesso di un permesso di autorizzazione per lo straniero, bensì tale condizione deve desumersi da un’analisi più ampia delle disposizioni di legge. È quanto si evince, tra i tanti esempi possibili, dall’art. 5 del Testo Unico Immigrazione (d’ora in poi, TUI) il quale identifica tra le ammissibili situazioni giuridiche atte a concretizzare la regolarità del soggiorno anche eventuali titoli equipollenti rilasciati dalle autorità degli Stati membri dell’Unione europea. A ciò si aggiunga che, ai sensi dell’art. 6, comma 7 del TUI, e dell’art. 15, comma 1 del DPR 31 agosto del 1999, n. 394, l’iscrizione (così come le successive variazioni o cancellazioni) nel registro anagrafico per quanto riguarda lo straniero sono effettuate alle medesime condizioni dei cittadini italiani, fatti salvi i casi e secondo i criteri previsti dalla legge e dallo stesso regolamento anagrafico.
Su questo delicato punto, vale a dire per ciò che concerne l’interpretazione della disposizione introdotta dal DL n. 113/2018, ha avuto modo di esprimersi il Tribunale di Firenze attraverso una dettagliata e ben suffragata argomentazione giuridica, prescrivendo per l’amministrazione comunale l’immediata trascrizione del ricorrente, a seguito di quella che potremmo definire una interpretazione della normativa alla luce dei dettami costituzionali. Vale la pena sottolineare che, in suddetta ordinanza, si precisa come il precetto in questione debba intendersi come «un testo legislativo inserito nell’insieme dell’ordinamento giuridico», senza per questo assumere per predominante qualsivoglia interpretazione dell’organo che lo ha emanato. Va da sé l’esigenza di utilizzare il «canone della coerenza con l’intero sistema normativo», unita ad una più certa «coerenza che andrà evidentemente ricercata anche sul piano costituzionale». Sul punto, si fa esplicito riferimento a quanto già sancito dalla Corte di Cassazione, tra le altre, nella sentenza n. 3550/1988.
Proprio questa interpretazione onnicomprensiva delle norme vigenti fa concludere in maniera netta che «ogni richiedente asilo, una volta che abbia presentato la domanda di protezione internazionale, deve intendersi comunque regolarmente soggiornante». Su questo ultimo punto, tuttavia, occorre precisare che l’eventuale regolarità dell’autorizzazione a sostare sul territorio dello Stato sarebbe comprovata dall’avvio del procedimento atto al riconoscimento della protezione internazionale, nonché attraverso il susseguente attestato rilasciato dalla Questura a qualsiasi soggetto inizi tale iter innanzi alla Commissione Territoriale. Come dire che, almeno per ciò che riguarda questo lasso di tempo e rispetto alle questioni documentali, non esiste alcun impedimento per la PA di iscrivere il soggetto all’interno dei propri registri comunali. Peraltro – come giustamente si osserva nell’ordinanza del 18 marzo 2019 – ciò che la recente normativa sembra abrogare è la cd. convivenza anagrafica, vale a dire quell’istituto che consentiva al responsabile della struttura di accoglienza dove risiede lo straniero di richiedere l’iscrizione anagrafica grazie ad una semplice comunicazione e sotto la sua responsabilità, ovvero attraverso l’invio del mero permesso rilasciato a seguito della richiesta di protezione (ex DL 17 febbraio 2017, n. 13). In effetti, con l’eliminazione di questa procedura semplificata il legislatore ha ripristinato la piena parità di trattamento (anche sul piano dell’accertamento) tra tutti i soggetti, a prescindere dalla propria condizione giuridica, ivi compresi i cittadini italiani.
Proprio sulla necessità di leggere la normativa appena riformata dalla legge n. 132/2018 in combinato disposto con tutti gli obblighi vigenti nell’ordinamento italiano, è intervenuta una decisione del Tribunale di Bologna, con ordinanza dello scorso 2 maggio 2019, che ribadisce alcuni punti essenziali già analizzati dal giudice fiorentino. In particolare, a seguito di un ricorso d’urgenza presentato in virtù delle medesime cause di diniego, il magistrato emiliano ritiene che quanto introdotto a seguito della riforma debba comunque essere interpretato alla luce degli artt. 2 e 117 Cost., l’art. 14 CEDU, nonché l’art. 2 del TUI. Tale rilevanza dei diritti fondamentali, in ogni caso, sarebbe comunque correlata da una legittimazione al soggiorno conferita dal permesso per richiesta asilo che – a parere del giudice – contemplerebbe a pieno quel requisito di abitualità della dimora necessaria per ottenere la iscrizione nei registri di residenza, ex art. 6, comma VII del TUI. Durante questo periodo, infatti, corrisponde allo straniero «l’interesse dei privati ad ottenere le certificazioni anagrafiche ad essi necessarie per l’esercizio dei diritti civili e politici» (cfr. Sentenza della Corte di Cassazione SS.UU. n. 449/00).
Nell’ordinanza di Bologna, in modo chiaro, si evidenzia come la nuova normativa e relative circolari emanate dal Ministero degli Interni non aiutino «a risolvere le complessità di compatibilità costituzionale» dei precetti in esame. Spetta, dunque, al potere giurisdizionale «la lettura costituzionalmente orientata della disposizione in parola» accogliendo l’istanza della richiedente, poiché la mancata iscrizione impedirebbe «l’esercizio di diritti di rilievo costituzionale ad essa connessi, quali solo ad esempio quello all’istruzione ed al lavoro».
Questo filone interpretativo sembra essere ancor più rafforzato anche dalla recentissima ordinanza del Tribunale di Genova del 22 maggio 2019, attraverso la quale è stato ribadito che l’iscrizione anagrafica è un diritto soggettivo perfetto del soggetto, il cui diniego implicherebbe una violazione della legge anagrafica del 1954, del successivo DPR n. 223/1989, nonché del principio di non discriminazione degli stranieri regolarmente soggiornanti, per ciò che riguarda l’accesso alla residenza. Anche in questo caso, prescrivendo l’iscrizione dello straniero nei registri, il giudice ordinario fa riferimento alla regolarità conferita dal deposito del modello C3 di richiesta protezione presso la questura, che conferma – qualora ve ne sia dubbio – l’autorizzazione pro tempore al soggiorno. Abrogato l’automatismo che prevedeva una sorta di procedura accelerata di iscrizione, quindi, si ristabilisce il precedente procedimento amministrativo ma va, comunque, fatto salvo il diritto al pari trattamento e, non ultima, la tutela dei diritti fondamentali della persona umana.