Quale bilanciamento tra i diritti nell’emergenza sanitaria? Due recentissime posizioni di Marta Cartabia e Giuseppe Conte
1. In un contesto emergenziale, come quello che stiamo vivendo, i diritti costituzionali possono essere bilanciati secondo i canoni consueti, nella ricerca di punti di equilibrio pragmatici che tuttavia non possono comportare precedenze logiche e assiologiche e speculari compressioni definitive? Oppure si manifestano spontaneamente delle gerarchie tra diritti, che determinano una pur temporanea sospensione di alcuni diritti a beneficio di altri?
Questa domanda – cruciale per la teoria dei diritti fondamentali nello stato costituzionale, e feconda di implicazioni pratiche rispetto alla valutazione della legittimità delle misure di contenimento con le quali ci stiamo confrontando in queste settimane – ha ricevuto negli ultimi giorni due risposte differenti provenienti dalla Presidente della Corte costituzionale Marta Cartabia e dal Presidente del Consiglio dei Ministri Giuseppe Conte.
Non si tratta, sia chiaro, di una controversia politica. Solo letture superficiali potrebbero vedere in questo confronto un conflitto istituzionale, o messaggi e “avvertimenti” reciproci. Si tratta invece di due posizioni molto profonde e accurate sulla teoria dei diritti e della Costituzione. Molti hanno già letto e hanno ben presenti le dichiarazioni cui mi riferisco. Ma l’autorevolezza dei protagonisti e la qualità e la chiarezza delle rispettive posizioni giustificano una riflessione più approfondita.
2. In occasione della presentazione della Relazione annuale sull’attività della Corte del 2019, lo scorso 28 aprile, Marta Cartabia ha affermato:
«La nostra Costituzione non contempla un diritto speciale per lo stato di emergenza […]. Si tratta di una scelta consapevole. Nella Carta costituzionale non si rinvengono clausole di sospensione dei diritti fondamentali da attivarsi nei tempi eccezionali, né previsioni che in tempi di crisi consentano alterazioni nell’assetto dei poteri. La Costituzione, peraltro, non è insensibile al variare delle contingenze, all’eventualità che dirompano situazioni di emergenza, di crisi, o di straordinaria necessità e urgenza […]. La Repubblica ha attraversato varie situazioni di emergenza e di crisi – dagli anni della lotta armata a quelli più recenti della crisi economica e finanziaria – che sono stati affrontati senza mai sospendere l’ordine costituzionale, ma ravvisando al suo interno gli strumenti idonei a modulare i principi costituzionali in base alle specifiche contingenze: necessità, proporzionalità, bilanciamento, giustiziabilità e temporaneità sono i criteri con cui, secondo la giurisprudenza costituzionale, in ogni tempo deve attuarsi la tutela «sistemica e non frazionata» dei principi e dei diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione, ponderando la tutela di ciascuno di essi con i relativi limiti. Anche nel tempo presente, dunque, ancora una volta è la Carta costituzionale così com’è – con il suo equilibrato complesso di principi, poteri, limiti e garanzie, diritti, doveri e responsabilità – a offrire alle Istituzioni e ai cittadini la bussola necessaria a navigare «per l’alto mare aperto» dell’emergenza e del dopo-emergenza che ci attende».
Sono parole che poggiano e sviluppano la costruzione elaborata dalla Corte costituzionale nella sentenza sul caso Ilva (85 del 2013), nella quale la Corte aveva affermato:
«Tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri. La tutela deve essere sempre «sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed in potenziale conflitto tra loro» (sentenza n. 264 del 2012). Se così non fosse, si verificherebbe l’illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe “tiranno” nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette, che costituiscono, nel loro insieme, espressione della dignità della persona. Per le ragioni esposte, non si può condividere l’assunto del rimettente giudice per le indagini preliminari, secondo cui l’aggettivo «fondamentale», contenuto nell’art. 32 Cost., sarebbe rivelatore di un «carattere preminente» del diritto alla salute rispetto a tutti i diritti della persona».
Vale la pena ricordare che perfino la notissima sent. n. 15 del 1982 della Corte cost., sebbene tanto gravemente incisiva sul diritto di libertà personale, affermava che «pur in regime di emergenza, non si giustificherebbe un troppo rilevante prolungamento dei termini di scadenza della carcerazione preventiva, tale da condurre verso una sostanziale vanificazione della garanzia».
Nella visione di Cartabia – sembra di capire – la dottrina espressa dalla Corte nel caso Ilva non è dunque revocata a fronte di un contesto emergenziale, perché lo stato di emergenza non può comportare, nel nostro quadro costituzionale, l’accesso a legalità parallele e alternative a quella unitaria della Costituzione. L’emergenza deve, semmai, essere apprezzata come condizione di fatto nella valutazione del giudice delle leggi, il cui giudizio non è condotto in astratto, ma è calato sulla circostanza concreta. Di qui la metafora, di grande eleganza e valore esplicativo, dei diritti costituzionali come «finestre aperte sulla realtà» (in questo senso l’intervista rilasciata al Corriere della Sera, 29 aprile 2020, p. 9).
Come è ovvio, nulla in questa dottrina costituzionale lascia presagire critiche o perplessità sulla legittimità delle misure fin qui adottate per il contenimento del virus, come si è superficialmente voluto fare. Cartabia prospetta invece un metodo di interpretazione costituzionale: le emergenze non possono non rilevare quali elementi di particolare importanza nelle operazioni di bilanciamento, ma non devono inibirlo, schiacciando su un solo polo la necessità di composizione proporzionata tra diritti e interessi della collettività.
3. Intervenendo il 30 aprile alla Camera dei Deputati per l’informativa prevista dal recente Decreto-legge n. 19/2020, Giuseppe Conte ha affermato:
«Il diritto costituzionale – lo ricordo innanzitutto a me stesso – è equilibrio: equilibrio nel rapporto tra poteri, equilibrio nel bilanciamento dei diritti e delle garanzie. Quando – come in questa stagione di emergenza – sono in gioco il diritto alla vita e il diritto alla salute, beni che oltre a vantare il carattere fondamentale costituiscono essi stessi il presupposto per il godimento di ogni altro diritto, le scelte per quanto “tragiche”, come direbbe Guido Calabresi, diventano addirittura obbligate».
La posizione di Conte prende dunque le mosse dall’esigenza della ricerca di equilibri tra i diritti, richiamando implicitamente il senso del messaggio di Cartabia. Ma alla prospettiva di un equilibrio come metodo incessante egli muove un’obiezione che potremmo definire “contestuale”, ovvero la sussistenza di una situazione emergenziale, e un’obiezione che potremmo definire “sistematica”, ovvero la priorità dei diritti alla vita e alla salute.
L’obiezione “contestuale” poggia su solide premesse teoriche. Senza necessariamente richiamare Carl Schmitt e la figura della «dittatura commissaria», l’idea che crisi ed emergenze giustifichino deroghe alla disciplina costituzionale e ai canoni consolidati di interpretazione ha trovato accoglimento nel diritto internazionale e nelle previsioni di molte carte costituzionali, nelle quali il diritto emergenziale è preordinato alla salvaguardia di interessi primari, e giustifica sospensioni dei diritti fondamentali, salvo le eccezioni previste per i diritti assoluti. A tutto ciò, Conte aggancia l’essenzialità di un’azione orientata al principio di precauzione, che nel suo intervento è più volte richiamato, e a cui egli ha fatto riferimento anche in precedenti interventi.
Anche l’obiezione sistematica ha solide fondamenta. Anzitutto di ordine testuale: si sarà notata l’evocazione della “fondamentalità” dell’art. 32 Cost., che cerca incessantemente una propria identità giuridica. Quindi di ordine logico: la “strumentalità” della vita e della salute rispetto agli altri diritti. Ad ulteriore fondamento di questa tesi potrebbe ulteriormente addursi che – al di là delle gerarchie formalmente imposte dalla Costituzione – vi sono differenze qualitative tra i beni di pregio costituzionale: la compressione di alcuni di questi è definitiva e non ristorabile (la salute e la vita certamente rientrano tra questi), mentre in altri casi la compressione di un diritto non ne determina un sacrificio definitivo. I diritti del primo tipo sono palline di cristallo, molto fragili, mentre i diritti del secondo tipo sono delle palline antistress, che recuperano la loro forma originaria in pochi secondi.
È, questa, una posizione che deve essere peraltro contestualizzata alla luce delle responsabilità politiche di Conte e del Governo in questa fase drammatica della nostra storia. Più in generale, si può leggere sottotraccia la rivendicazione da parte della politica di una posizione che consenta di assumere decisioni anche a fronte di dilemmi che non consentono soluzioni di equilibrio. In questo senso va letto il richiamo alle “scelte tragiche” di cui parla Guido Calabresi. Di fronte a questa difficoltà, la priorità della vita e della salute e le evidenze scientifiche orientate alla «massima precauzione» – cui pure Conte si è richiamato in apertura del suo intervento – hanno evidentemente assolto la funzione di abilitare l’elaborazione dell’azione del Governo.
4. Penso che le due posizioni, pur brevemente richiamate, siano particolarmente efficaci e idonee a favorire un dibattito su un tema di rilievo. E non voglio sottrarmi ad esprimere la mia opinione, seppure nella consapevolezza della complessità di questi temi, nell’auspicio di provocare un confronto più ricco e articolato.
Nella mia prospettiva, il diritto costituzionale incorpora una valutazione circa forme e limiti dei poteri eccezionali e circa il grado di comprimibilità dei diritti individuali anche nelle situazioni di emergenza.
È certamente vero che le Costituzioni non sono codici la cui interpretazione possa svolgersi in modo rigido e formalistico, avendo riguardo alle sole regole ricavate dal testo; esse vanno piuttosto calate nel contesto storico, ed impongono uno sforzo ermeneutico aperto a una pluralità di apporti. E tuttavia, gli uomini si danno delle Costituzioni per garantire principi, diritti ed equilibri istituzionali proprio nei momenti di crisi, quando le tutele dei diritti risultano più esposte ai rischi di arbitrio. Le Costituzioni nascono spesso nel pieno di emergenze straordinarie e in contesti storici del tutto eccezionali; ciò è particolarmente vero per le Costituzioni europee del secondo dopoguerra, che sono state scritte da donne e uomini che conoscevano il significato della povertà, della guerra, delle rivoluzioni, della precarietà. Esse dunque non sono state scritte nella tranquillizzante prospettiva di un futuro senza storia, ma nella pretesa di proteggere le conquiste della nostra civiltà nella consapevolezza della conflittualità e della precarietà della condizione umana.
Questa premessa ha implicazioni rilevanti sul terreno del bilanciamento dei diritti in contesti emergenziali. Le Costituzioni liberal-democratiche rispecchiano il pluralismo sociale che fa da sfondo al costituzionalismo del Novecento: i cataloghi dei diritti che esse incorporano sono «tavole di valori» che impostano e guidano il necessario bilanciamento tra diritti e interessi confliggenti. Al contrario, la difesa unilaterale di beni assoluti e la corrispondente evocazione di un principio costituzionale di sicurezza e prevenzione del rischio – con la sua esaltazione della paura e la pretesa tirannica di sospensione di ogni altro interesse privato e pubblico – sospendono l’impegnativo compito di incessante bilanciamento tra diritti e interessi che le Costituzioni fondano e richiedono ai soggetti chiamati a dare loro sviluppo. Il precautionary constitutionalism ipotizzato nel dibattito statunitense è, in questo senso, un inquietante ossimoro, e l’unico approdo di una applicazione protratta ed unilaterale del principio di precauzione è uno “stato di precauzione”, angosciante deriva a cui le democrazie di massa sono esposte.
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