Perché non occorre modificare la Costituzione a seguito del nuovo Patto di stabilità e crescita
1. Il 30 aprile 2024 sono stati pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea e sono entrati in vigore, in esito a un lungo e travagliato processo, i testi dei tre atti che normalmente sono richiamati, nel loro insieme, come il “nuovo Patto di stabilità e crescita”.
Non è certo questa la sede per analizzare i contenuti di tali atti, né per valutarli, in rapporto alla proposta formulata dalla Commissione, o alla precedente versione del medesimo Patto che, finita la sospensione decisa per la pandemia, sarebbero diventati nuovamente applicabili in modo sostanzialmente automatico – in assenza di adeguato consenso su ulteriori proroghe della sospensione – ove tale riforma non fosse stata tempestivamente approvata (cfr. Bartolucci; Francescangeli e Gioia). Qui ci si sofferma piuttosto su quali siano gli effetti di tale riforma sull’ordinamento italiano: a partire dalle norme costituzionali, come riscritte nel 2012, dalla legge “organica” che vi ha dato immediata attuazione, per poi arrivare alla legge sulle procedure di finanza pubblica e agli stessi regolamenti parlamentari.
Ci si è in particolare domandati, ed è invero piuttosto naturale farlo, se i nuovi atti normativi richiedano – o quanto meno suggeriscano – una modifica della carta costituzionale italiana, e in particolare delle norme dedicate ai principi e ai procedimenti di finanza pubblica (cfr. Forte). In effetti, alcuni argomenti che spingono in questa direzione ci sarebbero, alla luce della strettissima connessione che lega gli uni e gli altri alla disciplina dettata in proposito dall’Unione europea. E ciò con riferimento tanto al primo, quanto al secondo comma dell’art. 81 Cost.
Con riguardo al primo comma dell’art. 81 Cost., si è infatti osservato che il parametro principale di riferimento per la valutazione delle finanze pubbliche nazionali e per il loro coordinamento non è più rappresentato da una grandezza espressa in termini di saldo, bensì da un valore relativo alla spesa finanziata a livello nazionale (ancorché resa spuria dalla esclusione delle entrate discrezionali, ossia dalle entrate introdotte ad hoc, anche ad opera delle autonomie territoriali, e che saranno probabilmente cospicue). Più precisamente, si tratta di quella che viene definita come “spesa netta”: vale a dire, per stare alla definizione proposta dall’art. 2 del Regolamento n. 2024/1263, “la spesa pubblica al netto della spesa per interessi, delle misure discrezionali sul lato delle entrate, della spesa per i programmi dell’Unione interamente finanziata dai fondi dell’Unione, della spesa nazionale per il cofinanziamento di programmi finanziati dall’Unione, della componente ciclica della spesa per i sussidi di disoccupazione, delle misure una tantum e di altre misure temporanee”.
Il prendere in considerazione, come indicatore operativo tendenzialmente unico di questo procedimento euro-nazionale, un parametro formulato essenzialmente in termini di spesa potrebbe perciò portare a ritenere superato il riferimento all’“equilibrio tra le entrate e le spese” del bilancio dello Stato, contenuto appunto nel primo comma dell’art. 81 Cost., che era stato immaginato quando il meccanismo europeo di coordinamento si basava su grandezze espresse in termini di saldi di finanza pubblica.
Con riguardo al secondo comma dell’art. 81 Cost., si è dubitato se abbia tuttora senso mantenere la procedura ivi delineata: ossia, se ribadire, anche nel nuovo quadro, la necessità, per il ricorso all’indebitamento al verificarsi di eventi eccezionali, di un’autorizzazione delle Camere a maggioranza assoluta, visto che, ai sensi della nuova disciplina europea, ogni decisione sul rispetto dei parametri ivi stabiliti è rimessa al Consiglio dell’Unione, previa valutazione della Commissione (secondo il ricordato principio del comply or explain). Sono infatti queste istituzioni a dover valutare se lo Stato membro stia attuando in modo soddisfacente e tempestivo il Piano strutturale di bilancio a medio termine (su cui infra), o se la modifica o la proroga di tale Piano sia accettabile o meno.
In questa logica, potrebbe perciò sostenersi che quella indicata nel secondo comma dell’art. 81 Cost. rappresenterebbe ormai una procedura superflua, se non dannosa, in quanto renderebbe inutilmente più rigido e irto di difficoltà, sul piano interno, un cammino – quello volto ad introdurre ulteriore indebitamento pubblico – già tutt’altro che agevole. Si potrebbe perciò in ipotesi parlare, in proposito, di un rischio di “gold plating costituzionale”: un po’ come vi è il pericolo che lo Stato membro, nell’attuare una direttiva, introduca ulteriori limitazioni rispetto a quelle previste dalla direttiva originaria (cfr. Rivellini), qui sarebbe la Costituzione, nel restare immutata sul punto, a introdurre ulteriori ostacoli ad una flessibilità finanziaria che in molti ritengono, invece, auspicabile, e che già le procedure europee intendono in più modi limitare.
2. In realtà, a ben vedere, gli argomenti in senso opposto alla necessità – e direi anche all’opportunità – di una revisione costituzionale delle norme vigenti in materia di finanza pubblica non mancano e, anzi, paiono decisamente prevalenti rispetto a quelli fin qui enunciati.
Tali argomenti fanno leva anzitutto sul contenuto dell’art. 97, nuovo primo comma, Cost., che non da oggi considero la norma-chiave in materia di procedure finanziarie euro-nazionali, tra l’altro in quanto applicabile a tutte le amministrazioni pubbliche (Lupo).
In particolare, in questa disposizione compare il richiamo alla sostenibilità del debito pubblico, che rappresenta l’obiettivo che è posto al cuore del nuovo meccanismo: il fatto che esso non sia richiamato espressamente nell’art. 81 Cost. non mi pare decisivo, perché questa disposizione va letta come un’applicazione specifica, per il bilancio dello Stato, del principio generale di cui all’art. 97 Cost. Inoltre, e soprattutto, l’inciso, ivi contenuto, “in coerenza con l’ordinamento dell’UE” appare di rilievo cruciale e si può qualificare come una vera e propria “clausola europea” (cfr. Lupo; Bartolucci): tale inciso configura infatti un rinvio mobile che, in attuazione del principio fondamentale di cui all’art. 11 Cost., consente di introiettare nell’ordinamento interno tutte le variazioni che avvengono nell’ordinamento dell’Unione europea. Non sembra però trattarsi neppure di un rinvio del tutto “in bianco” – come pure si è autorevolmente sostenuto (De Ioanna) – perché occorre sempre che le disposizioni che così si immettono nell’ordinamento italiano, a livello costituzionale, siano volte ad assicurare principi-valori specifici indicati dallo stesso art. 97 Cost., vale a dire “l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico”; e altresì i principi-valori più generali richiamati dall’art. 11 Cost., ossia lo sviluppo di “un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le Nazioni”.
Inoltre, se si analizza con attenzione la nuova disciplina del Patto di stabilità e crescita ci si avvede che, anche se ora si prende in considerazione la “spesa primaria netta” anziché un saldo, le finalità generali che ispirano il meccanismo restino le medesime: “finanze pubbliche sane e sostenibili come mezzo volto a rafforzare le condizioni per la stabilità dei prezzi e per una crescita forte, sostenibile e inclusiva sorretta dalla stabilità finanziaria” (così il considerando n. 2 del Regolamento n. 2024/1263)
Si tratta, del resto, delle finalità che sono codificate nei Trattati, dal Trattato di Maastricht in poi (si pensi agli artt. 119 e seguenti del TFUE), nonché, ovviamente, dei “valori di riferimento”, quanto al rapporto debito-PIL e deficit-PIL, indicati dal protocollo n. 12.
In questa medesima chiave, non mi paiono neppure sussistere “buone” ragioni per far venire meno la necessità di una autorizzazione parlamentare (a maggioranza assoluta) ove il Governo, nel predisporre o modificare o prorogare il suo Piano nazionale strutturale di bilancio di medio termine, incluso il suo Percorso di aggiustamento, richiedano, per fronteggiare eventi eccezionali, il ricorso ad ulteriore indebitamento. Del resto, è lo stesso Regolamento n. 2024/1963 a far riferimento, per deroghe (e proroghe) rispetto al percorso concordato della spesa netta, a “circostanze eccezionali al di fuori del controllo dello Stato membro” (art. 26). E non escluderei del tutto il ricorso della procedura ex art. 81, secondo comma, Cost., anche ove si decida di invocare “circostanze oggettive” che impediscono l’attuazione, nei tempi concordati, del Piano nazionale strutturale di bilancio di medio termine, e ne richiedano la predisposizione di una versione “riveduta” (art. 15).
In fondo, mi pare che prevedere un coinvolgimento specifico delle due Camere e una qualche responsabilizzazione di uno spettro di parlamentari un po’ più ampio della maggioranza semplice nei casi in cui si intenda ricorrere a forme di indebitamento pubblico straordinarie, in risposta a circostanze eccezionali, appaia a tutt’oggi – anche a prescindere dalle dinamiche europee – in linea con le esigenze costituzionali di garanzia dei valori dell’equilibrio dei bilanci e di sostenibilità del debito pubblico, anche a tutela delle future generazioni, cui sono ispirate le norme costituzionali introdotte nel 2012 (così Bartolucci).
L’esperienza applicativa della procedura di cui all’art. 81, secondo comma, Cost., del resto, ha fin qui mostrato come sia tutt’altro che arduo raccogliere un consenso adeguato su tale autorizzazione: non a caso, essa è stata ripetutamente chiesta e prontamente ottenuta (Ibrido e Lupo), anche in tempi di pandemia, in cui non era scontato far votare in aula un congruo numero di parlamentari (Ibrido). Solo di recente, in un’unica occasione e per una disattenzione della maggioranza, si è registrato il mancato raggiungimento della maggioranza assoluta: il 27 aprile 2023 alla Camera, infatti, non è passata, seppure per un “incidente” (così Bartolucci), la risoluzione approvativa della Relazione con cui il Governo aveva chiesto al Parlamento di autorizzare il maggiore indebitamento.
Semmai, si tratta di trovare ora per tale passaggio parlamentare una collocazione temporale opportuna all’interno delle procedure di bilancio, come ridisegnate dalle leggi e dai regolamenti parlamentari e di identificare le corrette tempistiche per richiedere e ottenere l’assenso della Commissione e del Consiglio: forse, più che in via successiva, a valle cioè di una pronuncia delle istituzioni dell’Unione, come si tende da più parti a immaginare, fors’anche in continuità con la consultazione della Commissione finora prevista, credo che avrebbe più senso prevedere che il passaggio parlamentare preceda l’invio della richiesta alle istituzioni europee.
Soprattutto, va evitato che il suo ambito di applicazione sia indebitamente ampliato rispetto al disposto costituzionale. Non va infatti dimenticato che la necessità di tale autorizzazione è stata finora estesa, per effetto dell’art. 6 della legge n. 243 del 2012, anche laddove l’indebitamento sia dovuto non a circostanze eccezionali, bensì alla considerazione degli effetti del ciclo economico.
Più in generale, mi pare che questi argomenti si prestino ad essere ulteriormente rafforzati per effetto di un’indicazione di metodo. Ci si sta muovendo, infatti, a livello costituzionale (nella consueta chiave di una Costituzione “composita”). Dunque, è naturale che i margini per l’interpretazione dei testi normativi si amplino. Non dobbiamo dimenticarci che quello che siamo chiamati a svolgere non è un mero esercizio di ordine contabilistico, di raffronto e adeguamento di due o più termini, quanto piuttosto un’attività interpretativa, volte a proporre – ove possibile – letture dei principi costituzionali vigenti compatibili con le procedure, per come riformate a livello europeo e, in prospettiva, nei singoli Stati membri. Nella consapevolezza che la revisione costituzionale deve considerarsi un po’ l’ultima ratio, cui ricorrere in caso di radicale incompatibilità degli indirizzi di fondo, non potendosi certo auspicare una rincorsa della Costituzione italiana, così come di quelle degli altri Stati membri, rispetto ai mutamenti di volta in volta co-decisi in sede di Unione europea, specie quando questi riguardano più i mezzi procedurali che gli obiettivi sostanziali.
3. In questa chiave, credo che non si possa che apprezzare la lungimiranza del legislatore costituzionale del 2012. Mostrata, in particolare, nella scelta, esplicitata dall’art. 81, sesto comma, Cost. di non costituzionalizzare più di quanto ritenuto (allora) opportuno, in risposta ad un’esplicita sollecitazione contenuta nel c.d. Fiscal Compact e alle pressioni dei mercati finanziari (Lupo), bensì di affidare larga parte della disciplina ad una legge “organica” – o, secondo altre letture, “rinforzata” – da approvare a maggioranza assoluta dei componenti. Dunque, una fonte del diritto peculiare, modificabile solo con leggi che seguano il medesimo procedimento: com’è poi, in effetti, correttamente accaduto con la modifica alla legge n. 243 del 2012, ad opera della legge n. 164 del 2016 (Bartolucci).
Una legge “organica”, la succitata n. 243 del 2012, scritta invero un po’ in fretta, vista la conclusione anticipata della XVI legislatura (Goretti), e probabilmente – come autorevolmente si rilevò sin da subito (De Ioanna) – troppo “schiacciata” sulla normativa europea. Forse non è un caso che essa, pur avendo ricevuto modifiche testuali solo con la già ricordata legge n. 146 del 2016, sia stata colpita in questi anni da ben tre pronunce di illegittimità costituzionale (88 del 2014; 235 e 252 del 2017), tutte relative alla disciplina dei rapporti con la finanza regionale e locale.
Ebbene, mi sembra che una revisione complessiva e tempestiva di tale legge “organica” si palesi come assolutamente indispensabile. Per rendere evidente tale indispensabilità, basti qui richiamare l’art. 3, comma 2, della legge n. 243 del 2012, il quale tuttora recita: “L’equilibrio dei bilanci corrisponde all’obiettivo di medio termine”. Una disposizione ormai del tutto superata, dal momento che quella nozione di “obiettivo di medio termine” non compare più, come tale, nell’ordinamento dell’Unione europea, da cui essa era stata ripresa, tal quale, nella legislazione italiana. Dunque, non avrei dubbi nel concentrare l’attenzione del Parlamento anzitutto sulla revisione di questa legge “organica”: da effettuarsi, evidentemente, con la predisposizione di un apposito ed autonomo progetto di legge “organica” e con la speranza che, questa volta, si riesca a volare un po’ più alto e a cogliere appieno, in chiave interna, le novità, anche solo potenziali, presenti nel “nuovo metodo di governo” inaugurato con il PNRR e che ora trova alcune conferme nel nuovo Patto di stabilità e crescita.
4. Va da sé, ma è bene comunque ricordarlo, che a tale intervento dovrebbe accompagnarsi – o seguire, ma a strettissimo giro – una revisione della legge n. 196 del 2009, soprattutto quanto alle tempistiche e agli orizzonti temporali di riferimento dei diversi strumenti di finanza pubblica. Come si avrà modo di sottolineare, è bene che sia i documenti programmatici, sia le stesse quantificazioni e le norme di copertura finanziaria prendano in considerazione, da ora in poi, un quinquennio, in modo da avere sempre davanti a sé un orizzonte (quantomeno) di legislatura, onde cercare di delineare quadri pluriennali il più possibile precisi ed affidabili. Probabilmente, in questa chiave, potrebbe aver senso prevedere anche un bilancio pluriennale con una gittata quinquennale e, in ogni caso, prestare maggiore attenzione agli anni successivi al primo rispetto a quanta non se ne sia dedicata finora.
Infine, per concludere su questo aspetto, non si deve trascurare come la nuova legislazione vada tempestivamente abbinata – come purtroppo non è accaduto nel recente passato – ad una riscrittura delle norme dei regolamenti di Camera e Senato dedicate alle procedure finanziarie, a partire dalle sessioni di bilancio. Credo che non si possa fare a meno di sviluppare l’indicazione, finora rimasta priva di seguito, contenuta nell’art. 5, comma 4, della legge costituzionale n. 1 del 2012, ai sensi del quale i regolamenti delle due Camere sono chiamati a costruire procedure di “controllo parlamentare sulla finanza pubblica con particolare riferimento all’equilibrio tra entrate e spese nonché alla qualità e all’efficacia della spesa delle pubbliche amministrazioni”.
In attuazione dell’art. 5, comma 4, della legge costituzionale n. 1 del 2012 ci sarebbe stato e sembra esserci tuttora ampio spazio per costruire nuovi e più efficaci procedimenti parlamentari di controllo sulla finanza pubblica (Lupo). In particolare, mediante questi procedimenti ben si potrebbero intensificare le relazioni delle Camere, e delle loro articolazioni, con l’Ufficio parlamentare di bilancio e con la Corte dei conti: nel primo caso, codificando e perfezionando procedure appena abbozzate con un curioso atto, denominato “protocollo sperimentale”, predisposto dagli Uffici di presidenza delle Commissioni bilancio di Camera e Senato e poi condiviso dai due Presidenti di Assemblea, secondo modalità lievemente diverse, con le rispettive Giunte per il regolamento (Griglio), oltre a potenziare il ruolo dell’Ufficio parlamentare di bilancio alla luce di un decennio di funzionamento; nel secondo caso, aggiornando e rivitalizzando procedure tradizionali che hanno bisogno di essere rilette e perfezionate per più di un aspetto, nel nuovo contesto di un procedimento pienamente euro-nazionale e recentemente adeguato al “nuovo metodo di governo”, di cui si diceva, onde evitare sovrapposizioni e garantire trasparenza e controllo anche a fasi che oggi tendono a sfuggire.
L’intervento legislativo – da articolarsi necessariamente in due distinti atti normativi, approvati con diversi e paralleli procedimenti (come già si è fatto per le leggi n. 163 e n. 164 del 2016, anche se in questo caso sarebbe meglio, per ragioni di consequenzialità logica, riservare il primo numero alla novella delle “legge organica”) – e quello sui regolamenti parlamentari dovrebbero altresì costituire l’occasione per immaginare appositi momenti, a inizio legislatura e poi in corso d’anno, in cui chiamare il Governo ad esplicitare le sue opzioni programmatiche, prima che il Piano nazionale strutturale di bilancio di medio termine, con il relativo Percorso di aggiustamento, sia inviato a Bruxelles; e quindi, negli anni successivi, a confrontarsi periodicamente con il Parlamento sui progress report in merito alla loro attuazione, riferendo anche più volte l’anno sullo stato dell’arte del confronto con la Commissione europea.