Per fare un altro jobs act leggiamo Silvana Sciarra, giudice costituzionale
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L’elezione parlamentare a giudice della Corte Costituzionale della giuslavorista Silvana Sciarra deve essere salutata come un evento rilevante, per il profilo della studiosa e per la congiuntura politico-istituzionale nella quale è avvenuta. Proprio la sensibilità sociale ed europeista della giuslavorista di Trani può essere il segnale culturale, ancora prima che politico, di un nuovo discorso pubblico sui diritti sociali e del lavoro e un’ulteriore spinta garantistica nella futura giurisprudenza costituzionale. Perché l’oramai quarantennale attività scientifica, di ricerca e docenza della Professoressa Silvana Sciarra si inserisce nel solco più progressivo e socialmente consapevole dei mutamenti avvenuti nelle trasformazioni del mondo del lavoro e delle politiche pubbliche, con un’attenzione particolare alla tutela dei diritti sociali fondamentali delle persone nella prospettiva di un diritto sociale e del lavoro dal respiro continentale.
Per questo meglio lasciare sullo sfondo le considerazioni sulla “maggioranza parlamentare” che ha portato deputati PD e M5S a convergere sul suo nome. Soprattutto dopo la schietta e imbarazzante affermazione rilasciata al Corriere della Sera dal Vicepresidente della Camera, il deputato pentastellato Luigi Di Maio: «Noi Silvana Sciarra non la conosciamo». Quasi fosse sufficiente il solo criterio della «trasparenza» contro gli «inciuci», in barba a qualsiasi valutazione sostanziale e di contenuto. Sembra l’eterogenesi dei fini di una democrazia diretta ridotta a formalismo procedurale. Ma questo discorso ci porterebbe fuori strada: a indagare la condizione miserevole della democrazia, tanto rappresentativa, quanto sedicente “diretta”, nel nostro malandato Paese.
Profilo di un giudice costituzionale
Si vuole invece approfittare di questa elezione per domandarsi se è possibile introdurre in Italia, qui e ora, una nuova visione intorno alle questioni sociali e del lavoro, sulla scia di un dibattito europeo e globale al quale Silvana Sciarra partecipa da protagonista sin dall’ultimo scorcio degli anni Settanta, se si pensa alle discussioni intorno a Democrazia politica e democrazia industriale (De Donato, 1978), tra cogestione, partecipazione e controllo, a valle del “Rapporto Bullock” (1976) e degli esempi svedesi e tedeschi. Quindi al lavoro su Otto Kahn-Freund, giuslavorista e giudice del lavoro della Repubblica di Weimar, rimosso dai nazisti nel 1933 e rifugiatosi quindi a Londra, dove diverrà cittadino britannico nel 1940 (Il pluralismo e il diritto del lavoro, con Gian Guido Balandi, Edizioni Lavoro, 1982). Sono le coordinate di partenza di una studiosa che si confronta da subito con il pluralismo sociale e istituzionale iscritto in rapporti di lavoro e industriali che fanno fatica a rimanere compressi nel patto fordista di uno Stato sociale già in forte crisi di identità, dinanzi al doppio movimento di trasformazione globale del mercato del lavoro e di mutamento delle politiche pubbliche in senso neo-liberista. Per questo gli ultimi trent’anni di attività scientifica di Silvana Sciarra si sono confrontati a viso aperto con alcuni profili decisivi del nuovo diritto sociale e del lavoro.
Al di là dell’impiego tradizionale
Nel solco degli studi con Massimo D’Antona, si è affermata una sempre maggiore attenzione alle trasformazioni della contrattazione collettiva e quindi all’estensione delle clausole non discriminatorie e dei diritti sociali di nuova generazione (salute e sicurezza, formazione permanente, accesso ad ammortizzatori sociali universali) ai soggetti di tutte le forme del lavoro: da quelli titolari di un rapporto di lavoro subordinato standard, alle diverse condizioni e forme di contratti temporanei, intermittenti, flessibili e del lavoro autonomo di seconda generazione. In questa prospettiva Silvana Sciarra conduce uno studio storico e comparativo nella prospettiva continentale a cominciare dall’insegnamento presso l’Istituto Universitario Europeo di Fiesole (1994-2003) e proseguito con studi, ricerche e collaborazioni con la Commissione europea sull’evoluzione del diritto del lavoro, quindi con progetti di ricerca nazionali che hanno interrogato i «diritti sociali a esercizio collettivo» e il rapporto tra «solidarietà, mercato e concorrenza nel Welfare italiano». Questi sono gli anni in cui il diritto del lavoro europeo si confronta con il Rapporto Supiot(1999), che prova a definire un quadro pluralistico di diritti del lavoro al di là dell’impiego tradizionale (Au-delà de l’emploi, come recita il titolo francese). Sciarra intensifica il suo confronto scientifico continentale alla ricerca di una possibile integrazione sociale europea che estenda i diritti sociali e del lavoro intesi come diritti fondamentali, valorizzando il dialogo tra soggetti collettivi, giurisprudenza statale e corti europee, a partire dal rinvio pregiudiziale (Labour Law in the Courts. National Judges and the ECJ, ed. by Silvana Sciarra, Hart Publishing, 2001), fino a saggi e commenti pubblicati anche nell’Osservatorio sul rispetto dei diritti fondamentali in Europa(www.europeanrights.eu).
Solidarietà continentale e nuovo diritto del lavoro in Italia
L’urgenza di salvaguardare le garanzie del modello sociale europeo dentro l’attuale “Grande crisi” è ulteriormente ribadito nel recente volume su L’Europa e il lavoro. Solidarietà e conflitto in tempi di crisi (Laterza, 2013), con l’aspirazione di contribuire alla definizione di un nuovo progetto di solidarietà continentale, che sia un contesto più avanzato rispetto alle «note critiche sulla Riforma Monti-Fornero», formulate dalla stessa Sciarra nella Rivista di cui è co-direttrice (“Giornale di diritto del lavoro e di relazioni industriali”, 2013, pp. 471-488).
Ecco allora l’occasione culturale che l’elezione a giudice costituzionale di Silvana Sciarra potrebbe regalare all’attuale dibattito italico sulle riforme del lavoro: evitare che il conflitto intorno al Jobs Act sia una vana lotta tra l’assalto e la resistenza alla cittadella assediata del lavoro salariato, generando una guerra al ribasso con l’erosione dei tradizionali diritti del lavoro e la mancata universalizzazione delle tutele, tramite la proverbiale, e nazional-populistica, scusa: “ce lo chiede l’Europa”. Come è invece testimoniato dal dialogo giurisprudenziale continentale dell’ultimo trentennio l’evoluzione del modello sociale europeo chiede all’Italia l’introduzione di garanzie universali, a partire dal reddito minimo garantito (c’è anche una Raccomandazione del 1992), e l’adeguamento del Welfare alla tutela delle persone al di là dell’impiego tradizionale.
La bussola
Se il nostro non fosse solo l’eterno Paese di sterili Guelfi e Ghibellini, di improvvisati Pulcinella e Pantalone, l’elezione di Silvana Sciarra alla Consulta potrebbe essere intesa come un primo segnale per ripensare i princìpi di solidarietà sociale, cooperazione economica e partecipazione democratica a partire da scelte di politiche pubbliche che favoriscano una nuova visione di società e di produzione di ricchezza, avendo come bussola di orientamento la tutela della dignità delle persone in un quadro europeo che rischia di essere sopraffatto dallo strapotere dei giganti economico-finanziari.