Obbligatorietà e conciliazione nella giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea

La Corte di Giustizia Europea, nell’ambito di un giudizio di rinvio pregiudiziale, con una sentenza del 18 marzo scorso (casi C-317/08,318/08-319/08-320/08), ha ribadito il favor conciliationis più volte espresso in ambito europeo anche dalle altre Istituzioni, statuendo che “l’art. 34 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 7 marzo 2002, 2002/22/CE, relativa al servizio universale e ai diritti degli utenti in materia di reti e di servizi di comunicazione elettronica (direttiva servizio universale) dev’essere interpretato nel senso che esso non osta ad una normativa di uno Stato membro in forza della quale le controversie in materia di servizi di comunicazioni elettroniche tra utenti finali e fornitori di tali servizi, che riguardano diritti conferiti da tale direttiva, devono formare oggetto di un tentativo obbligatorio di conciliazione extragiudiziale come condizione per la ricevibilità dei ricorsi giurisdizionali. Neanche i principi di equivalenza e di effettività, nonché il principio della tutela giurisdizionale effettiva, ostano ad una normativa nazionale che impone per siffatte controversie il previo esperimento di una procedura di conciliazione extragiudiziale, a condizione che tale procedura non conduca ad una decisione vincolante per le parti, non comporti un ritardo sostanziale per la proposizione di un ricorso giurisdizionale, sospenda la prescrizione dei diritti in questione e non generi costi, ovvero generi costi non ingenti, per le parti, e purché la via elettronica non costituisca l’unica modalità di accesso a detta procedura di conciliazione e sia possibile disporre provvedimenti provvisori nei casi eccezionali in cui l’urgenza della situazione lo impone”.

Il giudice a quo (Giudice di Pace di Ischia), prima di dichiarare l’improcedibilità di alcuni ricorsi proposti da utenti di servizi di telecomunicazione, poiché non era stato esperito il tentativo obbligatorio di conciliazione, chiedeva alla Corte di Giustizia di pronunciarsi sulla conformità dia tale procedura con l’art. 234 del Trattato e con i principi comunitari di effettività, equivalenza e tutela giurisdizionale effettiva.

La Corte ha ritenuto la legittimità e conformità con il diritto dell’Unione del tentativo di conciliazione obbligatorio e pregiudiziale, così come previsto dall’art. 84 del Codice delle comunicazioni elettroniche e dal regolamento sulle procedure di risoluzione delle controversie tra operatori di comunicazione e utenti, adottato dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni con delibera n.173/07/CONS.

Tali norme di diritto interno sono state emanate in attuazione della direttiva 2002/22/CE, che disciplina il cd. “servizio universale”. In particolare, l’art. 34 della direttiva individua le coordinate che dovrebbero guidare i legislatori nazionali nella individuazione delle procedure extragiudiziali: semplicità e snellezza del procedimento, costi contenuti, un’equa e tempestiva risoluzione delle controversie, un sistema di rimborso o di indennizzo.

Per garantire un effettivo ed agevole accesso alla giustizia di utenti e consumatori e, dunque, anche ai rimedi stragiudiziali, il Legislatore sovra nazionale ha indicato agli Stati di isti­tu­ire uffici e servizi on line per l’accettazione dei reclami.

Le raccomandazioni 98/ 257/CE e 2001/310/ CE avevano già individuato le caratteristiche di tali procedure e degli or­gani competenti a co­no­scere delle controversie in via stragiudiziale, puntualizzando che le procedure conciliative possono trovare soluzione in un accordo tra le parti o in una decisione del terzo, idonea a produrre effetti vincolanti nei confronti delle parti, a condizione che le stesse siano state previamente informate della vincolatività ed abbiano espressamente accettato di partecipare ad una procedura con tali caratteristiche.

Secondo la Corte, sebbene le raccomandazioni sopra citate non siano vincolanti per i destinatari e non siano idonee a costituire diritti e obblighi nella sfera giuridica dei singoli, devono comunque essere un riferimento per i Giudici nazionali nell’ attività di “interpretazione conforme” del diritto nazionale alla luce della normativa comunitaria.

 

Dunque, secondo la CGUE, la scelta del legislatore italiano di creare un meccanismo deflattivo del contenzioso, assicurando una più immediata tutela ai consumatori coinvolti, attraverso un tentativo di conciliazione obbligatorio per le controversie tra utenti e fornitori, esperibile innanzi ai Co.re.com regionali o, in alternativa, innanzi agli altri organi di conciliazione extragiudiziale previsti dall’art. 13 del regolamento dell’Autorità, è conforme al diritto comunitario.

Più precisamente, l’art. 3 del regolamento, che sancisce l’improcedibilità del ricorso giurisdizionale, presentato in mancanza del previo esperimento del tentativo di conciliazione innanzi ai Co.re.com., assicura l’effetto utile delle norme contenute nella direttiva.

Del resto, la Corte evidenzia che le norme della direttiva lasciano liberi gli Stati membri, in sede di attuazione, di prevedere o meno l’obbligatorietà, avendo, in ogni caso, cura di salvaguardare l’effetto utile derivante dalla direttiva. In questo senso, osserva la Corte, richiamando anche le conclusioni dell’avvocato generale, la previsione, da parte del legislatore italiano dell’obbligatorietà del tentativo non solo raggiunge l’obiettivo previsto dalla direttiva, ma assicura una maggiore tutela di consumatori ed utenti, estendendo lo strumento a tutte le controversie che riguardano la materia oggetto della direttiva.

La pronuncia della CGUE, inoltre, non si ferma all’analisi della normativa comunitaria in materia di telecomunicazioni, ma valuta la conformità delle norme italiane ad alcuni principi generali fondamentali dell’ordinamento comunitario. Si tratta dei principi di equivalenza, effettività e tutela giurisdizionale effettiva.

In ordine al rispetto del principio di equivalenza, la Corte osserva che la procedura obbligatoria e stragiudiziale trova applicazione sia con riferimento ai ricorsi fondati su violazioni del diritto dell’Unione sia in caso di ricorsi fondati su violazioni del diritto.

Per quanto riguarda il principio di effettività, i Giudici riconoscono che, in astratto, imporre il tentativo di conciliazione extragiudiziale come condizione di procedibilità del ricorso incide sull’esercizio dei diritti conferiti ai singoli dalla direttiva “servizio universale”, ma ritengono che, in concreto, la procedura in questione non è tale “da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti ai singoli dalla direttiva”. Ciò in quanto, l’esito della procedura non è vincolante per le parti e non incide sul diritto ad agire in giudizio per la tutela dei rispettivi diritti.

Sotto il profilo della ragionevole durata del processo, la procedura di conciliazione, dovendosi concludere entro il termine di trenta giorni dalla presentazione della domanda, non comporta un ritardo sostanziale nell’avvio del processo davanti all’autorità giudiziaria. Peraltro, le parti, scaduto detto termine, possono proporre il ricorso anche ove la procedura non sia stata conclusa. Inoltre, nelle more della procedura di conciliazione, i termini di prescrizione e decadenza restano sospesi

La Corte, quindi, ha ritenuto la normativa nazionale tale da non rendere impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti ai singoli dall’ordinamento giuridico comunitario.

La procedura obbligatoria di conciliazione, infatti, pur incidendo sull’esercizio dei diritti riconosciuti dalla direttiva, appare rispettosa del principio di tutela giurisdizionale effettiva, sancito dagli articoli 6 e 13 della CEDU e dall’art. 47 della carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. In proposito, la Corte rileva che il diritto alla tutela giurisdizionale, quale diritto fondamentale, non si configura come una prerogativa assoluta ma può essere compresso o limitato, a condizione che tali limitazioni “rispondano effettivamente ad obiettivi di interesse generale perseguiti dalla misura di cui trattasi che non costituiscano, rispetto allo scopo perseguito, un intervento sproporzionato ed inaccettabile, tale da ledere la sostanza stessa dei diritti così garantiti (v. sentenza 15.6.2006, causa C-28/05; Corte eur. D.U., sentenza Fogarty c. Regno Unito, 21.11.01, Recueil des arrệts et décisions 2001-XI, § 33)”.

In conclusione, considerati la funzione nomofilattica delle pronunce in sede di rinvio pregiudiziale e il carattere vincolante delle sentenze della CGUE, ci sembra che con questa decisione la Corte abbia inteso anticipare e chiarire il proprio atteggiamento rispetto ai sistemi di risoluzione delle alternativa delle controversie, fornendo chiare indicazioni agli Stati che, entro il 21 maggio 2011, dovranno attuare la direttiva in materia di mediazione civile e commerciale nelle controversie trasfrontaliere (2008/52/CE), il cui art. 5 “lascia impregiudicata la legislazione nazionale che rende il ricorso alla mediazione obbligatorio oppure soggetto a incentivi o sanzioni, sia prima che dopo l’inizio del procedimento giudiziario, purché tale legislazione non impedisca alle parti di esercitare il diritto di accesso al sistema giudiziario”.

Il precedente giudiziale in esame, dunque, individua quali saranno i criteri che la Corte utilizzerà per valutare la conformità al diritto comunitario delle eventuali normative nazionali di attuazione che prevedranno, come quella italiana (D. Lgs. 28/2010), l’obbligatorietà del tentativo di conciliazione, condizione di procedibilità dell’azione in sede giurisdizionale.