Note minime sulla decisione del BVerfG in materia di furto di scarti alimentari dei supermercati
(BVerfG, Beschl. 5.8.2000 – 2 BvR 1985/19, 2 BvR 1986/19)
1.Davvero di rado una decisione del BVerfG che dichiara l’inammissibilità di un ricorso diretto di costituzionalità suscita tanto interesse sia presso i mass media e l’opinione pubblica, sia presso la comunità accademica. D’altra parte, il caso in esame aveva subito acquisito notorietà nazionale e aveva determinato importanti reazioni politiche e sociali, da petizioni popolari di grande successo a molteplici iniziative di legge parlamentari. Ciò spiega altresì il motivo della insolita ricchezza argomentativa della decisione in esame e, ancor prima, la trattazione del ricorso di legittimità da parte del Bayerisches Oberstes Landesgericht (BayOLG, Beschl. 2.10.2019 – 206 StRR 1013/19, 206 StRR 1015/19), la cui sentenza era stata subito oggetto di riflessione in dottrina.
2.Troppo intrigante in effetti il caso perché non divenisse subito un tema di discussione. Due giovanissime studentesse, intimamente indignate per le dimensioni del fenomeno dello spreco alimentare nella nostra società e in primo luogo nella grande distribuzione, decidono, a fini ideali e non per bisogno, di introdursi nottetempo nel piazzale di un supermercato nelle vicinanze di Monaco di Baviera; il fine è quello di aprire con una chiave quadra – precedentemente acquistata – un container nel quale vengono depositati gli scarti alimentari destinati allo smaltimento, prima di essere presi in carico dall’azienda di smaltimento rifiuti contrattualmente incaricata. Si limitano, quindi, a recuperare qualche prodotto ancora commestibile al fine di dimostrare come in tali scarti destinati allo smaltimento vi siano ancora cibi perfettamente commestibili. Sottovalutano entrambe la solerzia della polizia bavarese che le coglie sul fatto e le obbliga a riporre l’appena ricavato bottino. Gli agenti procedono immediatamente anche a registrare la querela da parte del legale rappresentante del supermercato per i reati di violazione di domicilio e di furto; appena divulgata la notizia, tuttavia, il supermercato si ritrova al centro di una campagna di proteste – se non insulti – sui social network, e dunque la querela viene presto ritirata.
Dopo aver sperimentato la solerzia della polizia bavarese, resta però alle studentesse di sperimentare quella, affatto da meno, della pubblica accusa, la quale, soltanto con riferimento al reato di furto, può procedere d’ufficio qualora riconosca la sussistenza di un rilevante interesse al perseguimento dei fatti contestati. Nonostante i ripetuti e pressanti inviti del giudice di prime cure, la pubblica accusa rifiuta categoricamente qualsiasi possibilità di procedere ad un’archiviazione e dunque il giudice è inevitabilmente chiamato a pronunciare una sentenza.
La condanna è tutt’altro che draconiana, con una pena pecuniaria di 225 euro a testa condizionalmente sospesa per due anni e l’obbligo di prestare otto ore a testa di lavoro di pubblica utilità presso la locale associazione di distribuzione gratuita ai più indigenti di cibo prossimo alla scadenza fornito dai supermercati della zona; essa, però, consente alle due studentesse di rivolgersi dapprima al BayOLG e poi al BVerfG e, dunque, di “approfittare” del clamore anche mediatico della vicenda per riaprire nuovamente la discussione in Germania sulla punibilità o meno di queste condotte.
In effetti, al di là del caso concreto, il recupero di beni alimentari ancora commestibili tra gli scarti dei supermercati è già da tempo un fenomeno conosciuto in Germania – il c.d. containern – e la sua legittimità aveva interrogato la dottrina penalistica ben prima della vicenda in esame. Quest’ultima, nondimeno, ha spinto il parlamento tedesco ad attivarsi: sono, al momento, in discussione plurimi progetti di legge, di diverso taglio, ma tutti finalizzati a garantire la non punibilità di tali condotte.
3.Venendo dunque alla motivazione del BVerfG, esso affronta anzitutto i motivi di ricorso legati all’impossibilità di sussumere i fatti contestati alle imputate all’interno della fattispecie di furto prevista dal paragrafo 242, comma primo, dello StGB. Alcune voci dottrinali, infatti, tendono a risolvere la questione della punibilità del fenomeno del containern già sul piano della tipicità, sostenendo che in questi casi manchi l’altruità della cosa richiesta dalla fattispecie incriminatrice in esame.
Ebbene, su questa parte del ricorso, il BVerfG rammenta correttamente ai ricorrenti che l’interpretazione e l’applicazione della legge sono di esclusiva competenza del giudice comune, potendo il giudice costituzionale intervenire solo in casi di palese violazione del diritto fondamentale alla presunzione di innocenza allorché la sentenza di condanna sia frutto di arbitrio e illogicità. Pare condivisibile, in questo caso, la valutazione del tribunale secondo cui l’applicazione della fattispecie incriminatrice nel caso di specie non sia in alcun modo viziata da tali caratteri. Infatti, ricorda il BVerfG, il giudice comune ha dedotto la mancanza di derelictio e dunque la sussistenza del delitto di furto da una serie di precisi indici probatori: la presenza del container degli scarti alimentari all’interno dell’area privata del supermercato; la sua chiusura – seppur con un meccanismo che ne consente abbastanza agevolmente l’apertura – decisa proprio in ragione di precedenti azioni del medesimo tipo; la sussistenza di un rapporto contrattuale con una ditta specializzata, incaricata dietro corrispettivo di smaltire tali scarti.
Risolto senza particolari problemi il punto della sussumibilità del fatto concreto nella fattispecie astratta, il BVerfG è chiamato ad affrontare il vero punto nodale della vicenda in esame, ossia la legittimità costituzionale della criminalizzazione di questo fenomeno.
In linea con la giurisprudenza del tribunale costituzionale federale tedesco, la questione è strutturata, dal punto di vista metodologico, secondo le direttrici del principio di proporzionalità seppure, come vedremo in questo caso e come spesso accade nella materia penale, con un’applicazione piuttosto lasca dello stesso e con estremo ossequio per la discrezionalità legislativa.
Primo passaggio di questo giudizio è l’individuazione di uno o più diritti fondamentali aggrediti da parte del potere pubblico. Come è usuale in letture bifasiche dei Grundrechte, il BVerfG individua con molta facilità i diritti fondamentali limitati dalla fattispecie incriminatrice in esame. Da un lato, come è ovvio, i diritti fondamentali relativi alla pena minacciata – dunque la libertà personale –, dall’altro il generale diritto al libero sviluppo della propria personalità, ex art. 2, comma secondo, della GG, poiché la minaccia di pena limita la possibilità da parte dei consociati di tenere la condotta tipica.
Il BVerfG si mette dunque alla ricerca di fini che il legislatore avrebbe potuto legittimamente perseguire con la fattispecie incriminatrice in esame. Nel caso di specie, il tribunale tedesco lo individua agevolmente nella tutela del diritto fondamentale alla proprietà, così come previsto dall’articolo 14, comma primo, GG. A questo proposito, il tribunale ricorda che la fattispecie incriminatrice di furto – per pacifico orientamento giurisprudenziale – è tesa a tutelare non solo e non tanto il patrimonio dei consociati (non richiedendosi quindi alcun apprezzabile valore della cosa), ma proprio la proprietà come formale posizione giuridica; ne deriva che a essere tutelato è il potere di disposizione fattuale del proprietario sulla cosa e di esclusione dei terzi da qualsiasi simile potere.
Venendo al caso di specie, osserva il BVerfG come ad essere tutelato dal legislatore è la facoltà del proprietario di disporre dei propri beni in modo tale da essere garantito circa il fatto che essi saranno indirizzati allo smaltimento senza alcun pericolo che essi possano essere consumati da terzi. Da tale (non voluto) consumo, infatti, potrebbero derivare per il proprietario rischi di controversia nelle ipotesi in cui esso si riveli dannoso per la salute del consumatore.
Inutile argomentare, secondo il BVerfG, che questi rischi sono del tutto ipotetici di fronte a un consumo avvenuto chiaramente a proprio pericolo da parte di chi rovista nei contenitori degli scarti alimentari, o che sarebbe comunque sufficiente chiudere tali contenitori o porre una segnaletica che indichi l’assenza di responsabilità per i prodotti là recuperati. Ad ogni modo, nulla impone al gestore del supermercato di rinunciare a risolvere questa problematica, pur ipotetica, facendo uso delle legittime facoltà del proprietario, tra le quali rientra pacificamente la distruzione, per mano propria o per incarico ad altri, della cosa.
Individuato un – pur flebile – interesse legittimo tutelato dalla fattispecie incriminatrice, ci si attenderebbe che il BVerfG proseguisse oltre nel giudizio di proporzionalità, valutando i canonici step dell’idoneità, necessità e proporzionalità in senso stretto dell’intervento legislativo; come però già fatto in passato rispetto ad altre fattispecie incriminatrici, il tribunale costituzionale tedesco vira velocemente dal piano della legittimità in astratto dell’intervento legislativo al piano della ragionevolezza dell’applicazione in concreto della fattispecie incriminatrice. Il BVerfG intravede dunque possibili frizioni tra la fattispecie incriminatrice e i diritti fondamentali dei consociati, ma ritiene preferibile che queste siano superate non attraverso l’espunzione di una costellazione di casi dal perimetro della fattispecie astratta, ma attraverso una mancata penalizzazione in concreto o quantomeno attraverso una risposta sanzionatoria molto blanda. A questo proposito, il tribunale richiama puntualmente come risolutivi rispetto alla questione di costituzionalità proposta, da un lato, gli strumenti a disposizione della pubblica accusa, e dunque le diverse ipotesi di archiviazione discrezionale, e, dall’altro, quelli rimessi al giudice comune (rinuncia alla pena, sospensione della pena, pena pecuniaria sostitutiva, ecc.).
4.Si tratta tuttavia di una soluzione, come più volte sottolineato in passato dalla dottrina tedesca, non appagante. L’utilizzo di questi strumenti rientra in un potere discrezionale della pubblica accusa e del giudice, aprendo così a risultati in concreto divergenti e non prevedibili rispetto a casi identici. È proprio il seguito della sentenza richiamata in materia di possesso di cannabis (BVerfG, 2 BvR 2031/92 et al., 9 marzo 1994), dove il tribunale costituzionale aveva fatto ricorso allo stesso schema decisionale – di rinvio al giudice comune per una depenalizzazione in concreto –, a mostrare come vi sia stato uno stabilizzarsi di prassi, soprattutto da parte della pubblica accusa, nettamente differenti nei vari Länder.
Piuttosto che rinviare al giudice comune, il BVerfG avrebbe dovuto affrontare esso stesso il giudizio di proporzionalità solo richiamato. Prendendo per buono il fine di tutela individuato dal BVerfG e assumendo pure che in effetti la criminalizzazione della condotta in esame fosse strumento idoneo e necessario al raggiungimento di tal fine, resta da capire se – nell’ultimo passaggio del giudizio di proporzionalità – il flebile fine di tutela individuato dal tribunale costituzionale possa dirsi poziore rispetto al diritto fondamentale limitato dalla norma incriminatrice. Quanto al caso specifico, occorre chiedersi se davvero la tutela dell’interesse del proprietario ad evitare quantomai improbabili contenziosi, quale unica estrinsecazione concretamente riscontrabile del diritto di proprietà, debba ritenersi più rilevante del diritto di recuperare dagli scarti altrui generi alimentari perfettamente commestibili. Emerge, dunque, con gran nitidezza la contraddizione di punire tale comportamento, in un momento in cui si prende sempre maggior contezza dell’assurdità e dell’insostenibilità ambientale del fenomeno dello spreco alimentare e si auspica socialmente la diffusione di una cultura, anche domestica, di minimizzazione di qualsiasi spreco. Un interesse pubblico, inoltre, tutt’altro che sprovvisto di un riconoscimento normativo già a livello costituzionale, ove l’art. 20a declina appunto l’obbligo dello Stato di tutelare le risorse naturali anche e soprattutto per le future generazioni.
Parte autorevole della dottrina ha accolto con grande favore la sentenza in esame, in ragione del self restraint esercitato dal BVerfG nei confronti del legislatore (oltretutto ormai impegnato sul tema), a cui solo competerebbe un intervento riformatore teso a risolvere il problema dello spreco alimentare.
Eppure, al BVerfG non si chiedeva certamente di affrontare tale complesso tema, quanto di verificare se i diritti fondamentali delle ricorrenti non fossero stati violati dall’esercizio dello ius puniendi da parte dello stato. A prescindere da come il legislatore intenda (o non intenda) affrontare il tema dello spreco alimentare, è giusto chiedersi se quella condotta di sottrazione e impossessamento di uno scarto dal valore economico nullo meriti davvero di essere perseguita addirittura per mezzo dello ius terribile.