Non i diritti in Internet, ma Internet nei diritti
Parto dalla domanda che molti si son posti leggendo la bozza presentata dalla Commissione: quale lacuna dovrebbe esser colmata nei nostri ordinamenti nazionali o fin anche in una cornice sovranazionale dalla Dichiarazione dei Diritti in Internet?
Un possibile equivoco
Per risponder alla domanda è opportuno sciogliere un primo possibile equivoco.
Dalla lettura del preambolo sembra emergere una sovrapposizione di due diversi beni giuridici oggetto della Dichiarazione. Da un lato Internet è individuato come una risorsa globale meritevole in sé di regolamentazione quale straordinario prodotto della tecnologia, tanto che nell’ultimo capoverso del preambolo la Dichiarazione non è più “dei diritti in Internet”, ma diviene la Dichiarazione “dei diritti di Internet”; dall’altro, oggetto di tutela sono chiaramente i diritti fondamentali che tramite Internet hanno trovato nuova ed inedita declinazione. I due profili sono ovviamente connessi, e ben possono convivere, ma è fondamentale non confonderli, ed individuare correttamente il bene giuridico a cui si vuol di volta in volta prestar tutela.
Per tornare alla domanda iniziale, diverso è valutare quale tutela possa/debba esser concessa dall’ordinamento ad un mezzo tecnologico qual è Internet (e perché no, in generale ai sistemi informativi sulle reti di comunicazione elettronica), altro individuare quali diritti, creati o potenziati dal mezzo Internet, siano oggi negati o compressi e non sufficientemente tutelati nell’ordinamento tanto da richiederne una nuova definizione nella Dichiarazione.
La tutela di Internet in sé, quale mero strumento frutto di innovazione tecnologica mi pare operazione sbagliata, soprattutto in una Dichiarazione di principi che aspira a porsi ad un livello para-costituzionale e che vorrebbe vincolare nel futuro i tanti soggetti, pubblici e privati, che in fatto (col codice) o in diritto (con leggi e regolamenti) influiranno sul governo (rectius: sull’uso) della rete. Credo sia velleitario pensare di tutelare, per come la percepiamo oggi, una risorsa tecnologica in continua mutazione, tant’è che, saggiamente, la Commissione ha evitato di definire cosa sia Internet. E d’altra parte anche quei diritti che nella Dichiarazione paiono esser propri del mezzo in quanto tale (penso all’art. 12 sulla sicurezza in Rete, intesa come l’integrità delle infrastrutture, o all’art.14 sui criteri per il governo della rete, o alla stessa net neutrality di cui all’art.3) sono comunque (almeno parzialmente) declinati come diritti degli utenti. Il che è corretto, perché Internet trova ragione di tutela solo là dove sia fondamentale per l’esercizio di diritti: è tutelando i diritti degli utenti che tutelo Internet.
Paradossalmente però, nella Dichiarazione, Internet è troppo centrale nelle formulazioni dei singoli principi proclamati ed il documento prodotto dalla Commissione rischia di inseguire forzatamente una sorta di legge del cavallo evocata a proposito della cyber law dal giudice Easterbrook nel lontano 1996.
Il punto non è creare una “costituzione” per Internet, ma creare le condizioni affinché le Costituzioni dei paesi democratici siano in grado di tutelare i diritti fondamentali (anche) al tempo di Internet. Tutelando i diritti degli utenti, sarà tutelato anche Internet, là dove il mezzo è fondamentale al loro esercizio (e dove così non è, non merita tutela costituzionale).
Non i diritti in Internet, ma Internet nei diritti
E’ probabile che tra qualche anno non percepiremo più alcuna differenza tra on line e off line. Internet sparirà come luogo virtuale a sé stante: già oggi è in realtà parte integrante del nostro mondo fisico. Dobbiamo prendere atto che la rivoluzione digitale ed Internet hanno generato nuove declinazioni di diritti acquisiti e forse nuovi diritti, e dunque, per converso, hanno generato aree di non-libertà: per dirla con Bobbio <<la non-libertà nasce continuamente nel seno stesso della libertà e a egual titolo si può dire che la libertà rinasce continuamente nel seno stesso della non-libertà>>. Dunque una ridefinizione dei principi fondamentali può esser necessaria, ma sarebbe un errore pensare di isolare e “dichiarare” le libertà e i diritti in Internet partendo dal mezzo in sé, per come lo percepiamo oggi, dando ad essi una specifica declinazione “in rete” staccata dai diritti fondamentali “analogici”. Da un lato si rischia di creare norme apparentemente inutili e ridondanti perché già presenti nell’ordinamento, dall’altro di non cogliere le reali aree di non-libertà che il mezzo ha generato o genererà in futuro. Nella Dichiarazione i diritti paiono una conseguenza, o al più un attributo di Internet mentre ne sono premessa indispensabile per una efficace tutela. L’errore prospettico tra la tutela di Internet e la tutela dei diritti al tempo di Internet è la causa, credo, delle critiche di coloro che accusano il documento della Commissione di esser ridondante ed inutile, come delle osservazioni di coloro che ne evidenziano le carenze.
Lacune ed eccessi: la libertà d’espressione
Per render concreto quanto sin qui sostenuto, e per risponder alla domanda iniziale, proviamo a valutare uno dei diritti fondamentali di questo tempo, la libertà d’espressione, raffrontando l’area di libertà prodotta da Internet, la tutela costituzionale oggi cogente ed i principi presenti o assenti nella Dichiarazione. Sebbene la Dichiarazione abbia aspirazioni globali mirando, a detta della Presidente Boldrini, a porsi come base per una discussione a livello europeo o addirittura mondiale, credo sia utile “abbassare il tiro” e valutare lo stato dell’arte in Italia. Questo non per disconoscere la necessità di regole transnazionali nelle nostre società connesse, quanto per render tangibile l’errore prospettico di una Dichiarazione ad hoc dei diritti in/di Internet.
Nella bozza della Dichiarazione la libertà d’espressione compare unicamente come inciso all’art. 12 sulla sicurezza in rete: davvero poco per un principio che, tra tutti i diritti fondamentali, è quello maggiormente scosso ed ampliato da Internet ed in generale dalle tecnologie digitali. Inutile ripetere quanto la creazione, la diffusione e la fruizione delle informazioni, delle idee ed in generale dei prodotti del libero pensiero sia radicalmente mutata grazie al digitale ed alla rete. E a poco vale affermare che detto principio sia saldamente consolidato nei nostri ordinamenti, tanto da poter esser dato per scontato. Grazie ad Internet il concetto stesso di libera manifestazione del pensiero è profondamente mutato. Non è più solo «il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione» consacrato all’art. art.21 della nostra Costituzione, ma è diventato il diritto di ciascuno di noi di essere partecipe nell’attuale società dell’informazione, di informare e soprattutto di esser informato, che vuol dire, oggi, riconoscere il diritto di accesso ad Internet (art. 2 della Dichiarazione). La libertà d’espressione oggi è il diritto di fruire, a parità di condizioni, di ogni servizio sia reso disponibile per veicolare idee, informazioni e contenuti. Ed a ben guardare, su Internet, la libertà di espressione trascina con sé la tutela della neutralità della rete (art. 3 della Dichiarazione). Come più volte affermato dalla Corte di Giustizia Europea, ogni nuovo servizio della società dell’informazione (un aggregatore, una piattaforma di condivisione o una nuova modalità di fruizione dei contenuti) è esso stesso esercizio di libertà di espressione, e come tale va tutelato da discriminazioni, filtri e blocchi. E la neutralità della rete come declinazione della libertà d’espressione si lega anche alla tutela della concorrenza e della libertà economica. Sul punto è interessante l’interpretazione resa dal TAR del Lazio nell’ordinanza 25/06/2014 sul regolamento AGCOM, ove si afferma che «il diritto di informare, da una parte, come profilo passivo, è posto a tutela dei singoli utenti, ai fini di una loro effettiva partecipazione alla vita democratica, dall’altra, come profilo attivo, è teso a proteggere coloro che operano nel sistema dei media, per assicurare che le informazioni immesse nel circuito economico contribuiscano alla crescita del mercato, oltreché a garantire ai singoli utenti la possibilità di scelta tra una molteplicità di fonti informative». E prosegue: «Diventa, pertanto, obbligata una lettura congiunta dell’art. 21 con le libertà economiche dell’art. 41 della Costituzione, inteso in senso ampio non come mera libertà di attività di impresa, ma come copertura costituzionale di ogni atto con cui il soggetto scelga il fine economico da perseguire, in linea con la configurazione della libertà economica come di un diritto di libertà proprio della persona».
Ben prima di Internet, nella giurisprudenza della Corte Costituzionale, emerge con chiarezza la coessenzialità tra la libertà di espressione usata a fini informativi, la libertà d’impresa e in ultimo la forma di stato democratico, la cui natura implica «pluralità di fonti di informazione, libero accesso alle medesime, assenza di ingiustificati ostacoli legali, anche temporanei alla circolazione delle notizie e delle idee» (C. Cost. n. 105 del 1972). Questa visione ha condotto da tempo ad accentuare il carattere fondamentale dell’art. 21 Cost., inteso come «pietra angolare della democrazia» (C. Cost n. 94 del 1977). Ma oggi, con Internet, la libertà d’espressione appare con chiarezza come diretta emanazione del più generale diritto alla dignità della persona umana, che anima l’art. 2 della nostra Costituzione e permea di sé l’intero ordinamento.
Così interpretata la libertà d’espressione, diventerebbe facile applicare all’accesso ad Internet ed alla neutralità della rete quel solenne impegno contenuto al comma 2 dell’art.3 della Costituzione secondo cui è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti (e non solo dei lavoratori, perbacco) all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Le ricadute su molti principi enunciati nella Dichiarazione sono evidenti.
Ma la visione esposta è frutto del faticoso lavoro di interpretazioni della magistratura e necessita oggi di esser esplicitata con chiarezza e con valore cogente, per dispiegare i propri effetti sulle nuove modalità di esercizio della libera manifestazione del pensiero in rete. Per ragioni storiche l’art. 21 della nostra Carta fondamentale è oggi quanto di più inadatto ed obsoleto sia offerto al giurista per difender la libera manifestazione del pensiero in Internet. Per una scelta in allora comprensibile, in vero non dissimile da quella compiuta oggi con la Dichiarazione, l’art.21 si addentra in una minuta difesa del mezzo, la stampa tipografica ieri Internet oggi, così che a 50anni di distanza la forza precettiva del principio è affidata alla buona volontà dell’interprete. Piccoli segnali giurisprudenziali consentono di adeguare l’art.21 Costituzione al tempo del web (mi riferisco ad esempio alla recente Sentenza delle Sezioni Unite sulla sequestrabilità per oscuramento delle testate online), ma è innegabilmente necessaria una nuova formulazione dell’art. 21 Costituzione ed una complessiva riscrittura dei principi a questo collegati.
Come da più parti osservato la Dichiarazione non si sofferma sulla libera manifestazione del pensiero, quasi a dar per scontata quella libertà fondamentale le cui nuove declinazioni in rete sono però tutt’altro che consolidate nel nostro ordinamento. Nell’equivoco di enunciare principi legati al mezzo, ad uso esclusivo di Internet, la Dichiarazione detta diritti degli utenti (l’accesso) o disegna caratteristiche del mezzo (la neutralità) che poggiano su deboli basi e che seppur condivisibili, risultano orfani, sganciati dal bene giuridico da cui derivano. Senza una tutela forte della libertà d’espressione non ha molto senso garantire il diritto d’accesso, né lottare per un astratto concetto di neutralità della rete, le cui argomentazioni a contrario appaiono tutt’altro che pretestuose se non sono valutate sulla base di chiari principi costituzionali.
Non dissimili considerazioni potrebbero farsi riguardo ai diversi principi presenti nella Dichiarazione in tema di protezione dei dati e di riservatezza sulle reti di comunicazione: aspetti questi gravemente carenti nella nostra vigente Costituzione, che richiederebbero, prima di addentrarsi in specifiche discipline a tutela di Internet, una chiara formulazione a livello dei principi fondamentali sovraordinati.
Una proposta
Per tornare alla domanda iniziale, preso atto del profondo mutamento che la rivoluzione digitale ha prodotto nell’esercizio delle libertà proprie della persona, non possono esservi dubbi sulla necessità di una nuova definizione dei diritti fondamentali nelle società dell’informazione del XXI secolo: solo così si potranno scongiurare aree di non-libertà e si potrà tutelare qualsiasi mezzo tecnologico, presente e futuro, che risulti essenziale al loro esercizio.
Molti dei principi enunciati nella Bozza di Dichiarazione sono condivisibili, e la discussione che l’iniziativa ha suscitato è fondamentale, ma la Commissione, per dare un segno di concretezza, potrebbe affiancare al documento su Internet una proposta da avanzare ai parlamentari italiani volta a modificare alcuni dei principi contenuti nella prima parte della nostra Costituzione. Sarebbe un segnale forte, anche a livello internazionale, e davvero segnerebbe un significativo e concreto passo per la tutela dei diritti in rete. Almeno in Italia.
Provo, senza alcuna pretesa, a mero titolo esemplificativo e conscio dei limiti di una tale operazione, ad immaginare Internet in alcuni articoli della nostra Carta Costituzionale.
Immaginiamo se al comma 2 dell’art. 3 si leggesse oggi:
«È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico, tecnologico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti all’organizzazione politica, economica, culturale e sociale del Paese».
Il Digital divide diverrebbe una priorità costituzionale.
O se all’art. 14 fossero inserite due parole:
«Il domicilio, fisico ed informatico, è inviolabile. Non vi si possono eseguire ispezioni o perquisizioni o sequestri, se non nei casi e modi stabiliti dalla legge secondo le garanzie prescritte per la tutela della libertà personale. Gli accertamenti e le ispezioni per motivi di sanità e di incolumità pubblica o a fini economici e fiscali sono regolati da leggi speciali».
L’art. 6 della Dichiarazione sarebbe di per sé attuato.
O ancora, solo per render concreto quanto in precedenza affermato, e senza l’ardire di ergersi a padre costituente, perché non immaginare un nuovo art. 21 della nostra Carta Costituzionale che reciti ad esempio:
«Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. Tale diritto include la libertà di ricevere o di comunicare informazioni e idee con ogni mezzo, senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera.
Tutti hanno eguale diritto di accedere a Internet in condizioni di parità, con modalità tecnologicamente adeguate e aggiornate che rimuovano ogni ostacolo di ordine economico e sociale. L’accesso deve esser consentito alle persone con disabilità.
Tutti hanno il diritto di scegliere liberamente i sistemi informativi e di accedere ai servizi della società dell’informazione attraverso reti di comunicazione neutrali, sulle quali i dati trasmessi e ricevuti non subiscano discriminazioni, restrizioni o interferenze in relazione al mittente, ricevente, tipo o contenuto dei dati, dispositivo utilizzato, applicazioni o, in generale, in relazione a scelte legittime dell’utente.
La libertà dei media e il loro pluralismo sono rispettati.
Si può procedere a sequestro ed alla rimozione di contenuti digitali soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria o delle autorità di vigilanza a ciò espressamente autorizzate, nei soli casi e con le modalità tassativamente previste dalla legge».