Niente soldi ai neonazisti: prima applicazione del blocco dei finanziamenti ai partiti anticostituzionali in Germania
Il 23 gennaio 2024 il secondo Senato della Corte costituzionale federale tedesca (BVerfG) ha deciso che il partito neonazista Die Heimat (già Partito nazionale democratico tedesco – NPD) debba essere escluso dal finanziamento statale e dai benefici fiscali per sei anni.
Il procedimento in oggetto rappresenta il terzo tentativo (dopo quelli del 2001 e del 2013) per colpire il partito tedesco e l’unico, fino ad oggi, andato a buon fine.
Si tratta del primo procedimento di questo tipo da quando, nel 2017, accogliendo un suggerimento del BVerfG, il legislatore costituzionale ha modificato l’articolo 21 del GG, includendovi una disposizione (il comma 3) che consente l’esclusione dal finanziamento statale e la perdita dei benefici fiscali per quei partiti i cui obiettivi o le cui azioni mirano a minare o eliminare il libero ordine democratico di base (freiheitliche Demokratische Grundordnung), vale a dire il catalogo di principi e di valori politico-costituzionali che sanciscono l’orientamento politico fondamentale del sistema costituzionale tedesco. La disposizione costituzionale ha trovato attuazione nell’articolo 18 della legge sui partiti politici (ParteienG).
La decisione in commento è strettamente legata alla logica della decisione emessa nel 2017 nei confronti del medesimo partito, che aveva ad oggetto la sua messa al bando ai sensi dell’art. 21, comma 2 GG. Allora il BVerfG, se da una parte, affermò chiaramente che l’NPD mirava a eliminare l’ordine libero e democratico di base (e dunque era anticostituzionale), dall’altra parte, però, decise per un non luogo a procedere (e dunque non era incostituzionale) sulla base del fatto che la formulazione dell’art. 21, comma 2 GG richiedeva la prova di un pericolo concreto di sovversione del sistema. Pertanto, in applicazione del principio di proporzionalità, la rigidità delle scelte allora disponibili (l’aut-aut tra incostituzionalità e costituzionalità e, quindi, tra vietare e non vietare) non si addiceva alla situazione dell’NPD, la cui condotta anticostituzionale, pur innegabile, non raggiungeva la potenziale pericolosità richiesta dalla norma per consentire l’applicazione della misura.
Fu quindi per attenuare la rigidità dei meccanismi allora disponibili che il legislatore costituzionale novellò l’art. 21 GG prevedendo sanzioni graduate che avrebbero permesso di colpire quei partiti che, pure ispirati ad un’ideologia anticostituzionale, non raggiungessero le gravose condizioni per lo scioglimento.
Die Heimat ha sollevato numerose eccezioni di carattere preliminare, tre delle quali sono particolarmente importanti e valgono la pena di essere approfondite.
Una prima questione riguardava la presenza di uomini dei servizi segreti infiltrati tra i militanti del partito che avrebbe viziato il procedimento. Il secondo Senato ha ritenuto tuttavia che la loro attività (diversamente da come andò nel 2003) si sia limitata alla raccolta delle prove per l’istruzione del processo (operazione necessaria e del tutto legittima) e non abbia anche influenzato le iniziative del partito.
Una seconda eccezione preliminare era preordinata a riconoscere l’incostituzionalità dell’art. 21 comma 3 GG in quanto in contrasto con il principio di pari opportunità dei partiti politici. A parere di Die Heimat la par condicio tutelata dal principio democratico (art. 20, commi 1 e 2 GG) sarebbe ricompresa nella portata della “clausola d’eternità” (art. 79, comma 3 GG). Dunque, finché un partito rimane un legittimo avversario politico nella competizione democratica, devono essergli garantiti gli stessi diritti degli altri. Il taglio dei finanziamenti, invece, dividendo i partiti tra quelli con ideologia conforme e quelli con ideologia non conforme alla Costituzione (si potrebbe dire tra “partiti di sistema” e “partiti antisistema”), avrebbe svantaggiato nella competizione politica il partito che lo subiva e così avrebbe inciso sul nucleo intangibile dell’ordinamento, protetto dall’art. 79, comma 3 GG. Il BVerfG conclude, invece, per la piena compatibilità tra l’istituto dell’esclusione del finanziamento e la clausola d’eternità in quanto la par condicio non coinciderebbe completamente con il contenuto dell’art. 79, comma 3 GG. L’interesse tutelato dell’articolo 21 comma 3 GG – l’ordine fondamentale libero e democratico – si estende solo ai principi fondamentali centrali e trova il suo punto di caduta nella dignità umana, nel principio democratico e dello stato di diritto (§ 240 della pronuncia in oggetto) e non anche nella par condicio in quanto tale.
Una terza questione preliminare sollevata da Die Heimat riguardava la necessità di interpretare l’esclusione dei finanziamenti (art. 21, comma 3 GG) alla stregua dei parametri dello scioglimento (art. 21, comma 2 GG), in quanto i due istituti avrebbero avuto una funzione e una natura similare (in rapporto di genus a species) e dunque la necessità di prevedere anche per l’esclusione dei finanziamenti (e non solo per lo scioglimento) la prova di un potenziale pericolo per il sistema costituzionale. Per il BVerfG, invece, si tratta di due misure parallele, di un sistema differenziato di sanzioni per rispondere a partiti con diversi gradi di anticostituzionalità. Anzi, come esplicita il BVerfG, lo scopo dell’esclusione dai finanziamenti è appunto quello di ostacolare un successo elettorale del partito (in deroga alla par condicio) e quindi di evitare che esso raggiunga la soglia della potenzialità (§ 237). Decisivi per l’esclusione di un partito dal finanziamento pubblico saranno dunque i suoi scopi e le sue azioni e non anche la capacità di realizzazione dei suoi scopi. Il cuore sta infatti nella previsione di una differente condotta per l’uno e per l’altro: al posto del verbo «darauf ausgehen» (il prefiggersi del comma 2) nel comma 3 il legislatore costituzionale ha previsto un «darauf ausrichten», ovvero un semplice orientarsi.
Passando al merito della decisione, il Tribunale dedica largo spazio nella già corposa sentenza (circa 3/5 dei paragrafi) a riportare la documentazione raccolta: passi del programma del partito (adottato nel 2010 e da allora rimasto invariato), numerose dichiarazioni, post sui social media e volantini riconducibili a organi direttivi, esponenti di spicco o semplici militanti di Die Heimat dai quali si evince che la concezione politico-ideologica del partito presenta importanti somiglianze con il nazional-socialismo e si pone in contrasto con l’ordine liberal-democratico di base e i suoi già richiamati postulati fondamentali (dignità, principio democratico e stato di diritto).
Il secondo Senato, in particolare, nota come il convenuto non abbia preso le distanze dalle sue storiche convinzioni e continui a perseguire gli stessi obiettivi che la pronuncia del 2017 aveva già qualificato come lesivi del nucleo intangibile dell’ordine costituzionale (§§ 321 ss. della sentenza). Nella sentenza del 2017, infatti (continuamente richiamata), si elencava e si attualizzava il contenuto del libero ordine democratico di base rispetto a quello che era stato enucleato nelle precedenti pronunce sul Parteiverbot (SRP del 1952 e KPD del 1956) e si evidenziava come molte delle idee e delle dichiarazioni dell’allora NPD lo contravvenissero.
Tra le espressioni della volontà politica del partito riconosciute come anticostituzionali vi sono l’esaltazione del concetto di Volksgemeinschaft, ovvero di comunità etnica fondata su base etnica – idea che nega alla radice l’uguaglianza giuridica fondata sulla cittadinanza – e l’anteposizione del valore della “comunità nazionale” a quello dell’individuo. Tali nozioni, secondo il Tribunale, dimostrano inequivocabilmente un intollerabile disprezzo verso il principio di dignità umana (§ 325). La violazione del principio democratico, invece, si veicolerebbe attraverso l’invocazione all’“unità tra il popolo (Volk) e lo Stato” secondo cui “il governo popolare presuppone la comunità di popolo” (§ 380). Ciò comporta necessariamente come postulato l’esclusione dal processo democratico di coloro che non appartengono alla “comunità nazionale” etnicamente definita e dimostra il disconoscimento da parte di Die Heimat del diritto ad un’equa partecipazione al processo decisionale politico quale elemento centrale del sistema costituzionale.
Tra i molti materiali riportati è esemplificativa l’intervista resa il 12 febbraio 2020 da Frank Franz, Presidente Federale del movimento: “siamo un partito che vuole fare politica per il popolo tedesco e non tanto per i cittadini tedeschi (…) è nostro diritto distinguere tra appartenenti al popolo (Volksangehörigen) e semplici cittadini (Staatsbürgern)”; o il post su Facebook del 26 dicembre 2018 della sezione di Colonia: “si può essere tedesco, ma non si può diventarlo”.
Per il partito neonazista tedesco le ripercussioni della sentenza sono limitate dato che dal 2021 non soddisfa più i requisiti minimi richiesti per poter partecipare alla distribuzione dei finanziamenti pubblici (unica conseguenza di una certa portata rimane solo la perdita dei benefici fiscali).
Diversa, però, la rilevanza “politica” della pronuncia, la quale ha dato avvio nel dibattito pubblico tedesco all’idea (in parte provocatoria, in parte no) di applicare la stessa misura nei confronti di Alternative für Deutschland (AfD) che oggi, lo ricordiamo, è “osservata speciale” da parte dell’Ufficio federale per la protezione della Costituzione. La proposta di esperire un ricorso in tal senso è stata avanzata anche da esponenti politici di rilievo come Markus Söder, Governatore della Baviera. Ovviamente la riposta a questa domanda dipende quasi esclusivamente da valutazioni di tipo politico. Bisogna tenere presente, però, che AfD – diversamente da Die Heimat che è del tutto irrilevante politicamente – veleggia verso il 24% dei voti, perciò una possibile sospensione dei finanziamenti, senza il suo contestuale allontanamento dal palcoscenico politico, rischierebbe di sortire un effetto inverso e di essere strumentalizzata come argomento politico potenzialmente in grado di rafforzare la crisi della democrazia tedesca, invece che lenirla.