Moore v. Harper: la Corte Suprema USA sconfessa di nuovo la independent state legislature theory
Il 27 giugno scorso, con la decisione Moore v. Harper, la Corte Suprema statunitense ha affermato, con una maggioranza 6-3, che una corte statale, e, nel caso di specie, la Corte Suprema della North Carolina, potesse sindacare la congressional map disegnata dalla state legislature. In particolare, in seguito alle operazioni di redistricting avviate, dopo il censimento del 2020, dalla maggioranza repubblicana della North Carolina, la Corte Suprema dello Stato aveva individuato, nel 2022, una lesione del diritto di voto, dovuta all’intenzionale “diluizione” degli elettori appartenenti a una certa parte politica in collegi artatamente disegnati (partisan gerrymandering). Ricorrendo alla Corte Suprema statunitense, i Repubblicani sostenevano invece che la Corte Suprema della North Carolina non avrebbe dovuto intervenire in una materia, quale quella delle elezioni federali, in cui la state legislature avrebbe titolarità esclusiva, in cui non era da ammettersi alcun intervento da parte di altre istituzioni. Tale posizione, derivante da un’interpretazione estrema della Election Clause, si riferisce alla controversa independent state legislature theory, già in passato rigettata dai giudici di Washington, ma di recente tornata in auge presso i Repubblicani. L’ulteriore rigetto di tale teoria, di cui meglio si dirà nel prosieguo, costituisce il punto centrale delle argomentazioni alla base di Moore v. Harper.
Nella majority opinion, scritta dal Chief Justice Roberts, si legge che la Costituzione «does not exempt state legislatures from the ordinary constraints imposed by state law». I giudici Sotomayor, Kagan, Kavanaugh, Coney Barrett e Brown Jackson si sono uniti al parere di maggioranza, mentre hanno dissentito i giudici Thomas, Alito e Gorsuch. L’esito di Moore v. Harper non avrà, comunque, dei riflessi sul caso da cui è scaturita, dal momento che, nelle more del giudizio della Corte Suprema statunitense, i Repubblicani, in seguito alle elezioni del 2022, hanno preso il controllo della Corte Suprema della North Carolina, che ha ribaltato, ad aprile 2023, la precedente decisione, adottata nel febbraio 2022, che aveva invece dichiarato l’incostituzionalità della nuova ripartizione in collegi della congressional map della North Carolina, da cui sarebbe derivata la lesione del diritto di voto a causa del partisan gerrymandering. Nella decisione dello scorso aprile, la nuova maggioranza ha affermato che la state legislature fosse libera di ridisegnare i congressional districts a sua discrezione, cosa che, uno dei giudici dissenzienti, ha definito una «shameful manipulation» dei principi fondamentali della democrazia e dello stato di diritto.
Ciò che rileva maggiormente è che, la maggioranza della Corte Suprema, in Moore v. Harper, non ha applicato la controversa independent state legislature theory nella versione più estrema, sostenuta dai Repubblicani, fondata su una interpretazione letterale della Election Clause prevista all’articolo I della Costituzione americana, secondo cui «The Times, Places and Manner of holding Elections for Senators and Representatives, shall be prescribed in each State by the Legislature thereof». Ebbene, secondo un’interpretazione “massimalista”, da tale previsione deriverebbe che la legge elettorale federale possa essere stabilita solo dalla state legislature, escludendo che altri soggetti istituzionali, fra cui i governatori, le commissioni indipendenti e, soprattutto, le corti statali, possano pronunciarsi su di essa o disporre eventuali revisioni. L’applicazione di tale teoria avrebbe potuto avere delle gravi conseguenze sulla configurazione delle elezioni federali, facendo venir meno la possibilità di rivolgersi ai tribunali statali per denunciare i casi di partisan gerrymandering e di contestare le violazioni del diritto di voto. Nella majority opinion viene invece affermato che la Elections Clause «does not insulate state legislatures from the ordinary exercise of state judicial review».
Le origini della independent state legislature theory vanno rintracciate nella concurring opinion del Presidente della Corte Suprema William Rehnquist nel caso Bush v. Gore, concernente le contestate elezioni del 2000. Secondo Rehnquist, l’attribuzione costituzionale del potere di definire the Times, Places and Manners delle elezioni alle state legislatures sarebbe volto a ridurre l’eventualità che le corti statali incidano sulla coerenza generale dello schema legislativo. Tale impostazione, al tempo, non ha avuto seguito, ma, nel 2015, è stata di nuovo invocata dallo Stato dell’Arizona nel tentativo di bloccare i lavori della Commissione indipendente per il redistricting. Tuttavia, in Arizona State Legislature v. Arizona Independent Redistricting Commission la Corte Suprema ha rigettato la teoria, affermando che gli elettori dell’Arizona avessero il diritto di ricorrere ad una Commissione indipendente per evitare fenomeni di partisan gerrymandering, anche se nella Election Clause vi è il riferimento al legislatore statale. Come ha scritto la giudice Bader Ginsburg nella majority opinion, la Election Clause non prevede che una state legislature possa prescrivere tempi, luoghi e modalità di svolgimento delle elezioni federali contravvenendo alla Costituzione dello Stato, e, d’altra parte, neanche la Corte Suprema lo ha mai affermato. Va rilevato che, in questa occasione, Roberts era fra i quattro giudici dissenzienti. Dopo le elezioni del 2020, i Repubblicani hanno in più occasioni tentato di utilizzare la independent state legislature theory per impedire ai tribunali statali di rivedere le congressional maps da loro ridisegnate, ma, con Moore v. Harper, si può forse affermare che la Corte Suprema abbia rafforzato il suo orientamento negativo in merito all’applicabilità di tale teoria. Va tuttavia sottolineato che, nonostante la maggioranza non la abbia ritenuta condivisibile, i tre giudici dissenzienti mostrano di tenerla in considerazione. E il giudice Thomas, nella dissenting opinion, ha d’altra parte sottolineato che le argomentazioni della maggioranza, oltre a non essere convincenti, potrebbero portare a un incremento di ricorsi in materia elettorale di fronte alle Corti statali.
Rigettando la controversa teoria della independent state legislature, la Corte Suprema ha quindi nuovamente evitato di fare proprie le radicali argomentazioni sostenute dai ricorrenti di area conservatrice. Moore v. Harper giunge infatti a pochissimo tempo di distanza da Allen v. Milligan (su cui si veda un precedente post pubblicato su questo blog): per la seconda volta nel giro di un mese, la Corte Suprema ha mostrato, abbastanza inaspettatamente – sia a ragione della sua composizione che delle controverse decisioni adottate in altri ambiti – di voler mantenere ferma la precedente giurisprudenza in materia elettorale.
Nella majority opinion si legge infatti: «state courts do not have free rein». Questo significa che la mancata applicazione della independent state legislature theory non implica tuttavia un’assoluta preminenza delle corti statali nelle dispute in materia elettorale, ritenendo che esse non possano oltrepassare i limiti propri del controllo giudiziario, in modo da sostituirsi alle state legislatures, cui spetta regolamentare le elezioni federali. Resta infatti ferma la supervisione operata dai tribunali federali nei casi concernenti le elezioni federali, sebbene, dalla decisione, non si evinca molto sulla natura e sull’estensione di tale supervisione.
Anche se, come accennato, l’esito della decisione non impatterà sul caso originario, le implicazioni di Moore v. Harper sono molto più ampie e si ripercuoteranno anche sul futuro prossimo. Diversi commentatori ritenevano che i giudici di Washington avrebbero respinto il ricorso, dal momento che la Corte Suprema della North Carolina l’aprile scorso aveva ribaltato il precedente che aveva individuato un incostituzionale partisan gerrymandering nella congressional map disegnata dalla legislatura a maggioranza repubblicana dopo il censimento del 2020. Come affermato invece dal Presidente della Corte Suprema, il caso riguardava una questione dibattuta, su cui la Corte poteva esercitare la propria giurisdizione. Roberts nella majority opinion si è premurato di sottolineare che i diversi precedenti della Corte sono in contrasto con l’interpretazione della Election Clause che sfocia nella teoria della independent state legislature: il legislatore dello Stato non può ergersi ad esclusivo detentore del potere di fissare le regole per le elezioni federali. Di converso, le corti statali, nell’interpretare le leggi adottate dai singoli stati in materia elettorale, non possono oltrepassare i limiti propri del controllo giudiziario ordinario, interferendo con le attribuzioni costituzionali del legislatore statale sancite dalla Costituzione federale. Nella sua concurring opinion il giudice Kavanaugh ha sottolineato che, nonostante il controllo operato dalle corti statali rispetto a una legge in materia di elezioni federali adottata dal legislatore statale dovrebbe essere «deferential», ricordando comunque che «deference is not abdication».
Va ricordato che, quando, nel 2019, la Corte Suprema si è pronunciata sul caso Rucho v. Common Cause, invocando la political question doctrine e conseguentemente affermando che i casi di partisan gerrymandering non fossero giustiziabili dalla Corte Suprema (su questi aspetti si veda un precedente post pubblicato su questo blog), il Presidente Roberts aveva comunque scritto nella majority opinion che le corti statali potessero continuare a trattare tali casi, anche per quanto atteneva al redistricting delle congressional maps. Si legge infatti che le previsioni contenute nelle leggi e nelle Costituzioni statali possono fornire alle corti statali standard e indicazioni applicative, in un certo qual modo prefigurando la presa di posizione in Moore v. Harper avverso l’applicazione della independent state legislature theory.