Mediazione ed equo processo

L’istituto della mediazione recentemente introdotto in Italia dal D. Lgs. 28/2010 ha suscitato un dibattito nel mondo forense tanto ampio da travalicare le frontiere nazionali.

Come è noto, il D. Lgs. 28/2010 è stato emanato sulla base della Legge Delega 69/2009 in attuazione della Direttiva 2008/52 relativa a determinati aspetti della mediazione in materia civile e commerciale (consultabile qui).

Tale decreto legislativo introduce, in particolare, la procedura di mediazione obbligatoria: in determinate materie[1], infatti, il previo esperimento di tale procedimento è condizione di procedibilità e, di conseguenza, le parti hanno l’obbligo di effettuare un tentativo di conciliazione presso gli appositi organi di mediazione prima di instaurare il giudizio.

Nell’ambito del dibattito conseguente all’introduzione di tale istituto si è posto, in particolare, il tema della compatibilità della mediazione obbligatoria con i principi dell’equo processo. È stato, infatti, rilevato che i ricorrenti subiscono una limitazione del loro diritto di accesso al giudice, non potendo presentare direttamente le proprie istanze in sede giudiziale, ma essendo obbligati ad esperire una previa procedura per tentare di giungere alla conciliazione. Le parti, inoltre, sono costrette a sostenere i costi di tale procedimento, in aggiunta a quelli del processo, con un aggravio degli oneri per ottenere la soddisfazione delle loro pretese.

Il tema è stato portato recentemente all’attenzione della Corte di giustizia mediante due rinvii pregiudiziali che meritano di essere analizzati per le possibili ricadute delle pronunce della Corte sulla legislazione nazionale.

Il primo rinvio, proveniente dal Tribunale di Palermo, sezione distaccata di Bagheria, trae origine da una controversia in materia di locazione, instaurata nello stesso giorno in cui entrava in vigore il D. Lgs. 28/2010. Il giudice, trovandosi di fronte alla necessità di applicare il nuovo istituto, si è innanzitutto rivolto alla Corte di giustizia per ottenere la corretta interpretazione della Direttiva comunitaria, al fine di verificare la conforme trasposizione della stessa da parte del legislatore italiano e fugare ogni dubbio circa la possibile lesione del diritto di difesa delle parti, prima di sospendere il processo per consentire l’esperimento della procedura di mediazione[2].

In relazione al tema dell’accesso alla giustizia, nella propria ordinanza, il giudice di Bagheria rileva che “il meccanismo congegnato nel D. Lgs. 28/2010 sembra attagliarsi ai principi più volte enunciati dalla Corte costituzionale in tema di diritto di difesa”. Egli sottolinea, infatti, che, se è pur vero che l’accesso al giudice delle parti subisce una limitazione, questa è tuttavia giustificata da interessi generali legati all’esigenza di diminuire il contenzioso giudiziario per ridurre i tempi della giustizia. Tale limitazione, inoltre, risulta del tutto proporzionata all’obiettivo perseguito, in quanto l’accesso al giudice è solo rimandato e per un periodo non superiore a 4 mesi. Il giudice italiano, tuttavia, ritiene necessario che la Corte fornisca ulteriori chiarimenti circa l’interpretazione della Direttiva, al fine di verificare se il D. Lgs. 28/2010 mediante l’introduzione della mediazione obbligatoria non abbia imposto oneri tali da rendere impossibile o eccessivamente difficile la soddisfazione delle proprie pretese in sede giudiziale. Il quattordicesimo considerando della Direttiva, infatti, sancisce che “ La presente direttiva dovrebbe inoltre fare salva la legislazione nazionale che rende il ricorso alla mediazione obbligatorio oppure soggetto ad incentivi o sanzioni, purché tale legislazione non impedisca alle parti di esercitare il loro diritto di accesso al sistema giudiziario”.

In primo luogo, il giudice di Bagheria chiedeva alla Corte se la Direttiva dovesse essere interpretata nel senso che sia necessario, per tutelare il diritto di difesa delle parti, che il mediatore abbia competenze giuridiche e che questi sia scelto tenendo conto dell’oggetto della causa, tra professionisti con competenze nel settore oggetto del procedimento. Come messo in luce dalla stessa ordinanza, infatti, la lettera del D. Lgs. 28/2010 si limita a richiedere l’idoneità del mediatore al corretto e sollecito svolgimento dell’incarico, senza stabilire esplicitamente che egli debba essere in possesso di specifiche competenze giuridiche, le quali, invece, come ampiamente illustrato dallo stesso giudice di Bagheria, sono fondamentali per assicurare il rispetto del diritto di difesa delle parti[3].

In secondo luogo, il giudice chiedeva alla Corte se la corretta interpretazione della Direttiva imponga di prevedere dei criteri di competenza territoriale. Anche su tale punto, infatti, la normativa italiana risulta lacunosa, non specificando in alcun modo il riparto di competenza degli organismi di conciliazione, con possibile pregiudizio per le parti deboli del procedimento, che potrebbero essere chiamate a partecipare a procedimenti in luoghi anche molto distanti dalla propria residenza.

Da ultimo, il giudice richiedeva alla Corte se fosse compatibile con la Direttiva comunitaria, alla luce dell’esigenza di tutelare il diritto di difesa, la previsione in virtù della quale il mediatore può sottoporre al giudice una proposta di mediazione, anche senza una esplicita richiesta delle parti, destinata ad incidere, in caso di fallimento della mediazione, sul regime delle spese, in quanto queste, alle condizioni previste dallo stesso decreto, sono addossate alla parte che ha rifiutato la proposta conciliativa. Le criticità sotto il profilo della tutela del diritto di difesa emergono in quanto le parti sarebbero costrette a subire le conseguenze processuali di una proposta conciliativa formulata dal mediatore anche contro la loro volontà (Cfr. Download Ordinanza rinvio CG – Tribunale Palermo (1)).

Il secondo rinvio proviene dal giudice di pace di Mercato San Severino, nell’ambito di una controversia in tema di responsabilità civile. Tale giudice si rivolge alla Corte per sapere se il diritto dell’Unione, ed in particolare il principio di tutela giurisdizionale effettiva, ostino a che venga introdotta una disciplina della mediazione obbligatoria come quella dettata dal D. Lgs. 28/2010.

In particolare, il giudice di Mercato San Severino ha richiesto alla Corte di giustizia se le sanzioni di carattere processuale previste dal D. Lgs. 28/2010 per la parte che si rifiuta di partecipare alla mediazione, nonché le sanzioni economiche relative all’imposizione delle spese, nei casi previsti dal decreto, alla parte che non accetti la proposta conciliativa siano in linea con la Direttiva comunitaria. In secondo luogo, egli richiede, al pari di quanto precedentemente effettuato dal giudice di Bagheria, se la  prevista ipotesi di formulazione di una proposta di conciliazione dal mediatore senza la richiesta delle parti, anche nel caso di indisponibilità delle parti a conciliare, sia conforme allo spirito della Direttiva, la quale sottolinea il ruolo di mera assistenza del Mediatore e la centralità della volontà delle parti che possono porvi fine in qualunque momento.

Il giudice rileva che un contrasto con la Direttiva e con il principio di tutela giurisdizionale effettiva potrebbe verificarsi anche per il grave “ritardo sostanziale” (secondo la formulazione usata dal giudice stesso) che l’esperimento della procedura di mediazione è idoneo a comportare nella proposizione dell’azione in giudizio. Secondo l’interpretazione del decreto data dal giudice, infatti, il ritardo non sarebbe unicamente di 4 mesi, ma potrebbero verificarsi delle ipotesi in cui tale termine sarebbe aumentato. In primo luogo un allungamento dei tempi potrebbe derivare da eventuali ritardi nella formazione del verbale da parte del mediatore. Inoltre, sempre secondo quanto ipotizzato dal giudice a quo, potrebbe capitare che si riveli necessario esperire più di un tentativo di mediazione nel corso del procedimento a seguito dell’introduzione, nel corso di un medesimo giudizio, di domande nuove e connesse rispetto a quella principale. Ciò potrebbe capitare, ad esempio, nel caso di domanda riconvenzionale del convenuto, di reconventio reconventionis dell’attore, di intervento di terzi. Infine, il giudice rileva che i costi del procedimento di mediazione potrebbero raggiungere elevati importi, tali anche da superare quelli del giudizio ordinario e sollecita la pronuncia della Corte anche su questo punto (cfr. Download Ordinanza rinvio CG – Giudice-di-pace-Mercato-San-Severino (1)).

Giova da ultimo osservare come in entrambi i casi si tratta di rinvii pregiudiziali effettuati nell’ambito di questioni puramente interne. Il giudice di Bagheria giustifica il rinvio in quanto, sebbene la Direttiva si applichi alle sole controversie transfrontaliere, la sua interpretazione è rilevante anche in relazione alle controversie interne, poiché il diritto nazionale ha richiamato e recepito la direttiva anche per le controversie tra soli cittadini italiani. Secondo la costante giurisprudenza della Corte richiamata dalla stessa ordinanza, infatti, la competenza della Corte si estende, in linea di principio, alle questioni pregiudiziali aventi ad oggetto disposizioni comunitarie, in situazioni in cui i fatti oggetto della causa sono estranei al campo di applicazione del diritto comunitario, ma ove le dette disposizioni comunitarie sono state rese applicabili dal diritto nazionale.

Occorrerà attendere la pronuncia della Corte di giustizia per valutare se i profili di criticità dell’istituto della mediazione in relazione al diritto di difesa potranno essere superati mediante un’interpretazione conforme alla Direttiva, oppure se sarà necessario un intervento del legislatore per correggere eventuali contrasti. La Corte, peraltro, si è recentemente pronunciata su un’ipotesi di tentativo di conciliazione obbligatoria previsto dalla legislazione italiana in materia di telecomunicazioni, sancendo i criteri alla luce dei quali tale obbligo si può ritenere conforme al principio di tutela giurisdizionale effettiva[4], oggetto di commento su questo blog da parte di Alessandra Pera . E’ probabile che tale pronuncia costituirà un punto di riferimento per la valutazione dell’istituto della mediazione

 


[1] Ai sensi dell’art. 5 del D. Lgs. 28/2010 si tratta di: materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, da responsabilità medica e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari.

[2] Le parti, infatti, avevano sollevato una questione di legittimità costituzionale del D. Lgs. 28/2010, per il contrasto con alcune norme della Costituzione: l’art. 97, l’art. 3, l’art. 76, l’art. 24 Cost.. Nel ritenere manifestamente infondate le censure in relazione alle altre norme con ragionamenti che non compete approfondire in questa sede, il giudice ritiene, invece, di condividere alcune perplessità delle parti in relazione all’art. 24, concernenti la tutela del diritto di difesa. Tuttavia, egli ritiene che una interpretazione conforme alla Direttiva 2008/52 potrebbe portare a ritenere esistenti le garanzie di tale diritto nel nostro sistema e, dunque, ad escludere l’illegittimità costituzionale. Egli, dunque, si rivolge in primis alla Corte di giustizia.

[3] Nella propria ordinanza, infatti, il giudice esplicita come sia necessario che il mediatore sia esperto in diritto in quanto deve interloquire con gli avvocati delle parti, redigere il verbale di mediazione che sarà omologato dal giudice, formulare la proposta conciliativa e compiere altre attività per le quali sono strettamente necessarie competenze giuridiche.

[4]  Corte giust., 18 marzo 2010, Rosalba Alassini contro Telecom Italia SpA, Filomena Califano contro Wind SpA, Lucia Anna Giorgia Iacono contro Telecom Italia SpA e Multiservice Srl contro Telecom Italia SpA, cause riunite C- 317/08, C-318/08, C-319/08, in Racc. p.  2010 pagina I-02213.