L’Unione europea ratifica la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità
Dopo l’approvazione della nuova Strategia europea sulla disabilità 2010-2020 (Comunicazione della Commissione, Strategia europea sulla disabilità 2010-2020: un rinnovato impegno per un’Europa senza barriere, COM(2010) 636 fin), il 15 novembre 2010, l’Unione europea ha finalmente completato, lo scorso 23 dicembre, il procedimento di ratifica della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità (di seguito semplicemente Convenzione).
Conclusa a New York il 13 dicembre 2006, aperta alla ratifica il 30 marzo 2007 ed entrata in vigore il 30 maggio 2008, questa Convenzione rappresenta il primo strumento internazionale vincolante in tema di disabilità, e la «first human rights Convention of the new century» (L. Waddington, 2007).
Visto che l’Unione europea è da tempo assai attiva sulla scena internazionale ed è divenuta parte di molteplici accordi internazionali, la conclusione di tale Convenzione, a prima vista, non pare evento eccezionale. In realtà, ad uno sguardo più attento, si disvelano più profili d’interesse per il giurista.
In primo luogo, il processo seguito per la ratifica del Trattato presenta motivi di peculiarità, visto che il deposito dello strumento di ratifica presso le Nazioni Unite, solitamente di poco successivo alla Decisione del Consiglio di conclusione dell’accordo internazionale, è stato, in questo caso, posticipato e subordinato all’adozione di un Codice di condotta concertato tra Consiglio, Stati membri e Commissione europea, un codice volto a ridisegnare i rapporti e gli ambiti di competenza nell’attuazione della Convenzione. È pur vero che in altri casi di accordi misti vi è stata l’adozione di codici di condotta durante le fasi negoziali (come nel caso della Convenzione UNESCO sulla protezione e promozione della diversità delle espressioni culturali), che la prassi è senz’altro variegata e di non sempre facile ricostruzione, ma non pare si riscontrino precedentemente casi di ratifica di accordi internazionali subordinata all’adozione di tali codici. In molte occasioni di accordi misti, si è ritenuta utile ai fini dell’implementazione (oltre che per l’individuazione ultima della responsabilità internazionale dell’UE) la dichiarazione concernente l’ambito di competenze dell’Unione in riferimento alle materie oggetto dell’accordo internazionale.
Nel caso in esame, dopo la firma della Convenzione, il 30 marzo 2007, si è avviato il procedimento di conclusione, culminato nell’adozione, sotto la vigenza dei precedenti Trattati, della Decisione 2010/48/EC del 26 Novembre 2009 da parte del Consiglio. Ai sensi degli articoli 3 e 4 di questa Decisione era previsto che il deposito dello strumento di ratifica avvenisse appunto solo a seguito dell’adozione di un codice di condotta. Tale Codice è stato adottato esattamente un anno dopo, il 29 novembre 2010, e pubblicato il successivo 15 dicembre sulla Gazzetta ufficiale. Il Codice pur enfatizzando il dovere di cooperazione nell’attuazione della Convenzione e la natura evolutiva delle competenze dell’Unione, mira a tracciare un accordo dettagliato in ordine a quelli che dovranno essere i compiti di Consiglio, Commissione e Stati membri, anche con riferimento alle posizioni da assumere in sede internazionale. Il Codice afferma che gli Stati membri nelle materie di propria competenza dovranno coordinarsi, mentre l’Unione attraverso i suoi organi potrà attuare la Convenzione ed esprimere la posizione europea nelle materie di competenza esclusiva (come, ad esempio, mercato interno e aiuti di Stato). In tutte le altre materie, oggetto di competenze condivise o di sostegno, si richiede una ricerca permanente di posizioni condivise attraverso una serie di meeting informali o all’interno degli working groups competenti del Consiglio, ovvero in COREPER, con il coinvolgimento del Gruppo di Alto Livello sulla Disabilità, ove richiesto. Il Codice detta poi le regole in ordine all’attuazione dell’art. 33 della Convenzione. Quest’ultima norma prevede l’istituzione di specifici organismi riguardo l’applicazione e il monitoraggio della Convenzione: in particolare, l’art. 33 par 1 richiede che le Parti creino uno o più focal points a livello governativo per risolvere tutte le questioni attinenti l’attuazione della Convenzione. Nel caso di più focal points la Convenzione prevede che possa crearsi anche un meccanismo per coordinare gli stessi: soluzione quest’ultima che appare altamente desiderabile in caso di Stati federali (o di organizzazioni d’integrazione regionale, come l’UE). Inoltre l’art. 33, par. 2, richiede la creazione di un framework, che includa organismi indipendenti al fine di protegge e promuovere i diritti contemplati dalla Convenzione. Senza soffermarsi sul contenuto della norma che è apparso a tutti i commentatori di particolare complessità e delicatezza, vale la pena di sottolineare come il Codice di condotta oltre a ribadire quanto stabilito nella decisione, ovvero che la Commissione riveste in seno all’UE il ruolo di focal point, richiede agli Stati membri di notificare alla Commissione stessa i propri focal points. Inoltre si prevede tra tali focal points si svolgano incontri di coordinamento. Per quanto riguarda le attività di monitoraggio, quest’ultimo è suddiviso in base alle competenze, cosicché spetterà all’Unione o agli Stati membri in caso di competenze rispettivamente esclusive. Negli altri casi sarà l’Unione a monitorare l’attuazione ed a compilare il rapporto da presentare in sede internazionale, ma con la collaborazione degli Stati membri. A ben guardare il Codice di condotta non aggiunge molto a quanto già stabilito nella decisione di ratifica e, pur identificando in astratto ambiti competenziali e compiti, de facto si dovrà valutare di volta in volta il soggetto tenuto a porre in essere le norme applicative delle disposizioni convenzionali. Inoltre, nel continuo coordinamento in sede istituzionale, ovvero attraverso incontri informali, si restringono gli spazi di autonomia dei singoli Stati.
In secondo luogo, questo trattato, che presenta un testo di particolare lungimiranza per approccio e contenuti e mira a garantire ai disabili il godimento dei diritti senza discriminazione, rappresenta una nuova sfida per l’Unione europea. Si renderà, infatti, necessaria per ottemperare agli obblighi internazionali, un’opera di sostanziale revisione della normativa (comunitaria e statale) esistente, a partire dalla direttiva 2000/78/CE, dalla copiosa regolamentazione in materia di trasporti e in materia di servizi è facile prevedere che siamo all’inizio di un lungo cammino alla ricerca di nuovi compromessi in ragione dell’attuazione piena del modello sociale di tutela della disabilità.
In terzo luogo, tale Convenzione è de jure et de facto il primo trattato generale sui diritti umani ratificato dall’UE nel suo insieme. Come taluni hanno sostenuto, infatti, il percorso seguito per la ratifica della Convenzione ONU sembra offrire un precedente di peso sul quale modellare il percorso, ancora tutto in salita, per la conclusione della CEDU. Può forse dirsi che si è “aperta la strada” all’attuazione dell’art. 6 TUE.