L’overruling di Chevron: much ado about nothing?
In Loper Bright Enterprises v. Raimondo, 603 U.S. ___ (2024), la Corte suprema degli Stati Uniti d’America, con una maggioranza di 6-3, ha pronunciato l’overruling della celebre sentenza Chevron U.S.A., Inc. v. Natural Resources Defense Council, Inc., 467 U.S. 837. Come noto, Chevron deve la sua fama alla doctrine che da essa si è sviluppata (detta appunto Chevron deference) e che impone(va) ai tribunali di deferire all’interpretazione (purché «permissible») di una disposizione ambigua offerta dall’agenzia federale (agency) incaricata della cura in concreto di un interesse pubblico presidiato dalla medesima disposizione. La lettura della majority opinion, redatta dal Chief Justice John Roberts, offre una serie di spunti che si ordinano, a beneficio del lettore, con riferimento a tre diverse – ma non per questo slegate – questioni: la definizione dei rapporti tra potere giurisdizionale e potere amministrativo; la speculazione circa il futuro del modello di Stato amministrativo, che tanto in profondità ha segnato gli attuali equilibri istituzionali statunitensi; l’analisi degli orientamenti politico-culturali (in senso ampio) entro i quali tendenzialmente si colloca l’attuale maggioranza “conservatrice” della Corte.
1. Chevron è stata definita un «Accidental Landmark». Quando fu decisa – all’unanimità (ma il collegio era formato in quel momento da sei giudici soltanto) – il suo stesso redattore, Justice Stevens, non si era reso conto di aver dato avvio a una “rivoluzione” giuridica (v. questa conversazione con Linda Greenhouse, a p. 315). Dal canto suo, Stevens reputava di essersi soltanto collocato sulla scia della giurisprudenza consolidata, in questo modo mostrando però di sottovalutarsi. Chevron presenta infatti due elementi di novità rispetto al precedente case-law. Per un verso, ha introdotto un test per affermare o negare la deference, strutturato in due passaggi: verifica del carattere ambiguo o meno della disposizione da applicare; e solo nel caso in cui questo passaggio si fosse concluso nel senso dell’ambiguità, la conseguenza sarebbe stata la deference all’interpretazione proposta dall’agenzia federale. Per altro verso, ha offerto una giustificazione di tipo politico all’atteggiamento di deference, rintracciandola nella responsabilizzazione che gli organi democraticamente legittimati hanno e che invece manca all’ordine giudiziario.
È stato proprio questo secondo aspetto a determinare la fortuna di Chevron come precedente. Qualche anno dopo essere stata pronunciata – e sostanzialmente lasciata senza seguito – Chevron fu “riscoperta” in Smiley v. Citibank, 517 U.S. 735 (1996). Redattore di questa ultima sentenza è Justice Scalia, che unanimemente la dottrina riconosce come il vero “campione” della Chevron deference. Scalia ha ricollegato la deferenza alla «presumption that Congress, when it left ambiguity in a statute meant for implementation by an agency, understood that the ambiguity would be resolved, first and foremost, by the agency, and desired the agency (rather than the courts) to possess whatever degree of discretion the ambiguity allows» (enfasi aggiunta). La contrapposizione tra amministrazione e giudice in riferimento all’esercizio di un potere discrezionale e additivo rispetto al diritto positivo si innestava infatti in un convincimento che Scalia aveva maturato già quando era un cultore accademico del diritto amministrativo. Secondo Scalia, le agenzie federali non esercitano il potere in modo tecnicamente sofisticato e neutrale: ma ciò appartiene non alla patologia, bensì alla fisiologia del loro operato. Queste autorità sono integralmente inserite nel circuito politico e ricevono pertanto l’autorizzazione a esercitare la propria discrezione decisionale precisamente dalla legittimazione democratica del ramo esecutivo cui appartengono. Per far emergere l’aspetto dell’attività regolatrice che è politico, in quanto presuppone un giudizio di valore, Scalia ha insistito sulla necessità che esso restasse consegnato alla sfera di autonomia decisionale delle autorità amministrative, senza essere surrettiziamente trasferito nell’ambito della discrezionalità interpretativa dei tribunali. Ecco spiegata, in sintesi, la difesa della Chevron doctrine come regola che, proprio per il suo carattere “netto”, avrebbe, per un verso, rispettato il principio di separazione dei poteri (e il suo corollario di legittimazione e responsabilità delle scelte politiche) e, per altro verso, prodotto certezza e calcolabilità delle conseguenze giuridiche.
Negli ultimi anni, questa impostazione, che anima ancora l’approfondito dissent in Loper di Justice Kagan, è stata oggetto di critiche sempre più serrate, con il risultato di averne eroso la stabilità sino a preparare il terreno all’overruling. Proprio sul piano istituzionale della separazione dei poteri, si è avvertito un sempre più accentuato spostamento di poteri verso l’esecutivo e la Chevron deference è stata identificata con una «abdication of the judicial duty» di fornire l’interpretazione autoritativa della legge (così Neil Gorsuch, quando era ancora giudice d’appello). Messa da un canto la verifica dell’effettiva fondatezza di questa obiezione, che richiederebbe spazi ben più ampi del presente commento, è indubbio che essa ha portato al rovesciamento dell’argomento sulla separazione dei poteri, impiegato non più per proteggere i legittimi spazi di discrezionalità dell’amministrazione chiamata a occuparsi della cura in concreto dell’interesse pubblico, ma all’inverso per assicurare un più deciso sindacato giurisdizionale dell’azione esecutiva. E tanto più questa obiezione ha preso piede, e tanto più è stata minata alle fondamenta l’eccezione che la Chevron deference ha intagliato nel principio solennemente annunciato da Chief Justice Marshall in Marbury v. Madison («It is emphatically the province and duty of the judicial department to say what the law is»). Non è un caso, allora, che la giurisprudenza della Corte suprema non abbia più fatto riferimento alla Chevron deference negli ultimi anni, e che sempre più tribunali si siano nel frattempo arrestati al primo passaggio del test delineato in Chevron, reputando le leggi da applicare non ambigue e pertanto non bisognose di essere rimesse all’interpretazione delle agenzie federali.
2. Se Chevron era un precedente “dormiente”, può immaginarsi che il suo overruling non sia destinato a spiegare rilevanti effetti pratici. D’altronde, la Corte ha riconosciuto che «In a case involving an agency […] the statute’s meaning may well be that the agency is authorized to exercise a degree of discretion. Congress has often enacted such statutes. […] When the best reading of a statute is that it delegates discretionary authority to an agency, the role of the reviewing court under the APA [Administrative Procedure Act] is, as always, to independently interpret the statute and effectuate the will of Congress subject to constitutional limits». In casi come questi, il post-Chevron potrebbe insomma non essere tanto diverso da quanto finora accaduto, sicché i timori sull’inutilizzabilità del sapere tecnico-scientifico nell’attività di governo risulterebbero infondati. Nel proprio dissent, concentrandosi sul proprium dell’attività amministrativa di fronte alla complessità dei fenomeni economici e sociali e alla rapidità dei cambiamenti, Justice Kagan ha fatto riferimento all’ipotesi in cui «Congress directed the Department of the Interior and the Federal Aviation Administration to reduce noise from aircraft flying over Grand Canyon National Park – specifically, to “provide for substantial restoration of the natural quiet”», evidenziando l’aspetto problematico della regolamentazione: «How much noise is consistent with “the natural quiet”? And how much of the park, for how many hours a day, must be that quiet for the “substantial restoration” requirement to be met?». Ricollegandosi a questa domanda, vi è chi ha concluso che «a Chevron approach to this statutory problem can proceed almost exactly as before, just with different labeling. Interpreting the statute independently, the judges will now say that the best reading itself is that Congress has (in the majority’s terms) “authorized the agency to exercise a degree of discretion” in giving necessary specification and concretization to “substantial restoration,” and so forth».
Il problema è, in tutta evidenza, quello del «diritto di ultima decisione» (Letztentscheidungsrecht) sul significato da ascrivere, per usare l’espressione tipica della cultura europeo-continentale, ai cosiddetti «concetti giuridici indeterminati» (unbestimmte Rechtsbegriffe). Sarà compito degli amministrativisti (e del tempo) giudicare se l’overruling di Chevron sia stato davvero much ado about nothing. A noi pare che Loper, se non sul piano della pratica, sia destinata a rivestire un’importanza apprezzabile sul piano delle enunciazioni di principio. La Corte ha statuito che, di regola, l’agenzia federale potrà d’ora in avanti fornire argomenti a sostegno di una certa interpretazione della legge: il giudice potrà ritenere questi ultimi i più persuasivi, facendoli propri, ma sempre come atto di libero convincimento personale e, quindi, con un tratto di coerenza maggiore rispetto alla natura avversariale del processo, della quale è corollario il principio di parità delle armi tra le parti.
3. La Corte suprema appare ormai impegnata in un’opera di contenimento del cosiddetto Stato amministrativo. In questo senso si leggono già le sentenze in materia di major question doctrine (v., da ultimo, Biden v. Nebraska, 600 U.S. 477 (2023)), che pone limiti rigorosi all’azione delle agenzie federali, giacché richiede che sia il Congresso a esercitare i «poteri di vasta importanza economica e politica», salva una testualmente chiara delega nei confronti delle agenzie. L’overruling di Chevron costituisce ora il passaggio più avanzato lungo questo percorso: la Chevron deference era infatti ormai assurta – proprio sul piano dei principi – a colonna portante di quel modello istituzionale. Può persino dirsi – rammentando quanto abbiamo già scritto – che l’attuale maggioranza “conservatrice” abbia così finito per superare Justice Scalia, nome tutelare del judicial conservatism moderno, seppur vi siano buone ragioni per “sospettare” che anche quest’ultimo, sul finire della propria carriera, stesse rimeditando la sua difesa della Chevron deference (sia consentito, in proposito, il rinvio al nostro Antonin Scalia, Torino, 2022, p. 120-124). Le letture politiche di Loper, e più in generale della posizione che la Corte suprema esibisce ormai nei confronti dello Stato amministrativo, sono varie e si distribuiscono lungo tutto l’arco delle idee, da chi denuncia un «massive power grab» a chi invece celebra uno «step towards protecting the rule of law and curbing executive power». Anche della fondatezza di queste letture sarà giudice il tempo, mentre alla dottrina spetterà il compito di depurare dal sovraccarico ideologico la questione così delicata dell’equilibrio tra effettività dell’azione amministrativa e presidio della legalità sostanziale.