Limiti al conflitto nei servizi essenziali e concetto di sciopero generale: osservazioni a partire dalla cronaca
Sullo sciopero generale del 17 novembre 2023 vi è motivo di soffermarsi non tanto per la dialettica politica intercorsa fra il Ministro dei Trasporti e i sindacati (anche se la severa – e probabilmente discutibile – ordinanza di precettazione adottata dal Ministero meriterebbe una riflessione a parte, che in questa sede non svolgeremo), quanto per la più interessante questione di come si realizza il bilanciamento fra interessi costituzionali confliggenti nei servizi pubblici essenziali (l. n. 146/1990, spec. art. 1) in occasione di uno sciopero generale (cfr. G. Santoro Passarelli 2008; G. Pino, F. Liso, F. Santoni e M. Rusciano, tutti in Newsletter CgS n. 1-2/2003; di recente G. Pino 2022).
Oltre a spingere verso soluzioni conciliative, la citata legge disciplina istituti e regole capaci autoritativamente di impedire un sacrificio sproporzionato di uno degli interessi coinvolti: ne sono un esempio l’obbligo di garantire le prestazioni indispensabili, la rarefazione e l’istituto della precettazione. A sorvegliare il comportamento delle parti e il rispetto del dettato legale è la Commissione di garanzia per lo sciopero nei servizi pubblici essenziali, un’Autorità indipendente che ha sempre svolto un ruolo lato sensu giurisprudenziale, attraverso delibere che, a partire dai casi concreti, offrono spunti interpretativi e acquisiscono valore di precedente ispirando gli orientamenti successivi.
In quest’occasione la Commissione si è soffermata sulla rarefazione e sulla limitazione della durata massima della prima azione di sciopero, che è prevista fra le regole vigenti in alcuni settori. La rarefazione oggettiva è la regola che impone un determinato lasso di tempo fra due diverse iniziative di sciopero (indipendentemente da chi siano i soggetti proclamanti) quando tali scioperi hanno luogo nel medesimo settore con disservizio per il medesimo bacino di utenza, mentre la rarefazione soggettiva è il distanziamento temporale imposto a una stessa sigla sindacale per la proclamazione di più scioperi successivi.
In occasione degli scioperi settoriali (relativi a una specifica categoria, settore o servizio pubblico) la mitigazione dell’impatto che le azioni di conflitto producono sull’utenza sono ragionevoli giacché l’interesse collettivo, di natura economico-professionale, perseguito in questi casi, va contemperato con la garanzia di una quota minima di servizio (le prestazioni indispensabili) e con una ragionevole limitazione dell’estensione e della frequenza del disagio che l’utenza comunque soffre in occasione dello sciopero.
Ben diversa è la situazione in occasione degli scioperi generali. Nell’ordinamento italiano, però, non esiste una nozione codificata e univoca di sciopero generale. Indicazioni definitorie emergono solo dalle decisioni della Commissione di garanzia e dal patrimonio dottrinario e giurisprudenziale formatosi nel corso di decenni di giuridificazione della prassi, realizzatasi recependo la “tipicità sociale” delle varie esperienze che lo sciopero come fatto giuridico ha proposto agli osservatori.
In sintesi (rinviando a R. Del Punta 2005) si può ritenere che – affinché vi sia sciopero generale – debbano concorrere due requisiti: la trasversalità rispetto a molteplici settori (pubblici o privati), con il coinvolgimento di lavoratori eterogenei dal punto di vista categoriale, e la finalità generale, intesa come sganciata da una specifica piattaforma rivendicativa, ma riconducibile a una pretesa di carattere propriamente politico o economico-politico.
Quanto al primo requisito, di norma il coinvolgimento di più settori si coglie nel fatto che lo sciopero è proclamato a livello confederale, di talché i lavoratori di molteplici categorie produttive sono chiamati al conflitto. Siffatto presupposto, peraltro – come risulta da concorde dottrina (v. ancora R. Del Punta, cit.) e dalla “giurisprudenza” della Commissione di garanzia – non richiede né che lo sciopero sia indetto da tutti i sindacati confederali (ben potendo essi avere una linea politica divergente, per il pluralismo ex art. 39, comma 1, Cost.), né che il/i sindacato/i proclamante/i possegga(no) un certo livello di rappresentatività, ancorché essa sia solitamente conseguenza della stessa adozione del modello confederale (su tale profilo, e sulla tendenza recente di sindacati anche minori a proclamare scioperi generali, v. criticamente G. Pino 2022, cit., 1200).
Quanto al secondo requisito, il fatto che gli scopi dello sciopero consistano in pretese puramente politiche (ad es. il contrasto agli indirizzi della maggioranza di governo) o economico-politiche (ad es. la critica a scelte di finanza pubblica o fiscali, purché abbiano ricadute sulla condizione di ampia parte della collettività dei lavoratori, come accade in occasione delle leggi di bilancio), oltre ad essere legittimo e conforme alla funzione che la Carta assegna al conflitto collettivo in un’ottica di democrazia partecipativa (cfr. C. cost., n. 290/1974, rafforzata da svariati interventi nel successivo cinquantennio; sullo sciopero politico v. M. V. Ballestrero, Diritto sindacale, VI ed., Giappichelli, 2018, 275 ss.), rappresenta un dato che per antonomasia si rinviene negli scioperi generali.
Il non essere legati a una vertenza meramente categoriale, a un singolo soggetto datoriale o a uno specifico rinnovo contrattuale attribuisce all’interesse collettivo perseguito dal conflitto il carattere di generalità, ne è il suo proprium, senza peraltro la necessità che tutte le categorie (id est, tutti i lavoratori) siano coinvolte dallo sciopero (si è detto che «sciopero generale non vuol dire sciopero di tutti»: così F. Scarpelli 2023 e L. Zoppoli 2023.
Non ci sottraiamo al tema della distinzione fra sciopero generale e sciopero intercategoriale (o intersettoriale o plurisettoriale: le tre nozioni paiono confondersi e quindi, essenzialmente, coincidere) più volte evocata dalla Commissione: leggendo le delibere n. 134 del 2003 – ancor oggi il punto di riferimento più rilevante per le deroghe alla disciplina limitativa degli scioperi nei servizi pubblici essenziali quando questi siano generali – e altre (sia dei primi anni del secolo, sia successive, come la n. 619 del 2009) si può rilevare che: a) quando c’è sciopero generale tendenzialmente viene affermato il coinvolgimento di tutti i settori salvo alcune eccezioni espressamente elencate, mentre gli scioperi intercategoriali menzionano espressamente i soli settori coinvolti; b) quando lo sciopero è meramente intersettoriale di norma non sono previste particolari deroghe alla regola della durata massima della c.d. prima iniziativa di sciopero (mentre si può applicare la rarefazione oggettiva: così la delibera del 2009) ed è la stessa Commissione ad averlo confermato anche con il verbale n. 923 del 7 novembre 2011, qui richiamato.
Come detto, la delibera del 2003 è, sul piano applicativo, il documento che differenzia il trattamento degli scioperi generali nei s.p.e. dagli scioperi non generali che riguardano i medesimi servizi. Questa decisione, però, pur essendo chiara sul piano della differenziazione di disciplina, non lo è altrettanto sul piano della definizione della fattispecie, tanto che per provare a definire cosa è sciopero generale è opportuno affidarsi a dati per così dire extra-legislativi e provenienti dalla prassi e dall’interpretazione.
È quindi possibile comprendere perché la decisione recente della Commissione di garanzia non convinca pienamente. Se torniamo, infatti, alla cronaca, rinveniamo un atto della Commissione (tecnicamente, una «indicazione immediata» ex art. 13, comma 1, lett. d), l. n. 146/1990), datato 8 novembre 2023, in cui veniva segnalato ai sindacati confederali proclamanti che nello sciopero indetto per il 17 novembre vi erano alcune violazioni delle disposizioni relative agli intervalli minimi tra successive proclamazioni e alla durata massima della prima azione di sciopero. Ciò per alcuni fra i settori coinvolti.
La Commissione richiedeva perciò ai sindacati una revisione delle caratteristiche della propria iniziativa conflittuale. Queste pretese si basavano sul disconoscimento della natura generale dello sciopero (che tale era invece qualificato dalla proclamazione del 27 ottobre, avente anche una piattaforma di motivazioni molto ampia: v. qui) che però sostanzialmente non è motivato dalla Commissione, se non con un rapido richiamo alla delibera del 2009 (ma omettendo quella del 2003) e con l’affermazione che si trattava di sciopero meramente “intersettoriale”.
Ne seguiva un incontro della Commissione con Cgil e Uil il 13 novembre, all’esito del quale l’Autorità garante ribadiva la propria posizione con uno scarno comunicato stampa, in cui veniva menzionata la delibera del 2003 per affermare che nel caso di specie non ricorressero i presupposti di sciopero generale (nel quale essa prevede le deroghe più favorevoli agli scioperanti) «per consolidato orientamento della Commissione». Ebbene, ogni conoscitore della materia minimamente avvertito ha buon gioco nel rilevare che tale consolidato orientamento in realtà sembra non esistere (oltre alle autorevoli e richiamate prese di posizione di Scarpelli e Zoppoli, v. ad esempio qui e qui). Ne è riprova anche il fatto che, fra gli esperti che hanno assunto una linea critica nei confronti dell’iniziativa sindacale (v. qui), e che sembrano sposare la posizione della Commissione di garanzia, non si trovano argomenti a suffragio della solidità tecnica del provvedimento di quest’ultima, ma semmai una critica alla natura “eccessivamente politica” dell’iniziativa sindacale. Critica totalmente legittima nel merito, ma, come abbiamo già detto, la natura puramente politica di uno sciopero non solo è riconducibile alla sfera protetta dello sciopero come diritto ex art. 40 Cost., ma è proprio uno degli elementi che da sempre e inevitabilmente caratterizzano lo sciopero generale.
Per giunta, provando a scavare meglio fra i precedenti della Commissione le perplessità trovano conferma: lungi dall’esistere un consolidato orientamento su cosa sia realmente sciopero generale (e cosa invece non lo sia) si trovano delibere in cui si dettano regole per «gli scioperi che per estensione (un intero settore o intersettoriale), dimensione nazionale, potenziale partecipazione e impatto siano valutabili come “sciopero generale”», con formulazione che pare qui sovrapporre lo sciopero generale allo sciopero intersettoriale (così la n. 152 del 2001).
La Commissione Lavoro e la Commissione Trasporti della Camera dei deputati hanno congiuntamente audito la Commissione di garanzia nella mattinata del 15 novembre (in particolare la sua Presidente: v. la videoregistrazione integrale e una cronaca), senza ricavarne particolari elementi di chiarimento sui profili critici qui evidenziati. Non può sottacersi lo sforzo fatto dalla Commissione che, adempiendo a un impegno assunto durante l’audizione, nel giro di due giorni ha trasmesso ampia documentazione scritta alle due Commissioni parlamentari (v. qui il relativo comunicato stampa e tutto il materiale allegato), senza però riuscire a dimostrare l’esistenza del «consolidato orientamento» di cui sopra e vedendosi anzi “costretta” dai fatti a sostenere esplicitamente che sarebbe generale solo lo sciopero che coinvolga «tutte le categorie del lavoro pubblico e privato dell’intero territorio nazionale, con una concentrazione temporale nella medesima data» (definizione che, alla luce di quanto detto, è quantomeno controversa).
Fra i materiali prodotti dall’Autorità garante non vi sono però documenti che dimostrino questa tesi: per fare un esempio, viene richiamata e allegata la delibera n. 200 del 2010, con la quale la Commissione aveva fornito prescrizioni limitative ai sindacati che avevano indetto uno sciopero nazionale in vari settori, precisando che non si applicavano al caso di specie le deroghe di cui alla delibera del 2003; ma il precedente non pare in termini, poiché basta leggere la proclamazione per accorgersi che gli stessi sindacati non avevano qualificato come generale quella iniziativa e avevano indicato nominalmente i soli settori interessati (mentre nel caso di novembre 2023 lo sciopero è stato qualificato come generale, con ampio orizzonte politico-rivendicativo e ha riguardato tutti i settori, eccetto alcuni espressamente menzionati).
Qualche pregio in più sembrerebbe avere il richiamo che la Commissione fa al proprio verbale n. 1012 del novembre 2013 (riportato fra i materiali che l’Autorità ha fornito alle Commissioni parlamentari, v. link supra), ove essa rappresentava alle organizzazioni sindacali che «…per il futuro, in presenza di una proclamazione che non riguardi un’azione di sciopero nazionale per tutte le categorie pubbliche e private, la Commissione dovrà considerare tale astensione alla stregua di uno sciopero plurisettoriale e, dunque, dovrà procedere alla valutazione della legittimità dell’astensione con riferimento alle regole contenute nelle discipline dei settori di competenza (divieti di concomitanza, limiti di durata, ecc) non ritenendo applicabile la delibera in materia di sciopero generale, n. 03/134…». Senonché, in primo luogo non è una delibera, ma si tratta di una dichiarazione a verbale che pare limitarsi – senza alcun valore decisorio-istituzionale – ad avvisare i sindacati in ordine alla consistenza che deve avere uno sciopero per essere generale, ma nei fatti e nelle prassi non risultano orientamenti che realmente qualifichino come generale solo lo sciopero esteso a tutti i settori, anche perché sarebbe in concreto un’ipotesi limite.