“Libertà di espressione e libertà religiosa in tempi di crisi economica e di rischi per la sicurezza”

Il Volume, a cura dei Professori Dal Canto, Panizza e Consorti raccoglie i frutti del lavoro svolto all’interno di un Progetto di Ricerca d’Ateneo (PRA), finanziato dall’Università di Pisa nel 2015 sul tema “Libertà religiosa e libertà di espressione in tempi di crisi economica e di rischi per la sicurezza”.

Questo Progetto ha visto la collaborazione di docenti e studiosi del diritto costituzionale ed ecclesiastico, che il 27 novembre 2015 hanno partecipato ad un incontro seminariale per discutere di questi temi.  L’incontro, come il testo, è stato diviso in due sessioni. Una sulla libertà di espressione, coordinata dal Professor Saulle Panizza, e una sulla libertà religiosa coordinata dal Prof. Pierluigi Consorti.

L’intento è stato quello di consentire la maggiore condivisione possibile di idee e riflessioni all’interno del Progetto, favorendo i punti di contatto tra gli studiosi di queste due discipline, che hanno partecipato tutti ai lavori del seminario. In questo modo l’elaborazione dei contributi di ognuno confluiti nel testo ha potuto beneficiare di quanto emerso dal confronto con gli altri colleghi.

Alla presentazione del libro, il 17 marzo 2016, sono stati invitati magistrati, docenti e figure istituzionali del mondo della tutela dei diritti con cui discutere dei frutti di questo lavoro. La Prof.ssa Marta Cartabia, Vice Presidente della Corte Costituzionale e il Prof. Francesco Margiotta Broglio in particolare hanno espresso apprezzamento per la metodologia del Progetto, che ragiona sul diritto a partire dai fatti.

Nel Volume sono trattati vari aspetti dell’interazione tra la libertà religiosa e di espressione con gli effetti della crisi economica e di sicurezza; dalle implicazioni dell’uso di Internet come mezzo di manifestazione del pensiero all’hate speech, dal ruolo delle economie tradizionali e alternative in materia religiosa al diritto ai luoghi di culto, dalle sfide della moderna società multiculturale all’analisi di altre realtà, religiose e giuridiche, più lontane da noi a cui siamo meno abituati.

Sempre di più il diritto diviene “vivente” non solo e non tanto per come operano i principi e le norme degli ordinamenti giuridici, ma per come queste sono influenzate da quello che accade nel mondo. Le due tipologie di crisi, quella economica e quella di sicurezza, sono due fenomeni che hanno un peso sempre maggiore nelle dinamiche giuridiche del nostro tempo.

Da fenomeno sporadico la “crisi” è diventata una categoria duratura, per la quale l’approccio emergenziale affronta solo una parte del problema e occorrono riflessioni a lungo termine.

Le difficoltà economiche di larga parte della popolazione – quando non degli Stati stessi nel loro complesso – rendono più difficile la soddisfazione e la tutela dei diritti, fondamentali e sociali, ponendo in campo una questione, quella del costo economico dei diritti e delle esigenze di bilancio, che ha molta meno rilevanza in tempi di benessere economico diffuso.

Chi scrive si dedica da tempo allo studio del Giappone nell’ambito del rapporto tra diritto e religione e il contributo in questo Volume indaga questa realtà con riferimento delle problematiche sulla sicurezza. Pur nella sempre maggiore vicinanza economica e sociale ai modelli più tipicamente occidentali, il Giappone mantiene ancora molte delle sue specificità culturali in ambito religioso. La gran parte della spiritualità giapponese si manifesta nelle forme tradizionali: la religione shintoista (Shinto 神道) – nucleo primigenio della cultura del paese – e le diverse manifestazioni del buddismo, sono le due esperienze religiose di maggioranza, con una ristrettissima presenza delle fedi monoteiste come l’Islam e i vari cristianesimi.

La natura della fede giapponese favorisce l’incontro tra le diverse manifestazioni del religioso al livello di unione sincretica, con fenomeni di mescolanza che si riflettono sul vissuto religioso da parte della popolazione. Molti giapponesi infatti sono partecipi di riti e cerimonie – l’esecuzione della gestualità rituale ha una grande importanza nell’idea di fede presente nell’Arcipelago – di religioni differenti. In questo le fedi di tradizione abramitica presentano una maggiore rigidità per quanto attiene alla costruzione della propria identità religiosa. Questo aspetto della spiritualità orientale contribuisce a modo suo a costruire il dialogo tra religioni e conseguentemente tra i fedeli, limitando gli estremismi derivanti dalla contrapposizione dogmatica.

Il Giappone ha comunque vissuto, come nei contesti occidentali, momenti di intolleranza religiosa, in particolare nel periodo che va dagli ultimi anni dell’800 ai primi del ‘900, quando lo Stato, dopo la cosiddetta Restaurazione Meiji, cercò di controllare la religione. Il governo nazionalista e imperialista dell’epoca fece un uso strumentale della tradizione shintoista, soprattutto per quanto atteneva alla figura dell’Imperatore (Tenno 天皇) e alla sua mitologica discendenza divina. La partecipazione ai relativi rituali e l’adorazione dell’Imperatore alla stregua di una divinità erano obbligatori per tutti, tuttavia inquadrati non come atti religiosi ma come doveri civili, che facevano riferimento ad una tradizione che tutti i giapponesi erano tenuti ad osservare. Si trattò di una sorta di laicizzazione della religione, che portò a persecuzioni contro quei gruppi religiosi di minoranza invisi al governo e alla forzata (in alcuni casi anche violenta) separazione della tradizionale e secolare combinazione delle fedi buddista e shintoista.

Più di recente il Giappone ha vissuto il suo personale 11 settembre con l’attentato alla metropolitana di Tokyo del 1995, in cui alcuni membri del gruppo religioso noto come Aum Shinrikyo, un piccolo culto di derivazione buddista, depositarono delle sacche contenenti gas sarin in alcuni vagoni della metropolitana, causando morti e feriti. Pur in un contesto di fenomeni religiosi per alcuni aspetti molto diversi da quelli diffusi in Europa, in Giappone abbiano così casi di terrorismo di matrice religiosa non dissimili da quelli legati al terrorismo islamico. La legislazione giapponese mantiene il suo consueto favore per l’attività dei vari gruppi religiosi presenti, ma si è trovata e si trova di fronte alle stesse problematiche del nostro lato del mondo.

Simili attentati sono tutti accomunati dall’imprevedibilità del momento e del luogo in cui potrebbero avvenire; poiché la loro diffusione è sempre più globale, tali minacce riducono le distanze geografiche del mondo.

La questione della sicurezza riguarda soprattutto le politiche statali di risposta alle violenze perpetrate dai gruppi legati al terrorismo internazionale, che causano forti tensioni costituzionali, nel dubbio se sia il caso il limitare le libertà per garantire la sicurezza o trovare altre vie per affrontare questi estremismi.

Recentissimi sono gli attentati di Bruxelles, portati a termine presumibilmente anche questa volta dal gruppo del sedicente “Stato Islamico”. L’Europa si unisce di nuovo nel dolore a causa di una minaccia che sembra impossibile da fronteggiare, poiché non si tratta di una guerra tra eserciti contrapposti ma di episodi di repentina violenza, i cui autori si nascondono tra la popolazione aspettando il momento opportuno per colpire. Non ci si può allora limitare ad un’analisi superficiale proprio per la complessità delle questioni in ballo: c’è già chi parla di controllare casa per casa gli islamici in Europa, contribuendo alla deriva liberticida e all’uso di un approccio noi-loro.

L’Islam è tuttavia fenomeno religioso occidentale tanto quanto lo sono cristianesimo ed ebraismo, figlio della medesima tradizione abramitica e dal fortissimo pluralismo interno in cui i gruppi radicali costituiscono una esigua minoranza. Trattare il terrorismo come mera questione di scontro tra Islam e Occidente è una semplificazione che gli ordinamenti europei non possono più permettersi.

In conclusione, il Volume vuole provare a rispondere ad alcune delle domande di queste due crisi rilanciando il ruolo di un diritto che non vuole ridursi ad uno strumento da limitare in tempi difficili, ma dotato di autocritica e capacità di adattarsi al mutevole presente.

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