Li hai voluti i contro-limiti? Ora pedala!
Il Tribunale dell’Unione Europea ha pubblicato il 30 settembre scorso la sentenza nella causa T-85/09 (Yassin Abdullah Kadi c. Commissione).
Ricorrente e oggetto del ricorso sono noti: il sig. Kadi ha richiesto al Tribunale di annullare il regolamento della Commissione 1190/2008, recante l’ennesima modifica al regolamento 881/2002, con cui si confermava la sua iscrizione nell’elenco dei soggetti di cui il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite aveva imposto il congelamento dei beni, a causa della loro associazione con il movimento terroristico dei Talebani.
Si tratta della seconda battaglia intrapresa dal sig. Kadi contro il regolamento 881/2002 (o una delle sue mutazioni). Già nel 2005 l’allora Tribunale di primo grado aveva respinto un ricorso analogo, argomentando che tale atto si limitava a dare esecuzione alle risoluzioni del Consigio di Sicurezza, pertanto il giudice comunitario non aveva su di esso alcun potere di revisione, salvi i casi estremi in cui si profilasse una violazione delle norme imperative di jus cogens.
La Corte di Giustizia, investita dell’appello contro questa sentenza, ha adottato un’impostazione del tutto differente. Con la sentenza del 2008 (cause riunite C-402/05 P e C-415/05), infatti, la Corte ha annullato la sentenza del Tribunale, chiarendo che i giudici dell’Unione hanno il compito di salvaguardare il rispetto dei diritti fondamentali e di annullare gli atti dell’Unione adottati in loro violazione, anche quando si tratti di misure di esecuzione delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza.
In particolare, la Corte ha ritenuto che il regolamento violasse il diritto alla difesa, in particolare il diritto al contraddittorio, nella misura in cui non era stato permesso al ricorrente anzitutto di conoscere i motivi alla base della misura restrittiva, né di presentare le proprie ragioni al fine di ottenerne una revisione da parte di un organo giurisdizionale. L’annullamento del regolamento è stato dichiarato con efficacia differita, per permettere al Consiglio di ovviare a queste carenze procedurali.
La Commissione, prima di adottare il regolamento di conferma, ha comunicato con una lettera al sig. Kadi i motivi alla base della sua iscrizione, respingendo però la sua richiesta successiva di fornire le prove su cui tali motivi erano stati formulati (cfr. il punto 50 della sentenza).
Il Tribunale ha riconosciuto che una tutela giurisdizionale efficace non può prescindere dall’analisi delle motivazioni di fatto soggiacenti all’adozione di una misura restrittiva, né dall’esame delle prove utilizzate dalle autorità competenti. Inoltre, il fatto che il congelamento si sia protatto per quasi dieci anni impedisce di giustificare la sommarietà del procedimento con il suo carattere temporaneo e di urgenza. Il regolamento violava quindi i diritti alla difesa, alla tutela giurisdizionale ed è stato pertanto annullato dal Tribunale, nella parte riferita al sig. Kadi.
A prima vista, il risultato appare prevedibile: il Tribunale applicato il principio stabilito dalla Corte, abbandonando le titubanze del 2005. Vi è però uno scarto qualitativo: mentre la Corte aveva punito la mancanza di una qualsiasi procedura di contraddittorio, e la conseguente privazione del diritto di difesa del ricorrente, il Tribunale ha dovuto valutare lo scambio di lettere tra la Commissione e il sig. Kadi, e saggiarne l’adeguatezza ai fini del rispetto del diritto di difesa. In altre parole, il Tribunale ha effettuato uno scrutinio nel merito delle tutele procedurali approntate dal Consiglio di Sicurezza e gestite dalla Commissione: il verdetto non è stato di inesistenza ma di insufficienza, a indicare che il bilanciamento risultante era insoddisfacente.
Al di là del caso di specie, si tratta di un passo ulteriore verso la sostanziale irrilevanza della matrice ONU delle misure UE. In materia di atti di esecuzione di misure ONU, il giudice UE non si limita alla protezione dello jus cogens (Kadi I, Tribunale), né a intervenire ove un diritto fondamentale sia sostanzialmente ignorato (Kadi I, CGUE), ma ha il potere di valutare nel merito (“in principle the full review”) il bilanciamento tra valori stabilito dal Consiglio di Sicurezza (punti 137, 194). Differentemente dai colleghi italiani, i giudici di Lussemburgo non si sono limitati ad agitare lo spauracchio dei contro-limiti, ma hanno cominciato a dargli contenuto e applicazione, seppure obtorto collo.
Come interpretare, altrimenti, l’ansia del Tribunale di ricordare che non è vincolato dalla sentenza della CGUE in Kadi (p. 112), il lungo resoconto delle polemiche suscitate da tale sentenza quanto all’inopportunità di interferire con le determinazioni del Consiglio di Sicurezza (p. 113-120), e la descrizione del controverso accoglimento di tale dottrina nelle giurisdizioni nazionali (p. 122)?
Il Tribunale espressamente addossa la responsabilità di questo sviluppo alla CGUE, in un passaggio in cui trapela la mancanza di entusiasmo per la nuova linea:
“the hierarchical judicial structure … generally advise[s] against the General Court revisiting points of law which have been decided by the Court of Justice. … Accordingly, if an answer is to be given to the questions raised by the institutions, Member States and interested legal quarters following the judgment of the Court of Justice in Kadi, it is for the Court of Justice itself to provide that answer in the context of future cases before it.”
Solo dopo aver chiarito a chi sia imputabile il pasticcio il Tribunale si occupa del regolamento effettuando una valutazione che non sia un meramente simbolica (“a simulacrum”), e che peraltro coincide con quella effettuata dalla CEDU su una misura analoga (cfr. sentenza del 19 febbraio 2009, A. and Others v United Kingdom).
Adesso la palla torna alla CGUE, che dovrà una volta ancora chiarire quale sia la funzione, nei confronti delle misure di mera attuazione delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza, di questi “contro-limiti all’europea”.