L’efficacia diretta dell’art. 157 TFUE nei rapporti di lavoro tra privati: la parità di retribuzione tra lavoratori di sesso maschile e femminile
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con la sentenza del 3 giugno 2021 (C-624/2019), si è espressa in merito alla diretta applicabilità dell’art. 157 TFUE ai rapporti di lavoro tra privati. La questione in oggetto riguarda il diritto o meno dei lavoratori di sesso femminile a vedersi riconosciuto un trattamento economico pari a quello spettante ai lavoratori di sesso maschile impiegati da uno stesso datore di lavoro presso centro diversi.
La Corte già in precedenti pronunce ha affrontato questioni analoghe (in particolare Defrenne, EU:C:1976:56), distinguendo ipotesi in cui tali discriminazioni sono facilmente accertabili con criteri di identità del lavoro e parità di retribuzione ovvero ipotesi in cui è, invece, necessaria una disciplina attuativa Europea o nazionale poiché il giudice non è in grado di procurarsi tutti gli elementi di fatto necessari ad effettuare la valutazione di specie.
La sentenza in esame, pertanto, riconoscendo all’art. 157 TFUE, in tutte le sue parti, una diretta efficacia, amplia ulteriormente l’ambito di applicazione della norma. In particolare, le lavoratrici della Tesco Stores, con sede in Inghilterra, sostenevano che il lavoro dalle stesse svolto fosse di pari valore, nonché confrontabile, a quello dei lavoratori di sesso maschile di sedi diverse, risultando, quindi, applicabili condizioni di lavoro comuni e, conseguentemente, un diritto ad un uguale trattamento retributivo.
L’art. 157 TFUE, infatti, prevede che «1. Ciascuno Stato membro assicura l’applicazione del principio della parità di retribuzione tra lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore. 2. Per retribuzione si intende, a norma del presente articolo, il salario o trattamento normale di base o minimo e tutti gli altri vantaggi pagati direttamente o indirettamente, in contanti o in natura, dal datore di lavoro al lavoratore in ragione dell’impiego di quest’ultimo. La parità di retribuzione, senza discriminazione fondata sul sesso, implica: (…) b) che la retribuzione corrisposta per un lavoro pagato a tempo sia uguale per uno stesso posto di lavoro. (…)».
La parità di retribuzione, intesa come trattamento economico di base e relativa a tutti i vantaggi ulteriori percepiti, impone un divieto di discriminazione in base al sesso, per l’attività svolta, con pari lavoro e tempo, in favore di uno stesso datore di lavoro. Tale attuale definizione è stata ampliata dall’art. 2, co. 1°, lett. e) della Direttiva n. 2006/54/CE che ha ricompreso nel concetto di retribuzione «ogni erogazione, in denaro o in natura, attuale o futura, corrisposta direttamente o indirettamente dal datore di lavoro in ragione dell’impiego del lavoratore o della lavoratrice» (Lazzeroni L., Parità di trattamento e divario retributivo (di genere) in RGL n. 2 pt. 1, 2019). Depone nello stesso senso prospettato quanto previsto nell’ordinamento inglese all’art. 79 dell’Equality Act 2010, il quale disciplina, al paragrafo 4, la comparabilità in materia di trattamento retributivo: «[…] Se A è assunto come dipendente, B è un soggetto con cui può essere effettuato un raffronto qualora si applichino i paragrafi 3 o 4. […] a) B è assunto dal datore di lavoro di A o da un soggetto collegato al datore di lavoro di A, b) B lavora in una sede diversa da quella in cui lavora A, e c) nelle sedi si applicano condizioni di lavoro comuni (in generale o tra A e B)».
Ciò posto, le ricorrenti hanno citato in giudizio la Tesco Stores, davanti al Watford Employment Tribunal, sostenendo la violazione, da parte della società, sia della legge inglese del 2010, sia dell’art. 157 TFUE.
La società contestava da un lato l’applicabilità, al caso di specie, dell’art. 79 par. 4 dell’Equality Act, sostenendo la mancanza di condizioni di lavoro comuni, dall’altro la diretta efficacia dell’art. 157 TFUE nel caso di azioni fondate su un lavoro di pari valore, nonché la sua qualificazione come unica fonte. Il giudice di rinvio, rilevando un’incertezza in merito all’applicabilità diretta dell’art. 157 TFUE, ha sollevato la questione pregiudiziale davanti alla CGUE chiedendo a quest’ultima di accertare se, nel caso di specie, al fine di definire il concetto di lavoro di pari valore, fossero o meno necessarie disposizioni di attuazione più precise.
Occorre, quindi, analizzare la formulazione dell’art. 157 TFUE al fine di capire se l’applicazione diretta del principio di parità di retribuzione tra lavoratori di sesso diverso sia limitata ad ipotesi in cui il lavoro è il medesimo ovvero la normativa abbia carattere imperativo anche con riferimento al lavoro di pari valore.
La Corte, nella ricostruzione della disciplina operata nel caso di specie, non sembra evidenziare alcuna differenza nell’applicazione del principio della parità di trattamento tra le ipotesi in cui si tratti di stesso lavoro o di lavoro di pari valore, sorgendo in capo agli Stati membri, in entrambi i casi, «in modo chiaro e preciso, un obbligo di risultato». Pertanto, stante il riconoscimento di una diretta efficacia della disposizione, i singoli appaiono titolari di un diritto che i giudici nazionali sono chiamati a tutelare.
Nello specifico, per stesso lavoro si intende una prestazione lavorativa svolta presso la stessa azienda da lavoratori adibiti alle medesime mansioni; si configura, invece, un lavoro di pari valore nel caso di prestazioni analoghe. Secondo i giudici, pertanto, sia il concetto di “medesime mansioni” svolte che di “lavoro di pari valore”, ha, quindi, «carattere puramente qualitativo», rilevando solo la natura delle prestazioni in concreto svolte dai lavoratori. È, perciò, devoluta al giudice nazionale la valutazione in ordine all’integrazione di detto requisito, a fronte dell’accertamento delle mansioni effettivamente svolte dai prestatori. Eventuali distinzioni, in merito alla diretta efficacia dell’art. 157 TFUE, tra le due ipotesi, comprometterebbero il raggiungimento dell’obbiettivo perseguito dalla norma.
Ulteriore questione, è rappresentata dalla possibilità o meno di ricondurre ad un’unica fonte rapporti di lavoro in cui i lavoratori svolgano la propria attività presso stabilimenti diversi. Tale punto pare preliminare alla comparabilità o meno del trattamento retributivo tra i lavoratori di sesso diverso e all’eventuale configurarsi di una discriminazione nel caso in cui vi sia una differenza non obiettivamente giustificata.
La Corte ha ritenuto come ricompresa nell’ambito di applicazione dell’art. 157 TFUE l’ipotesi in cui i lavoratori svolgano la propria attività in favore di uno stesso datore, qualificabile, quindi, come unica fonte dei rapporti di lavoro, ancorché presso stabilimenti diversi. Non rileva, quindi, che la prestazione lavorativa venga svolta in negozi, centri o stabilimenti diversi, in quanto è sufficiente che il datore di lavoro sia il medesimo, potendo quest’ultimo liberamente disporre di più sedi nell’organizzazione della propria attività rimanendo però quale unico titolare. La Tesco Stores, pertanto, quale solo datore dei rapporti lavorativi in esame, risulta considerabile quale unica fonte e, perciò, potenzialmente responsabile di eventuali discriminazioni.
L’art. 157 TFUE deve, quindi, essere interpretato, secondo la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, come direttamente applicabile ai rapporti intercorrenti tra i privati anche nelle ipotesi in cui l’attività lavorativa svolta non sia la medesima ma sia considerabile di pari valore. Un privato, pertanto, potrà legittimamente far valere, davanti ad un giudice nazionale l’inosservanza del principio di parità di retribuzione tra lavoratori di sesso diverso, anche nel caso in cui si tratti di lavoro di pari valore svolto presso stabilimenti diversi. Sarà il giudice stesso a stabilire se tali attività possano o meno essere comparabili, alla luce della loro concreta attuazione.
Una diversa lettura della disciplina, come sottolineato dalla Corte stessa, comprometterebbe l’effettività del principio enunciato dalla norma, rischiando di vanificare l’obiettivo da questa perseguito e lasciando privi di tutela diretta tutti quei rapporti in cui l’attività, pur non formalmente identica, sia in concreto analoga.