Le sfide alla libertà di espressione online.
Recensione a M. Bassini, Internet e libertà di espressione. Prospettive costituzionali e sovranazionali, Aracne editrice, Roma, 2019
1.La libertà di espressione sulla rete Internet è uno dei temi dominanti nel dibattito odierno come dimostrano le molteplici prese di posizione intorno all’esclusione dell’account di Donald Trump da Twitter, nonché l’assoluta rilevanza del recente pacchetto di riforme dello spazio digitale previsto dalla Commissione europea (Digitale Services Act e Digital Markets Act).
È chiara, pertanto, l’ampiezza dell’oggetto del volume di Marco Bassini, che sceglie di analizzare una libertà da sempre ritenuta il fondamento della convivenza sociale e democratica, rispetto, per di più, ad un mezzo del tutto peculiare e pervasivo come Internet.
L’Autore riesce nondimeno a fornire al lettore le coordinate principali sulle numerose questioni aperte dalla rete rispetto alla tutela della libertà di espressione, con il dichiarato intento di ricostruire lo stato dell’arte, per ricavarne indicazioni in vista di futuri interventi regolatori e giurisprudenziali (p. 17).
Va dato conto del fatto che non sono mancati, in questi ultimi anni, monografie e volumi collettanei volti ad indagare il tema dei diritti online, con un’inevitabile attenzione alla libertà di espressione. Il volume di Marco Bassini si colloca all’interno di tale produzione scientifica, con un approccio peculiare, che ricostruisce la libertà di espressione su Internet secondo una prospettiva al tempo stesso diacronica e sincronica, rispetto all’ordinamento statunitense e a quello europeo.
Come richiesto da uno studio incentrato su uno strumento che ha nella natura globale il suo carattere distintivo, e negli Stati Uniti il luogo d’origine e di stabilimento dei principali attori che in esso vi operano, la trattazione segue uno schema che guarda al di qua e al di là dell’Atlantico, con un confronto costante tra i due ordinamenti, al fine di rimarcare le loro differenze e verificarne le conseguenze sulla tutela dei diritti online. Tale approccio, che permea l’intero volume, oltre a trovare una specifica e autonoma trattazione in un capitolo (Capitolo III), non esclude in ogni caso la disamina dell’ordinamento interno, a cui è dedicato il capitolo successivo (Capitolo IV).
Tale scelta ha insito il rischio, paventato dallo stesso Autore in apertura, di una «implicita asimmetria metodologica» (p. 18), espressamente voluta, alla luce della difficoltà di equiparare i due contesti ordinamentali. Tale comparazione, però, è resa necessaria, come si diceva, dall’oggetto di studio, il quale non consente di limitare l’analisi ad un ambito territoriale statale determinato.
2.Al tema della sovranità statale è, in ogni caso, dedicato ampio spazio nel lavoro, dal momento che la rete Internet rischia di mettere in discussione la capacità degli Stati di esercitare il proprio potere anche nello spazio digitale. Tale assunto è, tuttavia, smentito sin dall’inizio dall’Autore, il quale sottolinea come gli Stati non abbiano in realtà subito l’evoluzione tecnologica, ma hanno nei fatti dimostrato di governarla (p. 30).
Il tale ottica, il tema risulta, semmai, verificare come la tecnologia abbia impattato sulle categorie giuridiche tradizionali (p. 33), e in questo senso si pone l’ulteriore scopo dichiarato dello studio, ovvero creare un collegamento tra dette categorie, nate nel contesto analogico, e le modifiche introdotte dal contesto digitale.
Strettamente connessa al concetto di sovranità è la questione della regolazione della rete. La posizione dell’Autore è chiara: «è il diritto che deve guidare la tecnologia» e non viceversa (p. 414). Tale assunto è stato suffragato dalle scelte compiute dall’ordinamento, caratterizzate, almeno per un primo lungo periodo, da un rilevante intervento della giurisprudenza, a cui si sono affiancati, in tempi più recenti, interventi del legislatore.
Relativamente alla regolazione della rete, è da segnalare la puntuale ricostruzione sull’ampio dibattito dottrinale aperto in materia (Capitolo I). In particolare, da un lato, si dà conto delle posizioni libertarie, che hanno accompagnato soprattutto la prima fase dello sviluppo di Internet, e che vanno dall’idea della rete come spazio per sua natura anarchico alla tesi di un’autoregolazione da parte degli utenti del web. Dall’altro lato, si dà spazio a coloro che salutano con favore un intervento del diritto nel contesto online, pur nella divergenza di vedute, tra chi auspica uno statuto ad hoc per il web, chi parla di una lex specialis o di una Costituzione per Internet o, ancora, chi ravvisa l’opportunità di un Internet Bill of rights di natura globale.
Rispetto a tale dibattito, lo studio si prefigge di verificare se e come le costituzioni possano fornire adeguata tutela anche ai diritti digitali e, più nello specifico, il tentativo va nel senso di esaminare lo statuto della libertà di espressione su Internet. Tale verifica viene operata, oltre che attraverso un’analitica ricostruzione degli interventi legislativi e giurisprudenziali negli Stati Uniti e in Europa, anche rispetto all’ordinamento interno e conduce alla conclusione che l’art. 21 della nostra Carta costituzionale «resiste, nonostante il tempo» (p. 314).
3.In tale contesto, entra in gioco il ruolo delle piattaforme digitali, soggetti privati che si inseriscono all’interno del tradizionale rapporto tra Stato e cittadini (p. 73), dato il ruolo primario svolto nella governance dei contenuti che circolano in rete (p. 108) e, per il suo tramite, nell’effettiva tutela accordata ai diritti degli utenti. In quest’ottica, per citare l’Autore, rispetto alla libertà di espressione si estrinsecherebbe un rapporto «trilatero» (p. 173).
La centralità che tali nuovi attori rivestono sulla rete Internet spiega la scelta di dedicare agli stessi uno specifico capitolo (Capitolo II).
Sul punto, sono almeno due le questioni che meritano di essere evidenziate.
La prima riguarda la dicotomia pubblico-privato che, oltre a connaturare i rapporti che si esplicano nello spazio digitale, investe anche la natura stessa delle piattaforme. Rispetto al tema dei rapporti, sulla rete si assisterebbe a una sovrapposizione ‒ sottolinea l’Autore ‒ tra uno spazio privato, in cui operano le piattaforme in un rapporto orizzontale con gli utenti regolato da norme di natura contrattuale, e uno spazio pubblico, dal momento che il web rappresenta anche un luogo di godimento dei diritti dell’individuo, primo fra tutti la libertà di manifestazione del pensiero (p. 109). La dicotomia investe inoltre la natura delle piattaforme, questione divenuta centrale nell’attuale dibattito, soprattutto in seguito al ruolo rivestito dai proprietari delle stesse nella gestione dei contenuti e degli spazi virtuali. Al riguardo, si prospetta l’idea che si tratti, ormai, di «strumenti di cittadinanza», di «essential facilities democratiche» o di «public forum», da cui deriverebbero tutta una serie di obblighi rispetto al loro funzionamento. È chiaro come tali conclusioni destano più che qualche dubbio a fronte dell’innegabile natura privata di tali soggetti, che sottoscrivono con gli utenti un contratto di diritto privato, sulla base del quale regolano le attività svolte nello spazio messo a disposizione. Al tempo stesso, non può disconoscersi l’incidenza di tali soggetti privati anche nella sfera pubblica. Sul punto, l’Autore allude ad una «duplice natura» delle piattaforme (p. 173), certamente private nel momento in cui perseguono finalità economiche di massimizzazione del profitto, e al tempo stesso chiamate a svolgere funzioni pubbliche, giacché impattano sulla libertà di espressione degli utenti. Tale suggestione imporrebbe, però, una più puntale riflessione circa la possibile estensione di categorie pubblicistiche a soggetti privati, specie se questi ultimi sono le potenti multinazionali del web.
La seconda questione rilevante rispetto al ruolo delle piattaforme digitali concerne la disciplina della responsabilità in capo ai loro proprietari, la quale – come evidenziato più volte da Bassini – ha rappresentato per lungo tempo l’unica e concreta forma di tutela che l’ordinamento ha riconosciuto rispetto ai diritti dell’individuo sulla rete.
Va dato conto, sul versante europeo, dell’obsolescenza del quadro di riferimento, a fronte di una disciplina sulla responsabilità dei provider risalente ormai al 2000, e che stabiliva, di fronte a prestatori di servizi ben lontani dalla loro attuale fisionomia, una generale esenzione di responsabilità e un divieto, per gli Stati membri, di prevedere un obbligo di sorveglianza da parte delle piattaforme sui contenuti inseriti, così come di ricercare attivamente fatti idonei ad indicare la presenza di attività illecite. Rispetto a tale quadro, rimasto fino ad oggi invariato, sono intervenute sia le trasformazioni della realtà digitale, con un sempre maggiore ruolo attivo svolto dalle piattaforme, quanto le scelte compiute dalla giurisprudenza e dal legislatore, che hanno finito per demandare ai provider sempre più controllo e discrezionalità sui contenuti. Tali circostanze hanno in parte condotto, utilizzando le parole di Bassini, a «derive di iper-responsabilizzazione» (p. 306) e alla connessa «privatizzazione nell’enforcement dei diritti» (p. 341), rispetto alle quali l’Autore ritiene indispensabile riconoscere un certo ruolo all’intervento pubblico, al fine di evitare una «regressione» nella tutela delle libertà (p. 424).
4.La parte finale dello studio è dedicata ad un tema assai vasto e complesso, che deriva dalla necessità di contemperare la libertà di espressione con altri diritti. Si tratta dell’ampia questione dei limiti alla libertà di manifestazione del pensiero, che derivano dalla necessità di tutelare beni che potrebbero entrare in conflitto con tale libertà (capitolo V).
L’ambito di analisi scelto è limitato a quei diritti che sono per loro natura confliggenti con la libertà di espressione e che hanno conosciuto, a fronte della pervasività e della diffusività del mezzo Internet, una moltiplicazione di occasioni di conflitto. Vengono, in particolare, selezionati due casi di studio: il diritto alla privacy e il diritto d’autore.
Tale scelta conduce ad evidenziare una caratteristica propria dell’ordinamento europeo, in cui l’attenzione prestata alla protezione di altri diritti sulla rete, primi fra tutti la privacy e il connesso diritto all’oblio, hanno finito per porre spesso in secondo piano la tutela della libertà di espressione, risultata recessiva all’esito dell’attività di contemperamento con altri diritti.
L’analisi dei casi conduce così nuovamente a riflettere sulle principali questioni emerse nel corso della trattazione.
Vale la pena richiamare il fatto che l’azione di bilanciamento tra libertà di manifestazione del pensiero e altri diritti è sempre più rimessa, nella realtà digitale, ai prestatori di servizi. Primo esempio emblematico dell’atteggiamento assunto in proposito dal giudice europeo è rappresentato dall’ormai noto caso Google Spain del 2014. Tale sentenza, nel riconoscere un diritto dell’utente di richiedere al motore di ricerca la deindicizzazione dei risultati a partire dal proprio nome, rappresenta, però, solo l’inizio di un percorso intrapreso negli ultimi anni dal Giudice di Lussemburgo e volto a riconoscere, a dispetto dell’attuale regime di responsabilità, sempre maggiore potere alle piattaforme del web, nel bilanciamento tra interessi e diritti costituzionalmente tutelati. È evidente il rischio ‒ sottolineato dall’Autore ‒ di creare un sistema di «censura privata» (p. 342) e di condurre, per tale via, ad una indiscriminata limitazione della libertà di espressione.
È chiaro, a questo punto, come la questione centrale da affrontare sia quella della natura e dell’attività svolta dai provider. Di questo sembra aver preso consapevolezza la Commissione europea, che ha posto le basi per una nuova fase di regolamentazione delle piattaforme digitali. La strada è ora tracciata verso un tentativo di porre al centro l’hard law rispetto al ruolo primario finora svolto dalla giurisprudenza e dall’autoregolamentazione, al fine di garantire, anzitutto, una più ampia trasparenza da parte dei principali attori della rete. Si registra così lo sforzo di una maggiore certezza del diritto, attraverso una procedimentalizzazione dell’attività delle piattaforme, rispetto a un quadro caratterizzato fino ad oggi da una forte frammentazione.
Il libro di Marco Bassini è quindi denso di interrogativi. Nel delineare un quadro nitido dell’attuale tutela accordata all’individuo nello spazio digitale e delle scelte fino ad ora compiute in Europa e negli Stati Uniti, apre la porta alle molteplici sfide poste dalla rete Internet e consente ai lettori di riflettere su ampiezza e limiti della nostra libertà di espressione nel presente e soprattutto nel futuro.