“Le origini sono un inizio che spiega”
NYSRPA v. Bruen e il porto d’armi come diritto costituzionale tradizionale

Con la sentenza sul caso NYSRPA v. Bruen (597 U.S. __ 2022) la Corte Suprema degli Stati Uniti ha statuito che il diritto a detenere e portare armi da fuoco per autodifesa (codificato dal II Emendamento e garantito dal XIV Emendamento della Costituzione americana) può essere esercitato in ogni luogo, anche al di fuori della propria abitazione. Viola quindi tale diritto il requisito di una giusta causa (proper-cause) imposto dalla legislazione dello stato di New York a probi e onesti cittadini (law-abiding citizens) che vogliano ottenere una licenza totale (unrestricted license) di portar con sé un’arma da fuoco (concealed firearm).
In questo senso si è espressa una maggioranza di sei giudici contro tre, allargando il solco tracciato in questa materia dalle sentenze emesse nei casi Heller (2008) e McDonald (2010): se con Heller si è detto che il II Emendamento protegge il diritto individuale a possedere un’arma da fuoco, non legato al servizio in una militia, e di usarla per scopi tradizionalmente legittimi quali l’autodifesa domestica (e con McDonald si è precisato che tale diritto è garantito non solo a livello federale ma anche nei confronti delle autorità statali), ora si aggiunge che tale protezione va accordata anche alla conduzione di armi da fuoco al di fuori della propria abitazione.
La collocazione politico-culturale dei membri della Corte appare preliminare a una comprensione degli argomenti usati a sostegno della decisione. L’estensore dell’opinione di maggioranza è Clarence Thomas, il decano della Corte Suprema, nominato da Bush senior nel ‘91, tra i più radicali esponenti alla dottrina originalista. Hanno aderito alla sua opinion tutti e cinque i giudici nominati da amministrazioni a guida GOP, a loro volta in maggioranza di formazione originalista. Poi, attraverso separate concurring opinions, il giudice Kavanaugh ha cercato di descrivere due confini di questa pronuncia, la giudice Barrett ha evidenziato alcuni nodi metodologici rimasti irrisolti e il giudice Alito ha inteso rispondere alla dissenting opinion depositata dal giudice Breyer. Al dissenso di Breyer hanno quindi aderito le giudici Sotomayor e Kagan: tutti e tre i dissenzienti nominati da amministrazioni a guida Democrats. La polarizzazione ideologica è dunque manifesta.
Il repertorio argomentativo del conservatore originalista ruota attorno a una dichiarazione di purezza teorico-generale (separazione dei poteri e rigidità del testo storico), condensata nell’unica tecnica interpretativa possibile della Costituzione, il testualismo (che, applicato a un sistema di valori graficamente espressi in un documento sempre più lontano nel tempo, diventa testualismo storicistico). Le varianti su questo tema sono numerose (è nota, ad esempio, la differenza di posizione tra Thomas e un altro campione dell’originalismo, Scalia), ma l’approdo pratico delle pronunce non muta significativamente, così come ripetuta è la motivazione alla base della dottrina: assicurare un’idea di neutralità/non-politicità del judicial branch.
È appena il caso di rilevare che, nella pronuncia in commento, i canoni della dottrina originalista vengono necessariamente piegati alle esigenze poste dalla risoluzione della controversia in esame (allargare, anziché restringere o rimuovere, la garanzia costituzionale di un diritto).
E infatti il testo costituzionale, di solito inizio e fine di ogni ragionamento originalista, qui viene soltanto evocato. Non si trova traccia, ad esempio, di disamine come quella sulla parola “militia” contenuta nel II Emendamento, su cui tanto si era invece concentrata la Corte nel caso Heller.
Invero l’opinione della maggioranza in Bruen si presenta come mera rettifica dell’andamento preso dalla giurisprudenza federale successiva a Heller e McDonald, la quale aveva elaborato un doppio grado di scrutinio nel sindacato sulle limitazioni al II Emendamento: un primo basato sulla coerenza di tali restrizioni con testo costituzionale e storia, un secondo basato sul rapporto tra mezzi e fini. Per il giudice Thomas il constitutional standard da applicare quando si verte di limitazioni al diritto di portare armi da fuoco è solo uno: il primo. A dirlo, secondo Thomas, sarebbe proprio l’opinion di maggioranza nel caso Heller (errando invece la giurisprudenza successiva, che avrebbe aggiunto un criterio di proporzionalità): quella offerta nel caso Bruen vuol dunque essere una sorta di restaurazione del significato originario di quel precedente. Un originalismo, quindi, applicato alla giurisprudenza (più che al testo) costituzionale. Il che può già suggerire un confronto tra questa argomentazione e la storica resistenza degli originalisti a ritenere applicabile il principio dello stare decisis e quindi a vincolarsi ai precedenti giurisprudenziali (per un approfondimento v. qui).
Espunto così un giudizio di proporzionalità sulla materia, il giudice Thomas articola meglio la consistenza dell’unico standard applicabile alla materia.
In primo luogo, l’analisi storica che propone la Corte poggia su due metri di giudizio: bisogna analizzare a) se le attuali regolazioni del diritto all’autodifesa armata e quelle storicamente affermatesi nel tempo pongono a tale diritto una stessa tipologia di limitazione (a comparable burden), e quindi b) se la regolazione in esame è comparabilmente giustificata (comparably justified).
In secondo luogo, qualunque sia la consistenza di questo tipo di ricerca, il giudice Thomas precisa che la storia da prendere in considerazione non pesa tutta allo stesso modo (not all history is created equal), 4) né qualitativamente né quantitativamente. Dal primo punto di vista, ad esempio, la storia del common law inglese è ritenuta quantomeno ambigua (31 ss.), e in generale una historical evidence troppo precedente o troppo successiva all’adozione del testo costituzionale non sarebbe adatta a illuminarne il significato. Da un punto di vista quantitativo, invece, secondo la Corte non basterebbero appena tre casi di legislazione restrittiva risalenti al periodo coloniale (37 ss.) per argomentare l’esistenza di una tradizionale limitazione del diritto all’autodifesa armata.
Inoltre, viene sottilmente aggiornato anche il repertorio dell’argomentazione originalista: accanto alla (in questo caso, in assenza di) analisi sull’original meaning del testo costituzionale, la Corte propone anche uno studio della tradition, intesa come continuità di prassi su una certa materia: the regulation [must be] consistent with the Nation’s historical tradition of firearm regulation (8).  Secondo la maggioranza della Corte uno scrutinio di costituzionalità basato su questo tipo di analisi è più legittimo e più administrable rispetto a giudizi empirici su costi e benefici delle restrizioni al possesso di armi da fuoco (16). Non che l’analisi storica sia sempre facile per storici non professionisti come i giudici federali: il giudice Thomas ammette che si dànno casi difficili (18 ss.), ma anche casi fairly straightforward, come quello presente.
Alla fine, secondo la maggioranza della Corte, l’amministrazione dello stato di New York non riesce a fornire un’evidenza storica a sostegno della sua regolazione sufficiente a superare la confutazione di un’indagine che in circa 30 pagine (sulle 60 che compongono l’opinione di maggioranza) il giudice Thomas distende su oltre 600 anni di storia inglese e americana: indagine dalla quale non può emergere una normativa tradizionalmente comparabile con (che quindi possa storicamente giustificare) quella adottata dallo stato di New York. Il giudice Breyer impiegherà la stessa proporzione della sua opinione dissenziente (25 su una cinquantina di pagine) per ripercorrere lo stesso spettro di tempo e raggiungere una conclusione opposta a quella della maggioranza.
Questa pronuncia e le sue argomentazioni possono apparire di non immediata pregnanza per l’osservatore europeo, che a buon diritto potrebbe ricomprendere il caso Bruen tra le vicende di cronaca che connotano la cultura politica dell’America contemporanea.
Il ragionamento originalista, qui variato da un argomento tradizionalista (su cui v. Balkin), pone tuttavia degli interrogativi non nuovi alla cultura giuridica eurocontinentale, e al contempo non lontani da quelli che l’interprete di questo costituzionalismo potrebbe porsi davanti alla maturazione di una distanza storica dai patti costituzionali.
Dal primo punto di vista, è risalente il dibattitto sulle capacità del giudice, il quale secondo Croce non può permettersi di fare lo storico, secondo Calamandrei non può permettersi di fare il politico, ma come detto da Calogero non può essere più ritenuto mera bocca del legislatore (si v. la ricostruzione di Ridola, qui commentata). Ma, sul secondo punto di vista, se è vero che il confronto fra il ruolo dello storico e quello del giudice costituisce un locus classicus del dibattito sul mestiere dello storico (v. per es. Ginzburg), è anche vero che esso è stato spesso appiattito su quella che è ritenuta la maggiore delle differenze che connotano il giudizio storico e il giudizio giudiziario, per cui il primo sarebbe volto a indagare azioni collettive, il secondo ad accertare responsabilità individuali (v. Garapon).
Il ragionamento originalista provoca a chiedersi se questi steccati restino validi anche quando il giudizio verta sull’interpretazione costituzionale, dove vengono piuttosto in rilievo comportamenti o azioni di istituzioni ed entità, e dove soprattutto un testo è al tempo stesso parametro di giudizio e fatto storico.
Nell’ideale originalista, l’approdo di questo ragionamento – chiaramente consegnato a questa pronuncia – diventerebbe la trasformazione del giudice costituzionale, ormai espressione di una professionalità generale, in custode della storia (più che della costituzione) e la sostituzione al judicial review di una sorta di historical review of legislation.
Tuttavia, se si pensa alla forza motrice dell’originalismo (la neutralità politica della funzione giudiziaria, la non-legittimazione democratica dei giudici, la difficoltà contro-maggioritaria della Corte, etc.), è di tutta evidenza che l’uso della storia proposto da questa dottrina diventa un rudimentale espediente argomentativo che sottintende una chiara politicità nell’interpretazione costituzionale non diversa da quella espressa da altre dottrine del postmoderno; fino a portare anche la dottrina più conservatrice a definire fraudolenta la pretesa dell’originalismo di evitare posizioni morali nell’interpretazione costituzionale.
In ogni caso, volendo conferire una dignità tecnica a questo modo di risolvere controversie costituzionali, rimarrebbe ancora del tutto irrisolto da parte dell’originalista il dilemma sulla terzietà di questa indagine storica. E infatti, muovendo dalla posizione  che tanto lo storico quanto il giudice vorrebbero occupare nello spazio pubblico (aspirando l’uno a verità, l’altro  a giustizia), Ricœur ha ricordato che tale posizione, legata a un voto di imparzialità, deve far capo a una filosofia critica della storia: solo così l’ambizione di verità e di giustizia può diventare oggetto di una “vigilanza di frontiera”, al cui interno la legittimità di tale ambizione può dirsi totale.
Della cosciente elaborazione di una filosofia della storia non si trova traccia nel movimento originalista, pur non essendo mancati nella cultura giuridica statunitense interrogativi sul tema. Mentre non sembra destinato ad essere accolto il monito del giudice Breyer (che con questo Term conclude il suo mandato alla Corte Suprema) secondo cui gli storici si impegnano in metodi di ricerca e approcci interpretativi non compatibili con la risoluzione delle moderne questioni giuridiche, politiche o economiche.
Non sorprende dunque che dal magazine dell’American Historical Association le indagini in cui si è esercitata la Corte Suprema siano state ritenute “astoriche” e “dilettantistiche”, del tutto inconciliabili con la ricerca storica vera e propria.
Il tema della terzietà e dell’esplicitazione di una frontiera da cui poter vigilare la law office history della Corte Suprema rimane così ancora lontano dall’orizzonte di impegno degli originalisti.
Dopotutto, come temeva Bloch, “nel vocabolario corrente, le origini sono un inizio che spiega. Peggio ancora: che è sufficiente a spiegare”.