Le elezioni nei Paesi Baschi e in Catalogna del 2024. Non solo questioni regionali, anzi…

Le elezioni nelle Comunidades Autónomas (CC.AA.) dei Paesi Baschi e della Catalogna hanno sempre suscitato un notevole interesse, in ragione di profili che le distinguono da tutti gli altri territori all’interno della Spagna: tra questi, la presenza di un confronto politico fondato su specificità linguistico-culturali e competenziali proprie (in quanto considerate nacionalidades históricas) e la forte preminenza di partiti di ambito regionale, di impronta nazionalista e/o indipendentista.
A questi elementi, le elezioni regionali del 2024 aggiungono la questione dell’intreccio tra i risultati a livello autonómico ed il mantenimento della stabilità del Governo spagnolo. In questo senso, è necessario prendere le mosse dallo scenario parlamentare esistente presso le Cortes Generales (sul quale D. Camoni, in Diritti Comparati-Blog, 18 ottobre 2023), per arrivare alla composizione dei Parlamenti di Paesi Baschi e Catalogna e comprendere in che modo l’elezione dei rispettivi Presidenti del Governo – in particolare, quello catalano – si lega a doppio filo alle vicende spagnole: la lente interpretativa delle problematiche sottese non è quindi solo locale, influenzando ed essendo influenzata da quanto accade a livello nazionale.
A seguito delle elezioni del 23 luglio 2023, Pedro Sánchez (Segretario Generale del PSOE) è stato (ri)eletto Presidente del Gobierno dal Congreso de los Diputados con 179 voti a favore e 171 contrari (16 novembre 2023): tra i voti favorevoli – e numericamente decisivi – spiccano quelli dei partiti baschi di EH Bildu e Partido Nacionalista Vasco-PNV (6 e 5 seggi) e quelli catalani di Junts per Catalunya-JxCat e Esquerra Republicana de Catalunya-ERC (7 seggi a testa). I numeri rivelano quindi che la variegata base parlamentare sulla quale si regge il Governo Sánchez dipende dai partiti nazionalisti e/o indipendentisti, come dimostrato dalla approvazione (30 maggio 2024) della legge di amnistia per gli indipendentisti catalani in cambio del loro voto favorevole (D. Camoni, in Diritti Comparati-Blog, 23 aprile 2024; per un’interpretazione differente, A. Mastromarino, in Diritti Comparati-Blog, 11 dicembre 2023): è sufficiente che uno solo di essi fuoriesca dalla coalizione o voti in senso contrario affinché la maggioranza venga meno.
Non è la prima volta che un Governo spagnolo si regge sui voti determinanti di partiti nazionalisti e/o indipendentisti. All’indomani delle elezioni del 1993, Felipe González (PSOE) fu rieletto Presidente per la quarta (e ultima) volta grazie all’appoggio determinante del PNV e di Convergència i Unió (CiU), partito catalano di matrice economico-liberale e nazionalista guidato da Jordi Pujol (Presidente del Governo catalano nel 1980-2003). Lo stesso accadde a José María Aznar (primo Presidente del Gobierno conservatore e leader del Partido Popular-PP) nel 1996, quando al sostegno di CiU (grazie al cosiddetto Pacto del Majestic) e del PNV si aggiunse quello dei nazionalisti di Coalición Canaria; in quest’ultimo caso, l’accordo catalano è molto interessante, poiché in base ad esso il PP avrebbe “restituito” il sostegno a CiU nel 1999, quando i nazionalisti catalani vinsero le elezioni regionali ma senza la maggioranza assoluta.
Occorre anche precisare che una certa connessione tra diverse tipologie di elezioni si era già verificata nel 2023: in particolare, a fronte del risultato delle elezioni regionali e locali del 28 maggio – che avevano visto il PP vincere in 10 CC.AA. su 14 e nelle principali città – il giorno seguente il Presidente del Gobierno Sánchez chiedeva al Sovrano lo scioglimento delle Cortes Generales e la celebrazione di elezioni nazionali anticipate per il 23 luglio (A.I. Dueñas Castrillo, in Diritti Comparati-Blog, 7 giugno 2023).
Ciononostante, il contesto attuale è caratterizzato da un’ulteriore novità – soprattutto in Catalogna – in forza della quale il rapporto tra le dimensioni regionale e nazionale è biunivoco, poiché la costituzione dei Governi regionali dipende da accordi paralleli a livello nazionale e, a loro volta, le dinamiche “autonomiche” molto probabilmente avranno ricadute sulla continuità o meno del Governo Sánchez.
In relazione alle elezioni di Paesi Baschi e Catalogna, si impongono alcune precisazioni sulle peculiarità dei sistemi elettorali. Nel caso basco, la legge regionale 5/1990 (art. 10) prevede che le tre circoscrizioni in cui è divisa la Comunidad Autónoma – corrispondenti alle province di Alava, Guipúzcoa e Vizcaya – assegnino ciascuna lo stesso numero di deputati (25), con formula proporzionale e listini bloccati. Ne deriva una distribuzione dei seggi sproporzionata rispetto alla popolazione poiché, ad esempio, la provincia di Alava (334.000 abitanti ca.) elegge un numero di deputati pari a quello di Vizcaya, la quale conta più del triplo degli abitanti (1.154.000 ca.).
Per quanto riguarda la Catalogna, essa è l’unica Comunidad Autónoma a non avere una legge elettorale propria: in questo senso, le elezioni sono regolate sulla base del combinato disposto della Disposición Transitoria Quarta dello Statuto (derogato) del 1979 – mantenuta in vita dallo Statuto del 2006 – e della Ley Orgánica del Régimen Electoral General (LOREG) per le elezioni europee, nazionali e comunali. In particolare, la prima disposizione prevede che il Parlamento catalano è composto da 135 deputati, distribuiti tra le circoscrizioni provinciali di Barcellona (85), Tarragona (18), Gerona (17) e Lérida (15) e assegnati con metodo proporzionale. Ciononostante, l’ancoraggio della distribuzione dei seggi alla situazione demografica del 1979 determina una sotto-rappresentazione della provincia di Barcellona e una sovra-rappresentazione di quelle restanti: in questo senso, Barcellona – la cui popolazione è aumentata, da allora, di quasi 1,5 milioni – assegna il 63% dei seggi nonostante rappresenti il 73% ca. della popolazione catalana e, al contrario, Lérida l’11% dei seggi nonostante esprima solo il 5,7% della popolazione. Tuttavia, qualsiasi riforma in proposito è destinata a scontrarsi con l’ampia maggioranza parlamentare richiesta (due terzi dei componenti dell’Assemblea, oltre alla necessità dell’approvazione di una legge organica presso le Cortes Generales e ad un referendum regionale: art. 222.b Statuto) e con l’opposizione dei partiti nazionalisti, storicamente favoriti da questa distribuzione dei seggi.
Venendo ora ai risultati elettorali, le elezioni basche del 21 aprile 2024 mostrano un Parlamento a sei partiti: PNV e EH Bildu (27 deputati a testa), PSOE (12), PP (7), Sumar e Vox (1 deputato a testa). A titolo di primo inquadramento, si segnalano la mancata ricandidatura del Presidente uscente Iñigo Urkullu (in carica dal 2012) – dettata da una dichiarata esigenza di rinnovamento interno del PNV, non essendo previsto un limite di mandati nella legislazione regionale – la perdita di quattro seggi da parte del PNV e l’incremento di sei deputati in favore di EH Bildu.
Ai sensi dell’art. 5 della Ley 7/1981, de 30 de junio, sobre Ley de Gobierno, è previsto che ciascun gruppo parlamentare possa presentare in Assemblea il proprio candidato all’investitura: sarà eletto Lehendakari (Presidente del Governo basco) colui che ottenga la maggioranza assoluta in prima votazione o quella semplice nelle votazioni successive.
L’elezione del nuovo Lehendakari non ha suscitato particolari incertezze: mantendendo ferma la coalizione tra PNV e PSOE (in corso dalle elezioni basche del 2016) e rinnovando tale alleanza, il 20 giugno 2024 Imanol Pradales – candidato Presidente del PNV – è stato eletto con 39 voti favorevoli, consolidando l’accordo già raggiunto tra gli stessi partiti per l’elezione del Presidente del Parlamento basco.
Più complesso è lo scenario catalano scaturito dalle elezioni del 12 maggio 2024. In primo luogo, occorre evidenziare che, mentre le elezioni basche sono state celebrate di fatto nei tempi ordinari stabiliti dalla legge (per esaurimento della Legislatura), quelle catalane sono state indette con un anno di anticipo – da parte di un Governo di minoranza guidato da ERC sempre più in difficoltà – a causa della mancata approvazione della legge di bilancio (13 marzo 2024).
Il nuovo Parlamento si compone di otto partiti: Partido de los Socialistas de Cataluña-PSC (42 deputati), JxCat (35), ERC (20), PP (15), Vox (11), Sumar (6), CUP (4) e Aliança Catalana (2). Rispetto alle precedenti elezioni del 2021 (M. Cecili, in Diritti Comparati-Blog, 4 marzo 2021), i dati politici più rilevanti sono il venir meno di una maggioranza parlamentare indipendentista – da 74 a 61 seggi – e la significativa perdita di consensi da parte di ERC, passata da 33 a 20 seggi (e dalla prima alla terza posizione), nonché l’incremento di seggi (9) del PSC (miglior risultato dal 2003).
La fine della maggioranza parlamentare indipendentista ha quindi aperto nuovi scenari circa la formazione del Governo. Sul tavolo sembrano confrontarsi due soluzioni: da un lato, la possibilità di un “tripartito” di forze politiche di centro-sinistra – PSC, ERC e Sumar (68 seggi, coincidenti con la maggioranza assoluta) – guidato dal PSC e, dall’altro, la configurazione di accordi più “creativi” per un appoggio (o comunque, una non-ostruzione) di JxCat ad un governo di minoranza del PSC o forse addirittura viceversa.
L’elezione, il 10 giugno 2024, di Josep Rull (JxCat) come Presidente del Parlamento (con i voti di JxCat, ERC e CUP) ha fatto sì che siano gli indipendentisti di JxCat – per mezzo di Carles Puigdemont, già artefice dell’accordo per l’investitura di Sánchez come Presidente del Gobierno – a dettare tempi e modi dell’investitura del Presidente dell’Esecutivo regionale. Il 26 giugno Rull, preso atto che non vi erano candidati in quel momento disponibili a sottoporsi al procedimento di investitura, ha comunque convocato l’Asssemblea. L’obiettivo – sulla base della dottrina del c.d. atto equivalente (elaborata dal Consejo de Estado con Parere 1985/2003, §3, in relazione allo Statuto della Comunidad di Madrid e applicata in Catalogna per la prima volta nel 2020) era quello di mettere in funzionamento il cronometro di due mesi a partire dalla prima votazione ed entro i quali il nuovo Presidente deve essere eletto, pena la ripetizione delle elezioni nella prima metà di ottobre (art. 67.3 Statuto). È quindi ragionevole pensare che, fino al 26 agosto, i partiti negozieranno strategicamente tra loro, cercando anche di capire fino a che punto l’eventuale ripetizione elettorale in Catalogna potrebbe essere o meno favorevole agli uni o agli altri.
Nel frattempo, il 28 giugno 2024 il PSC ha raggiunto un accordo con i partiti indipendentisti per una riforma del Regolamento del Parlamento catalano (da approvare nel mese di luglio), la quale permetterà di estendere la possibilità di ricorrere al voto delegato e telematico in favore degli indipendentisti che, fuggiti dalla giustizia spagnola ma eletti in tale Assemblea, si trovano all’estero (Puigdemont su tutti). È significativo, inoltre, che ciò avvenga in assenza di un Governo in carica con pieni poteri.
Infine, anche le modalità applicative della legge di amnistia potrebbero avere ricadute sulla formazione del Governo catalano e dei rapporti tra gli indipendentisti e il Governo spagnolo. Con due ordinanze del 1° luglio 2024, infatti, il Giudice istruttore del Tribunal Supremo (TS) Pablo Llarena – in relazione a Puigdemont e agli indipendentisti contumaci, in attesa di giudizio per il referendum del 2017 – e la Sala Segunda dello stesso TS – rispetto a quelli già condannati per lo stesso referendum – hanno escluso che l’amnistia fosse applicabile alle specifiche modalità di appropriazione indebita (malversación) imputate ai soggetti menzionati. In particolare, si è ritenuto che tali comportamenti siano pienamente riconducibili alle eccezioni previste dalla stessa legge circa la sua applicazione, secondo cui non sono coperte da amnistia le condotte di arricchimento che abbiano determinato un beneficio personale di natura patrimoniale (art. 1.4) e, in generale, quelle che incidano sugli interessi finanziari dell’Unione europea (art. 2.e). Entrambi i giudici si sono riservati altresì di sollevare questione di incostituzionalità in relazione all’amnistia del delitto di disobbedienza. In conclusione, alla maggiore stabilità del Governo basco e linearità nella sua formazione – frutto di un più astuto pragmatismo – si contrappongono le incertezze e tensioni di quello catalano, in due scenari che, tuttavia, presentano un importante punto di contatto: la necessità di trattare le questioni regionali in esame (anche) come questioni che rilevano a livello nazionale e si intrecciano con la continuità del Governo di tutti gli spagnoli.