Le elezioni di midterm nel complesso mosaico federale degli Stati Uniti
Elezioni di midterm quale strumento di controllo popolare dell’operato presidenziale
Martedì 8 novembre 2022 gli elettori statunitensi sono stati chiamati alle urne per il rinnovo dell’intera Camera dei Rappresentanti e di un terzo del Senato federale (35 Senatori). Lo stesso giorno sono stati eletti, oltre ad altre numerose cariche politiche e giudiziarie di livello locale, i Governatori in 36 Stati federati, nel Distretto di Columbia (DC) e in 3 Territori, nonché i membri dei Parlamenti locali in 46 Stati, nel DC e in 4 Territori.
Ancorché general elections, locuzione con la quale in ambito statunitense si indica qualsivoglia elezione a una carica federale o locale – in contrapposizione alle elezioni primarie e ai caucus, che riguardano invece le elezioni per le nomine dei candidati di partito – le elezioni di martedì sono generalmente definite elezioni di midterm, intervenendo a metà del mandato presidenziale. I risultati di questa tornata elettorale si riflettono infatti inevitabilmente sull’amministrazione federale determinando nuovi equilibri a livello congressuale e costituendo per il Presidente, seppur indirettamente, un duro banco di prova per il suo operato dinanzi agli elettori. Si tenga conto che da quando entrambe le Camere del Congresso sono divenute elettive, alle midterm il partito del Presidente ha perduto in media 26 seggi tra Camera e Senato e in molte occasioni ci si è ritrovati anche in una situazione di divided government.
L’esito dei risultati premia i democratici
I risultati delle midterm del 2022 sembrano aver graziato l’amministrazione di Joe Biden, contro le aspettative di Trump, rilanciatosi nella corsa presidenziale nonostante la débâcle di molti suoi candidati. Il Partito democratico, pur perdendo la maggioranza alla Camera, ha infatti mantenuto quella al Senato, riconfermandosi (in attesa del risultato relativo al seggio senatoriale in Georgia) in tutti gli Stati in cui difendeva un proprio seggio, incluso il Vermont, dove l’uscente Patrick Leahy (D), dopo otto mandati consecutivi, non si è ricandidato.
I democratici sono riusciti inoltre a conquistare un seggio in Pennsylvania, dove John Fetterman (D) è riuscito a battere Mehmet Oz (R), candidatosi dopo l’uscita di scena di Pat Toomey (R). Con la vittoria di Fetterman, i democratici detengono ora entrambi i seggi senatoriali della Pennsylvania. Dopo le midterm, solo sei Stati federati vedono una coesistenza tra Senatori di differente colore politico (si tratta di Maine, Montana, Ohio, Vermont, West Virginia e Wisconsin, anche se in Vermont un seggio senatoriale è detenuto dall’indipendente Sanders, che vota comunque con i democratici).
Si attende peraltro ancora, come accennato, l’assegnazione del seggio della Georgia, poiché nessuno dei due candidati principali, l’uscente Raphael Warnock (D) e Herschel Walker (R), ha raggiunto la maggioranza assoluta dei voti l’8 novembre. Il seggio sarà assegnato in un ballottaggio che si terrà il 6 dicembre, così come stabilito dalla legge elettorale della Georgia.
Con la vittoria di Warnock, i democratici otterrebbero un vantaggio di 51-49 sui repubblicani, grazie anche all’apporto di due indipendenti, godendo così di una maggioranza che permetterebbe all’amministrazione Biden di avere campo libero soprattutto nelle nomine delle alte cariche federali. L’eventuale vittoria di Walker, invece, riconfermerebbe la parità 50-50, che implicherebbe ancora per i democratici il ricorso al voto della Presidente Harris per avere una maggioranza.
Gli Stati federati comandano il gioco elettorale, anche a livello federale
L’esito del voto nei singoli Stati mette bene in risalto l’influenza dei sistemi elettorali locali sui destini delle istituzioni federali. Nel sistema statunitense non esiste infatti una vera e propria legge federale per l’elezione delle cariche federali. A livello costituzionale vi sono comunque delle norme generali che permettono di armonizzare il processo elettorale. Il dettato costituzionale stabilisce ad esempio i requisiti minimi per essere eletto Senatore e Rappresentante e dispone l’incompatibilità delle cariche congressuali con quella di qualunque altra carica pubblica. Una legge federale del 1845 e il codice elettorale statunitense fissano un Election Day valido per tutti gli Stati federati, disponendo così che le elezioni federali, sia presidenziali che congressuali, si tengano il martedì dopo il primo lunedì di novembre di ogni anno pari, le prime ogni quattro anni, le seconde con ritmo biennale.
La sez. 4 dell’art. 1 Cost. USA dispone che tempi, luoghi e modalità per le elezioni di Senatori e Rappresentanti siano stabiliti da ciascun Legislativo locale anche se il Congresso può disporre o modificare la relativa disciplina (salvo che per la sede dell’elezione dei Senatori). Tale disposizione rimette di fatto la quasi totalità del procedimento elettorale in mano agli Stati federati.
Le leggi elettorali statali disciplinano anzitutto le elezioni primarie e i caucus di partito e stabiliscono i criteri per il rinvio delle elezioni in caso di emergenza. Le clausole di emergenza sono state applicate in occasione delle primarie presidenziali del 2020 a causa della pandemia di Covid-19. Molti Stati hanno esteso il sistema di mail-in voting in sostituzione del metodo del voto al seggio (in-person voting), mentre in alcuni casi, nell’ambito delle primarie repubblicane, si è proceduto direttamente con la cancellazione del voto. Attualmente non vi è alcuna legge che consenta al Presidente o al Congresso o ad altre cariche di livello federale di interferire con le leggi elettorali statali in caso di emergenza e l’ipotesi, pur prospettata da Trump, di rinviare le elezioni presidenziali del 2020 a causa della pandemia di Covid-19 si è rivelata del tutto impraticabile, proprio a causa della supremazia degli Stati in materia di rinvii.
Le leggi elettorali degli Stati stabiliscono poi le modalità di nomina o di elezione di coloro che dovranno ricoprire la carica di Senatore o Rappresentante del Congresso in caso di seggio vacante (generalmente si procede con la nomina da parte del Governatore dello Stato e con una successiva conferma da parte del Legislativo locale). Ulteriori aspetti disciplinati dalle leggi elettorali riguardano anche i finanziamenti per i candidati alle elezioni locali, in alcuni casi non prevedendo alcun limite (es. Alabama, Iowa) e in altri casi determinando i tetti o i divieti a seconda dei soggetti donatori (singoli individui, PAC, partiti di livello statale, società, sindacati).
I Legislativi statali disciplinano anche il sistema elettorale da applicare sia alle primarie che alle general elections. Generalmente è utilizzato il metodo maggioritario di tipo plurality, ma in alcuni casi, come ad esempio in Georgia (come visto) e Louisiana, si applica il metodo majority e se nessuno dei candidati ottiene la maggioranza assoluta dei voti si ricorre al ballottaggio. Altri Stati adottano il ballottaggio solo in occasione delle primarie.
Vi sono poi sistemi più complessi, come quello adottato dall’Alaska a partire dalle primarie di agosto 2022 ed utilizzato anche nelle ultime midterm. Si tratta di un sistema di votazione del tipo top-four primary e ranked-choice voting (RCV), già adottato e in parte applicato in altri 16 Stati, sebbene nella maggior parte dei casi per elezioni di carattere locale. Le primarie in Alaska si svolgono senza distinzioni di partito in una unica competizione che vede passare solo i primi quattro candidati più votati. È possibile, dunque, che alle elezioni generali siano ammessi quattro candidati anche di un solo partito. Alle elezioni generali si procede poi con un voto del tipo single transferable che permette al singolo elettore di elencare in ordine di preferenza i candidati ammessi al voto. Vince infine chi ha ottenuto la maggioranza dei voti, che si calcola facendo confluire verso i candidati maggiori i voti di preferenza secondo l’ordine riportato nelle schede.
Al 19 novembre, le elezioni di midterm per il seggio senatoriale in Alaska, che si sono tenute regolarmente, risultano ancora “uncalled”, termine con il quale si indica il fatto che non è stato ancora declamato un vincitore da parte delle autorità incaricate dello spoglio, vuoi perché le operazioni si sono dilungate, vuoi perché il numero di schede scrutinate non permette di fare proiezioni sicure per “chiamare” il vincitore. Tuttavia, i due maggiori contendenti del seggio dell’Alaska sono repubblicani e il risultato sembra pertanto essere scontato a favore del partito dell’elefantino.
Il futuro del sistema elettorale USA tra poteri statali e Corti
La Costituzione USA prevede, come visto, che sia il Legislativo dello Stato federato a disciplinare la materia elettorale. Sul punto, vi è una dottrina, quella della independent state legislature theory (ISL), che ritiene che il costituente escluda qualsiasi altra autorità statale dall’intervenire in materia elettorale, cosicché le sentenze delle Corti statali non potrebbero mai rovesciare le decisioni prese dal Legislativo, anche laddove contrarie alla Costituzione dello Stato federato. Alcuni Stati hanno fatto ricorso alla dottrina ISL per difendere le disposizioni normative con le quali si è tentato di ridisegnare le circoscrizioni elettorali per favorire, non troppo velatamente, la propria parte politica (Sul punto si vedano gli interventi di Silvia Filippi su questo blog: I casi di partisan gerrymandering non sono giustiziabili. La Corte Suprema USA invoca la political question doctrine in Rucho v. Common Cause e La Corte Suprema USA “congela” le voting maps di Ohio e Michigan in attesa di pronunciarsi su quelle di Maryland e North Carolina). La Corte Suprema in Arizona State Legislature v. Arizona Independent Commission del 2015 si è espressa negativamente riguardo tale teoria, ritenendo che il costituente si riferisca all’organo democratico rappresentativo dello Stato (“the Legislature thereof”) e non necessariamente all’autorità parlamentare. Con esso può indicarsi anche un organo diverso dal Parlamento che sia ritenuto dal popolo di quello Stato come rappresentativo della volontà popolare. Il costituente in altre parole si sarebbe posto solo la questione di mettere gli Stati federati al riparo dall’ingerenza dei poteri federali, lasciando agli stessi la libertà di decidere come organizzare il proprio sistema politico. I sostenitori della ISL theory ritengono invece che la Costituzione parli proprio di Legislativo statale inteso come “Parlamento” e che la differenza linguistica sarebbe marcata dal XVII Emendamento, che dispone l’elettività del Senato riferendosi a “by the people thereof”, distinguendosi dunque in maniera netta “Legislature” da “people”.
Per il 2023 è comunque attesa una sentenza per il caso Moore v. Harper, relativo al North Carolina, sempre in materia di gerrymandering. Il caso, rimesso a una Corte Suprema con una maggioranza ben più conservatrice di quella del 2015, potrebbe dare spazio alla ISL theory e i justice Alito, Gorsuch e Thomas hanno già anticipato di voler abbracciare tale dottrina. È abbastanza chiaro che lasciare ai Parlamenti statali un potere assoluto in materia elettorale che vada anche al di là delle Costituzioni degli Stati, rappresenta un rischio non indifferente per la stessa democrazia statunitense e che una sentenza che abbracciasse appieno la ISL theory avrebbe conseguenze catastrofiche già alle presidenziali del 2024.