L’Alta Corte di Madrid nega la legittimità alle “misure anti Covid”: è necessario l’intervento del parlamento
L’8 ottobre scorso, attraverso la sent. 128/2020, l’Ottava sezione della Camera contenzioso amministrativo, del Tribunal Superior de Justicia de Madrid (TSJM), si è pronunciata circa la ratifica dell’ordinanza del 1° ottobre n. 1283/2020 del Ministero della Sanità. La vicenda giudiziaria prende le mosse a seguito del ricorso presentato dall’Avvocato della Comunità di Madrid n.1224/2020, avente ad oggetto l’attuazione dell’ordinanza ministeriale recante disposizioni circa le misure preventive applicabili in taluni comuni della Comunità di Madrid (in dieci comuni Alcalá de Henares, Alcobendas, Alcorcón, Fuenlabrada, Getafe, Leganés, Madrid, Móstoles, Parla e Torrejón de Ardoz) e in esecuzione della precedente ordinanza del 30 settembre 2020, in materia di pubblica sanità. La pronuncia nega, dunque, attraverso una serie di argomentazioni, l’accettazione delle misure introdotte attraverso le ordinanze de Ministero della Sanità, ritenendo che queste siano lesive dei diritti fondamentali. Invero, le argomentazioni addotte dal TSJM paiono inconfutabili, poiché si precisa, dapprima, che ci troviamo di fronte ad un quadro normativo sostanzialmente diverso da quello analizzato in precedenza. Il riferimento, evidentemente, è, alle aree igienico-sanitarie individuate dalle oridnanze del Ministero della Sanità del 24 settembre e del 1° ottobre, alle quali venivano applicate peculiari misure. Nel caso che interessa alla trattazione, la situazione cambia poiché, come riconosciuto dallo stesso Avvocato della Comunità di Madrid, ciò che viene in rilievo, in questa occasione è l’accettazione del mandato, concesso al Ministero della Sanità, in virtù del quale questo può emanare delle ordinanze atte a far fronte alle peculiari situazioni di rischio derivanti dalla diffusione incontrollata di infezioni causate da SARS- COV- 2, senza controllo alcuno da parte dell’organo legislativo.
Nella visione dei magistrati, dunque, l’ordinanza ministeriale del 30 settembre 2020, emanata ai sensi dell’art. 65 della Legge 16/2003, riguardante la coesione e la qualità del Sistema Sanitario nazionale, pare essere lesiva delle libertà e dei diritti fondamentali, atteso che, seppure le misure previste nell’ordinanza fossero realmente necessarie ed idonee a garantire la diffusione della pandemia, sarebbe, in ogni caso errata la veste del provvedimento, poiché diverrebbe necessaria una Ley orgánica ovvero una legge ordinaria per comprimere diritti e libertà fondamentali ed è necessario, altresì, che tali norme contengano, in maniera puntuale, termini ed ipotesi, circa la loro attuazione, poiché in grado di incidere su diritti costituzionalmente garantiti. Ciò che maggiormente viene enfatizzato nella pronuncia è che, pur essendo previste basi giuridiche solide per l’emanazione di una legge del suddetto tenore, riferendosi in particolare agli artt. 15 e 43 della Costituzione spagnola (CE), per il diritto alla integrità fisica e diritto alla salute non si predilige l’approvazione di una legge, ma ci si limita alla approvazione di atti dell’Esecutivo. Questi ultimi, nella visione del TSJM, non hanno il potere di limitare diritti e libertà, non avendo una autorizzazione legale, negata, peraltro, dall’art. 65 della summenzionata legge 16/2003.
In altre parole, la veste dell’ordinanza ministeriale, inquadrabile come atto dell’esecutivo, non può incidere su diritti e libertà, poiché di ciò è fatto espressamente divieto da parte di una legge di rango superiore (L.n. 16/2003). Di conseguenza, le misure di contenimento adottate dall’Esecutivo guidato da Pedro Sánchez costituiscono “una ingerenza dei pubblici poteri nei diritti fondamentali dei cittadini” in assenza di una normativa adottata dai loro rappresentanti all’interno del Parlamento e, per tale ragione, risultano inapplicabili. Ciò che il Tribunale sostiene con forza è che i diritti costituzionalmente garantiti non possono essere ‘normati’ da un atto che non abbia rango legislativo, poiché si configurerebbe come una interferenza dell’Esecutivo non autorizzata dal Legislativo stesso.
Malgrado la situazione emergenziale e il continuo innalzarsi della curva dei contagi, il Tribunale richiama l’Esecutivo, ricordando a questo che l’architettura costituzionale spagnola prevede ben altri strumenti giuridici capaci di far fronte all’emergenza, ma maggiormente rispettosi delle garanzie costituzionali. Il lockdown parziale, quindi, avrebbe dovuto basarsi su misure maggiormente garantiste, ma, in particolare, avrebbe dovuto coinvolgere il Parlamento, poiché bypassarlo attraverso atti immediatamente esecutivi, peraltro diversi dai decreti-legge, previsti dall’ordinamento spagnolo, significa sacrificare diritti e libertà, in nome del contenimento della pandemia, della salute pubblica, ma in assenza di garanzie per il cittadino.
È bene sottolineare che, invero, lo scenario delineato dal TSJM potrebbe aprirsi anche ben oltre i confini spagnoli, e, dunque, nelle parole di altre corti nazionali, poiché gli interventi contenitivi della pandemia sovente sono di provenienza dell’Esecutivo, proprio perché necessari in tempi brevi, tuttavia pare impraticabile confutare le tesi finora analizzate, poiché il richiamo a tenere saldo il principio della separazione dei poteri e la tutela del nucleo essenziale dei diritti fondamentali, devono restare saldi anche quando si fa fronte ad una situazione emergenziale.
Il Governo Sánchez ha dichiarato che analizzerà la sentenza e deciderà il da farsi, tuttavia è appena il caso di ricordare che pare impossibile arginare le determinazioni assunte attraverso tale pronuncia, essendo il Tribunale responsabile, in ultima analisi, della interpretazione della giurisprudenza, oltre che a detenere il potere di giudizio di appello per la revoca o l’azione penale nei confronti dei pubblici poteri. In effetti, proprio sulla base di tale pronuncia, il 25 ottobre l’Esecutivo ha dichiarato lo stato di emergenza ex art. 116 CE, raccogliendo i suggerimenti del TSJM, poiché in virtù dell’attuazione di tale previsione, il potere Legislativo rientra all’interno del procedimento decisionale, giacché la deliberazione del Consiglio dei Ministri deve essere autorizzata dal Parlamento, che vigilerà sul modus operandi dell’Esecutivo, riferendo al Congresso dei Deputati riunito immediatamente a tale scopo, senza la cui autorizzazione detto periodo non potrà essere prorogato. Il decreto determinerà l’ambito territoriale cui si riferiscono gli effetti della dichiarazione.
Come è noto, la Costituzione spagnola distingue tre diversi stati emergenziali: lo stato di allarme, lo stato di eccezione e lo stato di assedio, con differente proporzionalità e graduazione dell’intensità delle misure adottabili, con conseguente possibilità di restrizione dei diritti fondamentali degli individui. Il comma 2 dell’art. 116 della Costituzione spagnola prevede la dichiarazione del estado de alarma, il quale può essere emanato dal Governo mediante decreto deliberato dal Consejo de Ministros, per un termine massimo di quindici giorni.
Invero, ad integrazione del secondo comma dell’art. 116 CE, vi è la legge organica n. 4/1981, che detta le condizioni per la dichiarazione dello stato di allarme, che potremmo paragonare alle condizioni di necessità ed urgenza poste alla base della emanazione dei Decreti-legge nel nostro ordinamento. La ley orgánica n. 4/81, annovera le crisi a carattere sanitario, come le epidemie e le situazioni di contagio grave, specificando, peraltro che il Governo (o l’autorità da esso delegata) può adottare misure solamente limitative e non sospensive dei diritti fondamentali.
Nel decreto deve essere espressamente determinato l’ambito territoriale su cui si produrranno gli effetti della dichiarazione e di ciò deve essere immediatamente informato il Parlamento, riunito proprio a tal fine e senza la cui autorizzazione non è dato procedere a una proroga di tale periodo emergenziale. È evidente, dunque, che attraverso tale strumento viene garantito un controllo politico da parte del Parlamento non soltanto sul persistere delle misure che hanno dato origine al decreto governativo, ma, altresì, sull’operato del Governo stesso.
L’Esecutivo, dunque, pur essendo l’unico organo dotato del potere di dichiarare lo stato di allarme e nel fissarne la termini e meccanismi di attuazione, non può, tuttavia, prescindere dall’autorizzazione e dal controllo delle Camere, soprattutto qualora volesse estendere la durata legalmente prevista. In altre parole, allorquando il Governo esprima la volontà di prorogare il termine di quindici giorni di cui all’articolo 116, comma 2, CE, deve necessariamente richiedere l’autorizzazione del Parlamento, prima della scadenza del termine. Si aprirà, dunque un dibattito, al termine del quale il Legislativo comunicherà la propria decisione all’Esecutivo.
Lo scenario che si delinea, dunque, vedrà il Governo determinare semplicemente i criteri minimi, che le varie Comunità Autonome potranno inasprire, non assumendo, dunque, il controllo generale della risposta sanitaria. In particolare, è prevista l’entrata in vigore di un coprifuoco, c.d. “restrizione del movimento notturno” tra le ore 23 e le 6, che le Comunidades autónomas potranno eventualmente rimodulare, ma non potevano adottare di propria iniziativa, giacché fuori dalle loro competenze, ad eccezione delle Isole Canarie, la cui situazione epidemiologica è tutt’altro che grave, per cui il coprifuoco non viene considerato necessario. In conclusione, l’atto di decretazione dello stato emergenza portato in Parlamento per l’approvazione, conterrebbe la clausola secondo cui il Governo si riserverebbe il diritto di revocarlo qualora le condizioni epidemiologiche lo permettessero.