La sentenza Zambrano della CGUE: Una ‘rivoluzione copernicana’?
La sentenza Zambrano (C-34/09 Gerardo Ruiz Zambrano c. Office National de l’Emploi), rappresenta una vera e propria svolta nella giurisprudenza della CGUE relativamente alla materia della cittadinanza dell’Unione europea. Tradizionalmente, infatti, questioni del genere sono state trattate dai giudici di Lussemburgo come intimamente connesse ai principi di libera circolazione delle persone tra gli Stati membri (ed in particolare all’esercizio del diritto alla libera circolazione nel territorio degli Stati membri da parte del cittadino dell’Unione). In breve, la prospettiva adottata era quella di una progressiva integrazione su scala transnazionale, volta all’avvicinamento delle posizioni dei nazionali e dei cittadini di altri Stati dell’UE nei paesi ospitanti. Ciò che emerge dalla lettura della sentenza Zambrano, invece, è un ribaltamento completo della prospettiva, seppure in parte anticipato da casi come C‑200/02, Zhu e Chen (Racc. pag. I‑9925) e Rottmann (sentenza 2 marzo 2010, causa C‑135/08, non ancora pubblicata). La CGUE, infatti, abbandona la tradizionale prospettiva transnazionale e sceglie un approccio decisamente “europeo”.
Gerardo Ruiz Zambrano è un signore di nazionalità colombiana, che decide di lasciare il suo paese per andare a vivere in Belgio insieme alla moglie. Le istanze dei coniugi volte al riconoscimento del diritto di asilo in Belgio sono state respinte dalle autorità competenti, seppure l’ordine di abbandonare il territorio fosse seguito da una clausola di non rimpatrio in Colombia, stante la situazione di perdurante guerra civile nel paese latinoamericano. Nonostante questi dinieghi, i due coniugi hanno comunque provveduto ad ufficializzare la loro condizione di residenti nel comune di Schaerbeck e il sig. Zambrano ha cominciato a lavorare stabilmente, con un contratto a tempo indeterminato.
Durante la permanenza in Belgio, la coppia ha dato vita a due bambini, Diego e Jessica. Poiché questi ultimi sono nati in territorio belga e i due genitori non hanno intrapreso alcuna iniziativa perché fosse loro riconosciuta la cittadinanza colombiana, i due bambini sono da considerarsi cittadini belgi e dell’UE.
Il signor Zambrano ha presentato domanda di permesso di soggiorno, ma questa gli è stata respinta. Nel marzo 2006 ha presentato ricorso avverso questa decisione. In conseguenza di ciò, in pendenza di detto ricorso, il sig. Zambrano ha beneficiato di un titolo speciale di soggiorno. Anche il ricorso è stato respinto, e tale decisione è stata oggetto di impugnazione dinanzi al Tribunal du travail di Bruxelles.
Le questioni pregiudiziali sollevate dal giudice a quo e analizzate congiuntamente dalla CGUE sono volte a chiarire i limiti di applicabilità delle disposizioni del Trattato FUE sulla cittadinanza dell’Unione. In particolare, i giudici di Lussemburgo sono stati chiamati a stabilire se esse attribuiscano ad un cittadino di uno Stato terzo, che abbia in carico figli in tenera età e cittadini di uno Stato membro (e, quindi, dell’Unione), un diritto di soggiorno nello Stato di cui questi ultimi siano cittadini ed un’esenzione dal permesso di lavoro.
Come è stato anticipato nell’introduzione al presente post, tradizionalmente la Corte di Lussemburgo ha collegato i diritti dei cittadini dell’Unione all’esercizio della loro libertà di circolazione all’interno. Si può affermare che la decisione in esame, invece, compia una sorta di rivoluzione copernicana, slegando il diritto di cittadinanza dell’Unione dalla libera circolazione fra Stati membri. In sostanza, con Zambrano, la Corte inizia a trattare la cittadinanza dell’Unione come diritto ex se.
La Corte chiarisce come la Direttiva 2004/38 (sul diritto di circolare e soggiornare liberamente nei territori degli Stati membri) non trovi applicazione nel caso di specie, riguardando i cittadini dell’Unione che si rechino o soggiornino in Stati membri diversi da quello di cittadinanza e i loro familiari.
Viceversa, la CGUE ridisegna i confini dell’art 20 TFUE e l’ampiezza dei diritti connessi allo status di cittadino dell’Unione. Per essere cittadini dell’UE, bisogna essere cittadini di uno degli Stati membri, e questi ultimi sono competenti nella fissazione dei requisiti per l’acquisto della cittadinanza. In quanto cittadini belgi, i figli del sig. Zambrano sono indiscutibilmente cittadini dell’Unione.
Essendo la cittadinanza dell’Unione lo status fondamentale dei cittadini degli Stati membri (Cfr. Sentenza 20 Settembre 2001, causa C-184/99, Grzelczyck, p. 31: “lo status di cittadino dell’Unione è destinato ad essere lo status fondamentale dei cittadini degli Stati membri che consente a chi tra di essi si trovi nella medesima situazione di ottenere, indipendentemente dalla nazionalità (…), il medesimo trattamento giuridico”), l’art. 20 TFUE deve essere letto nel senso che impedisca restrizioni al godimento pieno ed effettivo dei diritti connessi a tale status.
Secondo la Corte, dunque, un diniego del diritto di soggiorno al genitore cittadino di un paese terzo, che abbia in carico due minori cittadini di uno Stato dell’Unione, rappresenta un’eccessiva compressione dei diritti di questi ultimi connessi alla cittadinanza dell’Unione e un ostacolo al pieno ed effettivo godimento degli stessi. In aggiunta, al soggetto cittadino dello Stato terzo non deve essere nemmeno negato il permesso di lavoro, perché rischierebbe, altrimenti, di non disporre dei mezzi necessari per far fronte alle esigenze e ai bisogni primari del nucleo familiare.
La Corte di Giustizia ha emesso una decisione che può essere definita, senza esagerazioni, rivoluzionaria. Sono palesi, infatti, le conseguenze che un precedente del genere può creare sulla disciplina della cittadinanza dell’Unione. Una su tutte consiste nell’abbandono di una visione ‘transnazionale’ o plurinazionale dell’idea di cittadinanza dell’Unione, per una unitaria ed “europea”.
Se in passato, infatti, la cittadinanza dell’Unione era stata vista come lo strumento per promuovere il godimento dei diritti connessi allo status di cittadini di uno Stato membro, oggi assurge a elemento centrale per la protezione di un nucleo fondamentale di diritti. Fra questi rientra, e non può essere altrimenti, il diritto dei minori a non essere allontanati dai loro genitori o, comunque, a non essere costretti ad abbandonare il territorio dell’Unione per seguire i propri genitori sans papiers.
I diritti connessi alla cittadinanza dell’Unione vengono, dunque, sganciati dal concreto esercizio alla libera circolazione finendo per fungere da pilastro portante per la protezione dei diritti fondamentali riconosciuti dalla Carta di Nizza e dalla CEDU. In questo senso, si può concordare con Azoulai (http://eudo-citizenship.eu/citizenship-news/457-a-comment-on-the-ruiz-zambrano-judgment-a-genuine-european-integration) quando scrive: “If taken seriously, the combination of citizenship and fundamental rights would have far-reaching effect in the broadening of the scope of application of EU law”.
Ė difficile immaginare i riflessi che questa sentenza produrrà nelle politiche di immigrazione dell’UE. Emerge però con chiarezza un dettaglio che non può essere sottovalutato: si tratta di un cambio di paradigma da parte della CGUE, in base al quale la cittadinanza dell’Unione si trasforma da mezzo a fine. Sarà interessante capire fino a che punto la Corte sarà disposta ad allargare l’ambito di applicazione delle disposizioni sulla cittadinanza dell’UE.