La sentenza della Prima Sezione della Corte europea dei diritti umani del 23 novembre 2023 nel caso Wałęsa c. Polonia

Il 23 novembre 2023, la Prima Sezione della Corte europea dei diritti umani si è pronunciata nel caso Wałęsa c. Polonia (ricorso n. 50849/21). Si tratta della decima sentenza della Corte EDU – che segue le pronunce nei casi Xero Flor w Polsce sp. zoo. c. Polonia del 7 maggio 2021, Broda e Bojara c. Polonia del 29 giugno 2021, Reczkowicz c. Polonia del 22 luglio 2021, Dolińska-Ficek e Ozimek c. Polonia dell’8 novembre 2021, Advance Pharma sp. zoo. c. Polonia del 3 febbraio 2022, Grzęda c. Polonia del 15 marzo 2022, Żurek c. Polonia del 16 giugno 2022, Juszczyszyn c. Polonia del 6 ottobre 2022, Tuleya c. Polonia del 6 luglio 2023, Pająk et al. c. Polonia del 24 ottobre 2023 – sulle riforme degli organi del potere giudiziario introdotte in Polonia a partire dal 2017, nella quale viene stabilita una violazione dell’art. 6, c. 1 CEDU sul diritto ad un equo processo davanti a un tribunale indipendente e imparziale, precostituito per legge.
Nella sentenza nel caso Wałęsa c. Polonia – che rappresenta, ad oggi, una delle pronunce più incisive della Corte EDU – viene evidenziata la natura sistematica delle criticità nel funzionamento degli organi del potere giudiziario e la sostanziale assenza di progressi nella soluzione della crisi dello Stato di diritto in Polonia [Leloup, 2023]. La Corte, di conseguenza, ha optato per la procedura della sentenza pilota, ai sensi dell’art. 46 CEDU e dell’art. 61 del Regolamento della Corte.
Si ricorda che la procedura della sentenza pilota è stata introdotta in via giurisprudenziale (con la sentenza nel caso Broniowski c. Polonia del 22 giugno 2004) su invito del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, nel contesto dell’approvazione del Protocollo 14, per due ragioni principali. Innanzitutto, per assicurare l’effettività dell’attività della Corte a seguito dell’allargamento a est del Consiglio d’Europa degli anni Novanta. In secondo luogo, per fornire assistenza agli Stati membri nell’identificare e dare soluzione a problemi di natura sistemica [Buyse, 2009; Fyrnys, 2011; Zagrebelsky, 2015]. La procedura della sentenza pilota è stata poi ulteriormente definita nel 2011 con la nuova formulazione del Regolamento della Corte e con le sentenze nei casi Hutten-Czapska c. Polonia del 19 giugno 2006 e Burmych et al. c. Ucraina del 12 ottobre 2017.
La Corte può decidere di applicare tale procedura «quando i fatti all’origine di un ricorso presentato dinanzi ad essa rivelano l’esistenza (…) di un problema strutturale o sistemico, o di un’altra disfunzione simile, che ha dato luogo o potrebbe dare luogo alla presentazione di altri ricorsi analoghi» (art. 61, c. 1 Regolamento della Corte). Nella sentenza pilota la Corte deve dunque indicare la natura del problema strutturale o sistemico o della disfunzione da essa constatata e il tipo di misure riparatorie che la Parte contraente deve adottare a livello interno per darvi soluzione. Inoltre, la Corte può fissare un termine per l’adozione di tali misure (art. 61, commi 3 e 4).
Per comprendere l’oggetto del ricorso è necessario poi ricordare l’ampia riforma del sistema giudiziario polacco introdotta nel 2017, con l’approvazione del c.d. “pacchetto giustizia” – ovvero della legge «Che emenda la legge sul sistema delle corti comuni e altre leggi» del 12 luglio 2017, della legge «Che emenda la legge sul Consiglio nazionale della Magistratura e altre leggi» e della legge «Sulla Corte suprema», entrambe dell’8 dicembre 2017 – che ha portato all’assoggettamento degli organi della magistratura al potere esecutivo [Angeli, 2021].
La legge sulla Corte suprema dell’8 dicembre 2017 ha istituito due nuove camere della Corte suprema, ossia la Camera disciplinare (poi sostituita dalla Camera della responsabilità professionale) e la Camera di controllo straordinario e degli affari pubblici – che si sono aggiunte alle tre esistenti, ovvero la Camera civile, la Camera penale e la Camera del lavoro e della previdenza sociale (art. 3) – ed ha attribuito alle due nuove camere importanti competenze. In particolare, alla Camera di controllo straordinario è stata attribuita la competenza di giudicare i c.d. “ricorsi straordinari” (art. 26), ovvero una nuova procedura di controllo «delle decisioni definitive dei tribunali per assicurare il rispetto dei principi dello Stato democratico di diritto e della giustizia sociale» (art. 1), che può essere avviata, oltre che su richiesta del Primo Presidente della Corte suprema, anche dal Procuratore generale, che in Polonia si ricorda essere anche il Ministro della Giustizia, dal Difensore civico e da altri soggetti (art. 83, commi 1 e 2).
Nella sentenza del 23 novembre 2023, la Corte EDU si è pronunciata proprio sulla conformità alla Convenzione della procedura di ricorso straordinario davanti alla Camera di controllo straordinario e degli affari pubblici della Corte suprema.
I fatti all’origine del ricorso alla Corte EDU si ricollegano ad un periodo travagliato della storia polacca, ovvero quello della transizione da una forma di Stato socialista, a regime comunista, ad un sistema liberal-democratico [Di Gregorio, 2012; Di Gregorio, 2019]. In un contesto di grande incertezza e di profonda frammentazione politica, le diverse forze politiche mossero accuse reciproche di collaborazione con il precedente regime, alle volte utilizzate come strumento per screditare l’avversario. Il Presidente Wałęsa è stato per lungo tempo oggetto di questo tipo di accuse.
Il 9 giugno 2005, in un programma televisivo trasmesso sull’emittente privata TVN24, Krzysztof Wyszkowski – ex amico e collaboratore di Wałęsa, successivamente divenuto membro del partito Diritto e Giustizia, o PiS – accusò l’ex Presidente di avere collaborato con i servizi di sicurezza del regime comunista e di conseguenza sostenne che l’Istituto per la Memoria Nazionale non avrebbe dovuto riconoscere a Wałęsa lo status di vittima del regime (cosa che invece avvenne pochi mesi più tardi).
Per tutta risposta, nel novembre 2005, Wałęsa fece causa a Wyszkowski per diffamazione. La lunga battaglia giudiziaria che ne seguì si concluse con la vittoria dell’ex Presidente polacco, con sentenza definitiva della Corte di appello di Danzica del 24 marzo 2011. A Wyszkowski venne imposto l’obbligo di pubblicare un messaggio di scuse sui principali media del paese a proprie spese.
Diversi successivi ricorsi di Wyszkowski vennero rigettati (dalla Corte di appello di Danzica, dalla Corte suprema, dalla Corte europea dei diritti umani).
Nonostante questo, il 31 gennaio 2020, il Procuratore generale e Ministro della Giustizia Zbigniew Ziobro ha deciso di presentare un ricorso straordinario – introdotto, come già detto, con la legge sulla Corte suprema dell’8 dicembre 2017, come modificata dalla legge «Che emenda la legge sull’organizzazione delle Corti comuni, la legge sulla Corte suprema e altre leggi» del 20 dicembre 2019 – contro la sentenza della Corte di appello di Danzica del 24 marzo 2011, per assicurare il rispetto del principio dello Stato democratico di diritto e della giustizia sociale (art. 2, Cost.), della libertà di espressione e della libertà di stampa.
Con la sentenza del 21 aprile 2021, la Camera di controllo straordinario ha accolto il ricorso, riformato la sentenza della Corte di appello di Danzica e stabilito una violazione dell’art. 54, Cost. e dell’art. 10 CEDU sulla libertà di espressione. La Camera di controllo straordinario ha però rigettato la richiesta di riesame delle prove e della ricostruzione dei fatti presentata dal ricorrente, il Procuratore generale e Ministro della Giustizia Ziobro, e la richiesta di ricusazione di tutti i membri della stessa Camera di controllo straordinario presentata dal convenuto, l’ex Presidente Wałęsa.
Quest’ultimo ha poi impugnato la sentenza della Camera di controllo straordinario del 21 aprile 2021 davanti alla Corte EDU per violazione dell’art. 6, c. 1 CEDU, sia in relazione al diritto ad un tribunale indipendente e imparziale precostituito per legge, con riferimento alla composizione della Camera di controllo straordinario, che al principio della certezza del diritto, per quanto concerne l’avvio di un procedimento straordinario dopo oltre dieci anni dalla pronuncia di una sentenza definitiva; la violazione dell’art. 8 CEDU sul rispetto della vita privata e familiare, per le conseguenze del ricorso straordinario sulla reputazione del ricorrente, ed infine per la violazione degli artt. 18, 6 e 8 CEDU in relazione all’utilizzo della procedura di ricorso straordinario come strumento di ritorsione politica.
La Prima Sezione della Corte EDU ha dichiarato ammissibili i ricorsi sulla base degli artt. 6 c. 1 e 8 della Convenzione e nonostante le obiezioni del governo polacco, ha avviato la procedura della sentenza pilota, sulla base di quanto previsto dall’art. 46 della CEDU e art. 61 del Regolamento della Corte.
Il governo polacco ha sottolineato che tale procedura non era mai stata applicata con riferimento all’organizzazione istituzionale di uno Stato contraente e che il numero dei ricorsi alla Corte connessi alla procedura di controllo straordinario rimaneva esiguo. Come stabilito, tuttavia, in una serie di pronunce della Corte (Hutten-Czapska c. Polonia e Kurić et al. c. Slovenia), l’applicazione della procedura della sentenza pilota è legata alla natura sistemica o strutturale della violazione della Convenzione e non al numero di ricorsi pendenti davanti alla Corte, ed è finalizzata ad assicurare il funzionamento del sistema della Convenzione e dare soluzione rapida ed effettiva alla violazione identificata, nell’interesse delle vittime.
Si tratta di una sentenza di oltre 110 pagine, nella quale viene ricostruito in maniera estremamente articolata rispetto alle precedenti sentenze Reczkowicz, Dolińska‑Ficek e Ozimek, Advance Pharma e Grzęda il quadro giuridico interno – ed in particolare la complessa riforma del sistema giudiziario polacco introdotta a partire dal 2017 e la giurisprudenza delle corti polacche in materia – e le norme di diritto internazionale, dell’Unione europea e di soft law applicabili al caso in esame.
Nella sentenza del 23 novembre 2023, la Corte ha stabilito che vi è stata una violazione dell’art. 6, c. 1 CEDU sia con riferimento al diritto ad un tribunale indipendente e imparziale precostituito per legge che del principio della certezza del diritto ed una violazione dell’art. 8 CEDU, per quanto concerne il rispetto alla vita privata e familiare. La Corte – ricordando che vi sono ben dieci sentenze nelle quali si è stabilita una violazione dell’art. 6, c. 1 CEDU in relazione alle riforme del sistema giudiziario polacco introdotte a partire dal 2017 e ben 492 ricorsi pendenti – ha individuato inoltre problemi di natura sistemica alla base della violazione dell’art. 6, c. 1 CEDU.
In particolare, il nuovo meccanismo di selezione dei membri del Consiglio nazionale della Magistratura, Krajowa Rada Sądownictwa, o KRS, introdotto con la riforma del 2017 – con il quale si è attribuito ai membri del Sejm, ossia la camera bassa del Parlamento polacco, invece che ai giudici, la competenza di selezionare i membri togati del KRS – non assicurerebbe l’indipendenza dell’organo di autogoverno del potere giudiziario dall’influenza del potere legislativo ed esecutivo. Ciò non consentirebbe di considerare come un “tribunale indipendente e imparziale” ai sensi dell’art. 6, c. 1 CEDU tutte le corti i cui membri sono nominati dal Presidente su proposta del KRS. Tra queste rientra la Camera di controllo straordinario e degli affari pubblici della Corte suprema, i cui membri sono stati tutti selezionati su proposta del KRS (come già stabilito nelle sentenze Reczkowicz, Dolińska‑Ficek e Ozimek, Advance Pharma). Alla Camera di controllo straordinario verrebbe inoltre attribuita l’esclusiva competenza di giudicare le richieste di ricusazione dei giudici per la mancanza del requisito di indipendenza, comprese le richieste dirette contro i membri della Camera stessa, in aperto contrasto con il principio del nemo iudex in causa sua.
La Corte ha stabilito inoltre che il sistema di “ricorso straordinario” violerebbe il diritto a un equo processo ed il principio della certezza del diritto garantiti dall’art. 6, c. 1 CEDU. In particolare, la Corte rileva che il ricorso straordinario assume le caratteristiche di un ulteriore grado di giudizio ordinario. Si individua in questo senso una somiglianza con il controllo straordinario previsto nei sistemi socialisti [Ludwikowski, 1988; Mańko, 2007, p. 90]. Viene sottolineata, poi, l’assoluta discrezionalità del Procuratore generale e del Difensore civico nell’avviare il procedimento, la sostanziale assenza di limiti di tempo per la presentazione del ricorso straordinario e la possibilità che tale procedimento venga strumentalizzato per ragioni politiche. Infine, la Corte sottolinea che la competenza di giudicare i ricorsi straordinari viene attribuita alla Camera di controllo straordinario, un organo che non si ritiene costituire un “tribunale indipendente e imparziale”.
Sulla base di tali considerazioni, la Corte è arrivata a concludere che la natura sistemica delle circostanze alla base della violazione dell’art. 6, c.1 ha condotto alla ripetuta violazione dei principi dello Stato di diritto, della separazione dei poteri e dell’indipendenza degli organi del potere giudiziario (§324).
La Corte individua un insieme di misure generali per porre rimedio alla violazione sistematica dell’art. 6, c. 1. Per quanto concerne le irregolarità nella procedura di nomina dei membri degli organi del potere giudiziario, la Corte esorta innanzitutto la Polonia ad introdurre misure finalizzate a garantire l’indipendenza del KRS ed in particolare ad attribuire ai giudici (invece che ai membri del Sejm) la competenza di selezionare i membri togati del KRS. La Corte chiede inoltre allo Stato convenuto di introdurre meccanismi di controllo delle risoluzioni approvate dal KRS a partire dal 2017 per la selezione dei candidati alla carica di giudice; di regolamentare lo “status” – ovvero determinare le conseguenze sulla carriera e la possibilità di continuare a esercitare le proprie funzioni – dei giudici nominati con una procedura irregolare su proposta del KRS a seguito della riforma del 2017; e di chiarire gli effetti delle pronunce adottate da tali giudici.
La Corte ritiene poi necessaria l’approvazione di misure che garantiscano che la Camera di controllo straordinario costituisca un “tribunale indipendente e imparziale precostituito per legge” e la riforma del sistema di ricorso straordinario per limitare la discrezionalità dei soggetti che possono avviare tale procedimento ed i tempi entro i quali possono essere presentati i ricorsi, per evitare che il ricorso straordinario celi l’intenzione di riaprire un procedimento in relazione al quale sia già stata adottata una decisione definitiva non gradita e per evitare che tale procedimento venga strumentalizzato per perseguire finalità politiche.
La Corte riafferma, tuttavia, in continuità con quanto stabilito fin dalla sentenza pilota nel caso Broniowski c. Polonia, che allo Stato soccombente rimane la più assoluta discrezionalità nell’individuazione degli strumenti atti a rispettare gli obblighi derivanti dalla ratifica della Convenzione, «sotto la supervisione del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa e nei tempi con quest’ultimo concordati» (§332).