La riforma elettorale tedesca del 2020 al vaglio della Corte Costituzionale Federale
Il 29 novembre 2023 la Corte Costituzionale Federale tedesca è intervenuta nuovamente in materia elettorale, riconoscendo la conformità con la Legge Fondamentale della venticinquesima legge di modifica della legge elettorale federale (BWahlGÄndG) del 14 novembre 2020. Il ricorso, promosso da 216 deputati dei partiti – in quel periodo all’opposizione – DIE GRÜNEN, DIE LINKE e FDP, si fondava sulla presunta violazione, ad opera dell’art. 1, nn. 3-5 della legge di riforma, dei principi di chiarezza normativa (Normenklarheit), di eguaglianza del voto in uscita (Erfolgswertgleichheit) e di pari opportunità dei partiti politici (Chancengleichheit). Su questa base, i ricorrenti avevano dapprima richiesto un provvedimento cautelare, con il quale si richiedeva la sospensione provvisoria dell’applicazione dell’articolo contestato: con ordinanza del 20 luglio 2021, il Tribunale ha respinto l’istanza cautelare, consentendo così l’applicazione della nuova disciplina nelle elezioni tenutesi il 26 settembre 2021. L’articolo in oggetto escludeva, per ogni partito beneficiario, i primi tre mandati in eccesso (Überhangmandate) dal pareggiamento in senso proporzionale ottenuto attraverso l’attribuzione dei seggi compensativi (Ausgleichsmandate) agli altri partiti. La riforma – che prevedeva inoltre, a decorrere dal 2024, la riduzione dei collegi uninominali da 299 a 280 (Art 1, n. 2) – era stata approvata da CDU, CSU e SPD, che allora sostenevano un esecutivo di grande coalizione, allo scopo di contenere le dimensioni del Bundestag. Il numero di membri di questa camera, nella diciannovesima legislatura, aveva raggiunto la quota di 709, a fronte dei 598 minimi previsti dalla legge, e si prevedeva, al momento della discussione delle modifiche in oggetto, che sarebbe aumentato fino 800 membri nella ventesima (T. Gschwend e M. Neunhoeffer, 2020). Il numero di deputati, notoriamente variabile per via del sistema elettorale fondato sull’espressione di un voto uninominale e di uno di lista, era andato incontro a una crescita costante in funzione dell’incremento del voto disgiunto (Stimmensplitting) e, ancor di più, in seguito all’introduzione degli Ausgleichsmandate, ad opera della ventiduesima legge di revisione della legge elettorale federale, entrata in vigore il 9 maggio 2013 in reazione a una sentenza – meglio citata successivamente – di Karlsruhe. Tuttavia, il modesto impatto del correttivo adoperato, pur contenendo il numero dei membri rispetto alle previsioni, non ha impedito il raggiungimento del massimo storico di 736 deputati, inducendo la nuova maggioranza, costituita da SPD, DIE GRÜNEN, e FDP, a elaborare una riforma più incisiva. Questa, entrata in vigore il 17 marzo 2023, per la prima volta nella storia repubblicana tedesca, ha fissato un numero esatto (630) di membri del Bundestag, abrogando la disposizione che prevedeva la riduzione dei collegi uninominali ma eliminando la Grundmandatsklausel, la possibilità di ottenere seggi in eccedenza e, di conseguenza, anche i seggi di compensazione. Alla luce della più recente modifica, i ricorrenti hanno presentato richiesta di estinzione del contenzioso, rigettata con ordinanza del 22 marzo 2023 dal Tribunale, il quale, nonostante il superamento della legislazione, ha riconosciuto l’esistenza di un interesse pubblico alla prosecuzione del processo.
La decisione del secondo Senato del Tribunale è stata approvata con cinque voti favorevoli e tre contrari, del vicepresidente König e dei giudici Maidowski e Müller, quest’ultimo relatore dell’opinione dissenziente (Sondervotum). Il profilo sul quale il collegio si è diviso riguarda la compatibilità tra l‘elemento di complessità introdotto dalla clausola dei tre mandati in eccedenza non compensati con il principio di chiarezza normativa, derivato dal principio dello stato di diritto (art. 20(1.3) GG) e concretizzato nell’ambito del diritto di voto dal principio democratico (art. 20(2) GG). Secondo la maggioranza del BverfG lo stesso non risulterebbe violato: la legislazione in questione, pur aggiungendo un ulteriore passaggio a una procedura di già difficile comprensione, mantiene infatti un significato univoco e permette la ricostruzione dell’assegnazione e della distribuzione territoriale dei seggi. Il ragionamento del secondo Senato si concentra sulle cause di questa complessità, preesistente alla riforma in questione e legata alla volontà del legislatore di combinare il sistema proporzionale con un alto grado di collegamento tra suffragio e territorio, attraverso il voto in collegi uninominali e quello di lista su base federale. Ugualmente, il fine della riduzione del numero dei parlamentari, accresciutosi accidentalmente per effetto combinato di tali fattori, risulta legittimo e sufficiente a giustificare un ulteriore procedimento per la designazione degli eletti. Nell’argomentazione, la decisione descrive la legge elettorale come norma i cui destinatari sarebbero gli uffici elettorali, ritenendo pacifico un margine di approssimazione nella comprensione da parte dell’elettore, la cui consapevolezza del voto non risulterebbe lesa dall’incompleta conoscenza dei meccanismi per la trasformazione in seggi. Viceversa, secondo l’opinione dissenziente, la conoscenza “a grandi linee” (in groben Zügen) (par. 154) non soddisfa l’obbligo, in capo al legislatore, di dare attuazione ai principi costituzionali citati dai ricorrenti attraverso una legislazione che renda l’elettore consapevole del peso e delle conseguenze del proprio voto nel processo democratico. In particolare, ritenere che la completa comprensione delle norme elettorali si riferisca ai soli “addetti ai lavori” e che il cittadino possa invece avvalersi di fonti di informazione alternative rispetto alla legge, appare svilente nei confronti di un diritto fondamentale quale è quello di voto. Al contrario, la sua posizione cardine all’interno di uno Stato democratico dovrebbe imporre una chiarezza e una pubblicità tali da rendere la legislazione intellegibile non solo ai giuristi specializzati ma, soprattutto, al cittadino medio, in quanto soggetto centrale del processo elettorale stesso.
La presunta violazione dei principi di eguaglianza del voto e di elezioni dirette (art. 38(1) GG) e del principio delle pari opportunità dei partiti politici (art. 21(1) GG), invece, non è stata ritenuta sussistente. La nuova clausola, infatti, viene vista come un’interferenza nei principi costituzionali sopra richiamati. Tuttavia, questa interferenza è considerata giustificata dalle finalità alla base del disegno del sistema proporzionale personalizzato (personalisiertes Verhältniswahlrecht). È possibile, dunque, ricondurre la decisione nel solco della giurisprudenza consolidata in materia, caratterizzata da una posizione tendenzialmente deferente del Tribunale. Infatti, l’elezione immediata con la Erststimme rendeva necessaria l’assegnazione degli Überhangmandate, ossia dei seggi uninominali vinti in sovrannumero rispetto alla quota prevista con lo scrutinio di lista: essi sono stati oggetto nel tempo di diverse decisioni del BVerfG, che hanno affrontato il profilo della loro compatibilità con gli stessi principi assunti a parametro della decisione in commento. È opportuno rammentare i due overruling, del 2008 e del 2012, con i quali si dichiarava l’incostituzionalità parziale di questo istituto, in quanto concausa del paradossale effetto della “ponderazione negativa del voto” (negatives Stimmgewicht) ossia l’eventualità che il superamento di una certa soglia di suffragi per un partito producesse non l’aumento bensì la diminuzione dei propri seggi, nonché in quanto elemento di alterazione della regola proporzionale, che può mutarsi, secondo parte della dottrina, in premio di maggioranza nascosto (A. ROMANO, 2015). Tale cornice risulta utile a contestualizzare l’origine degli Ausgleichsmandate, seggi attribuiti ai partiti non beneficiari dei mandati in eccesso, in misura tale da ripristinare le proporzioni tra le forze rappresentate nel Bundestag. Si può altresì osservare come, pur giungendo a esiti differenti, le decisioni del Bundesverfassungsgericht in materia conservino la differenziazione tra uguaglianza del voto in entrata ed in uscita, legando l’interpretazione della seconda alla scelta compiuta dal legislatore e contestualizzandola nella realtà politica in cui la legge elettorale si trova immersa (G. DELLEDONNE, 2019). Questa stessa “immersione” si scorgeva nella censura parziale dei mandati in eccesso del decennio scorso, così come può essere riconosciuta nell’argomentazione qui in esame, che pondera la deviazione dall’uguaglianza del voto in uscita con l’esigenza organizzativa del Parlamento di contenere il numero dei membri e propende, dunque, a favore della discrezionalità del legislatore.
Infine, l’ultimo nodo sciolto dal Tribunale concerne l’interazione tra l’aspetto cronologico della riforma – ossia la sua approvazione nell’anno precedente le elezioni – e i principi sovranazionali in materia elettorale, con riferimento al Codice di Buona Condotta in Materia Elettorale elaborato dalla Commissione di Venezia. Il codice, definito come “distillato del patrimonio elettorale europeo” (C. FASONE, G. PICCIRILLI, 2017), nel dare risalto all’importanza della stabilità delle norme elettorali, individuava le riforme frequenti, o avvenute nel corso dell’anno precedente al voto, come fonti di possibile manipolazione o quantomeno, anche supponendo la buona fede del legislatore, di delegittimazione del processo democratico. I precedenti esaminati nell’argomentazione sono le sentenze della Corte EDU Ekoglasnot c. Bulgaria e Partito Laburista Georgiano c. Georgia, , dalle quali emerge il rischio che la modifica frequente o “a ridosso” delle elezioni possa inficiare la veridicità del processo democratico, veridicità, però, che non può essere valutata in riferimento a una data precisa, ma valutando la legislazione elettorale alla luce dello sviluppo politico del Paese interessato (im Lichte der politischen Entwicklung des betreffenden Landes zu beurteilen). Pertanto, data l’assenza di alterazione delle composizioni delle liste e della campagna elettorale in seguito alla riforma, il semplice dato cronologico non risulta sufficiente a determinare l’illegittimità costituzionale della disciplina. Con questa decisione, il Bundesverfassungsgericht riafferma la rilevanza costituzionale della CEDU e dei protocolli annessi, in quanto supporti interpretativi utili alla determinazione dei contenuti e della portata delle garanzie della Legge fondamentale (par. 233) e, contemporaneamente, ribadisce l’importanza di un’interpretazione della materia elettorale fondata sull’osservazione della legislazione non in astratto ma, piuttosto, citando la sentenza apripista in tema di soglia di sbarramento (Sperrklausel), “in un certo Paese e in un certo periodo storico”.