La prossima Commissione europea: profili di continuità in materia di Green Deal europeo, alla luce delle sfide giurisdizionali, economiche e di compromesso politico
All’indomani delle audizioni che precedono la nomina della nuova Commissione europea, il presente contributo si propone di esaminarne la posizione rispetto alle imminenti sfide in termini giurisdizionali, economici e di compromesso politico, stante gli orientamenti politici 2024 – 2029 in materia di Green Deal. La parola chiave di tali orientamenti è «accelerazione», tramite un bilanciamento fra decarbonizzazione ed industrializzazione, in ragione dell’aggravarsi della crisi climatica a ritmo sostenuto. Alla volontà di «mantenere la rotta verso gli obiettivi fissati» in tema di Green Deal, si accosta un approccio alla competitività, più favorevole all’espansione delle imprese sui mercati globali e di supporto alle industrie nel processo di transizione. In tal senso, l’elaborazione del Clean Industrial Deal concretizzerà la volontà di realizzare detto bilanciamento, sempre più urgente e necessario.
In linea con questo obiettivo chiave, gli attuali orientamenti politici valorizzano il mercato unico europeo, non solo come spazio giuridico di libera circolazione di persone, merci, servizi e capitali, ma come strumento idoneo a rinvigorire il settore dell’energia, in una prospettiva di concorrenza orientata a rafforzare le interconnessioni transfrontaliere e le reti di trasmissione dell’energia, con ampie scelte di approvvigionamento energetico per l’industria. Protagonista dei precedenti orientamenti politici 2019 – 2024 è stato il Green Deal che ha portato all’adozione nel 2021 della Legge Europea sul Clima. Configuratosi in una strategia volta ad allineare le politiche UE all’obiettivo di neutralità climatica entro il 2050, esso ha reso trasversale la precedente politica climatica settoriale, integrandola nelle altre politiche UE.
La Commissione del 2019 aveva scommesso sull’inquadramento del proprio modello economico in un bilanciamento tra sostenibilità ambientale e libera concorrenza, stante la necessaria implementazione di un’organica politica industriale verde, in cui le Istituzioni potessero orientare le condotte degli operatori del mercato. Il Report 2024 sullo Stato dell’Unione dell’Energia riflette l’esito positivo di tale scommessa, delineando i progressi del mandato 2019 – 2024 ottenuti tramite interventi normativi di adeguamento della legislazione precedente e di riforma, tra cui, a mero titolo esemplificativo, il Pacchetto Fit for 55, la riforma dell’ETS, delle direttive rinnovabili (direttiva REDIII), di riassetto del mercato dell’energia elettrica ed infine il Green Deal Industrial Plan, un primo piano industriale volto a coniugare competitività industriale e sostenibilità. Nel suddetto Report si legge a chiare lettere il valore dell’Unione rispetto agli impegni assunti, stante il difficile contesto geopolitico in cui ha operato, che ha imposto alla Commissione di rispondere a gran voce su varie questioni, fra cui la dipendenza energetica, la riduzione delle emissioni di gas serra e il rafforzamento dell’utilizzo di energia rinnovabile, con evidenti risultati in materia di transizione energetica pulita.
Nel dettaglio, si è assistito alla notevole riduzione della quota di importazione di gas russo dal 45% risalente al 2021, all’attuale 18%, grazie all’impegno combinato di Stati membri, imprese e cittadini, che ha contribuito a rendere l’UE sempre più autonoma sul piano energetico. Inoltre, le emissioni di gas serra sono diminuite nel 2022 del 32,5%, rispetto ai livelli del 1990, riportandoci una fotografia dell’Unione che persegue gli obiettivi prefissati dalla direttiva 2018/2001/UE, ma che deve inevitabilmente accelerare per tradurre in azioni il nuovo target di riduzione pari al 55% entro il 2030 in base alla direttiva REDIII. Rilevanti sono i significativi progressi relativi allo sviluppo delle fonti rinnovabili, da cui è stato finora generato circa il 50% dell’elettricità dell’Unione, nonostante la persistente criticità – seppur ad impatto attualmente ridotto – della volatilità dei prezzi dell’energia, che all’interno del più ampio tema della povertà energetica costituirà probabilmente un tassello importante nei lavori della Commissione, nella prospettiva di una sostenibilità sociale e competitiva. Dunque, si delinea un’Unione che, tramite i risultati a breve termine, ha creato terreno fertile per i successivi obiettivi di medio – lungo termine, che appaiono in un rapporto di continuità con quanto prefissato negli orientamenti politici del mandato appena trascorso. Nonostante la destinazione della prossima Commissione resti la neutralità climatica entro il 2050, con una forte accelerazione su sviluppo industriale e sostenibilità, diverse saranno le sfide da affrontare, sul piano giurisdizionale, economico e di compromesso politico.
Relativamente al primo profilo, il riferimento è all’attuale ricorso per annullamento pendente innanzi al Tribunale (T-120/24), che potrebbe condurre alla prima sentenza in materia climatica dell’Unione europea. Nel merito, le ONG Can Europe e Global Legal Action Network (Glan) ritengono inadeguati ed insufficienti gli sforzi della Commissione, circa il soddisfacimento dell’obiettivo di riduzione delle emissioni nette di gas a effetto serra del 55% entro la fine del decennio. Tali soggetti non possono adire direttamente la Corte di Giustizia dell’Unione europea, motivo per cui la loro azione ha preso le mosse da una “richiesta di riesame interno”, risalente ad agosto 2023, circa la decisione di esecuzione della Commissione, volta a rivedere le assegnazioni annuali di emissioni degli Stati membri fra il 2023 e il 2030, e respinta dalla Commissione stessa con un’ulteriore decisione, oggetto di impugnazione davanti al Tribunale.
A favore delle parti attrici c’è la precedente pronuncia della Corte EDU di condanna alla Svizzera per la sua inerzia nel fronteggiare la crisi climatica e per la violazione dell’art. 8 della CEDU, che costituisce l’apice del rapporto fra ambiente e diritti umani, nato con il caso Lopez Ostra, in cui il diritto di vivere in un ambiente salubre, dignitoso e pacifico diventa parte integrante del diritto al rispetto della vita privata e familiare. Il Tribunale probabilmente non entrerà nel merito dell’atto oggetto della richiesta di riesame, limitandosi a valutarne la legittimità. Saranno esigue le possibilità di annullamento della decisione, stante l’assenza di vizi rilevanti ex art. 263, par. 2, TFUE e il Tribunale esorterà al più le Istituzioni a mantenere ben saldi gli obiettivi all’orizzonte. Inoltre, la prassi ci restituisce una fotografia poco incoraggiante dell’annullamento di analoghe decisioni di diniego, mostrando la scarsa effettività della tutela giurisdizionale garantita alle ONG.
Per confutare le critiche di inadeguatezza della propria azione in materia di Green Deal, sarà centrale per la Commissione europea intervenire sul piano economico, al fine di sopperire gli alti costi dell’energia, tenendo a mente l’accelerazione sul fronte dell’industrializzazione, secondo pilastro degli orientamenti politici al pari della decarbonizzazione. La volatilità dei prezzi dell’energia, infatti, ha aggiunto incertezza alle decisioni di investimento, con seguenti rischi sul piano della leadership dell’UE in materia. Oltretutto, è significativo considerare la relazione 14/2024, relativa al periodo compreso fra il 2021 e febbraio 2024, presentata dalla Corte dei conti europea in merito al contributo del dispositivo per la ripresa e la resilienza (RRF) in materia di transizione verde. La Corte dei conti, stante la preminenza della green transition e della questione climatica nell’agenda politica dell’UE, ha valutato i PNRR di Grecia, Croazia, Portogallo e Slovacchia, riscontrando dal monitoraggio della spesa per il clima elevati livelli di approssimazione, con potenziali sovrastime per un importo pari a 34,5 miliardi di euro, che ne mettono in dubbio la chiarezza e la buona riuscita in termini di obiettivi realmente “verdi”. Nonostante la Commissione abbia giustificato tale approssimazione su delle stime ex ante rispetto al contributo agli obiettivi climatici, essa dovrà affrontare la questione, poiché tali aspetti economici sono parti essenziali delle strategie utili al bilanciamento fra sostenibilità, competitività ed industrializzazione.
Ugualmente necessario al fine di ottenere risultati tangibili si è rivelato il compromesso politico, raggiunto a partire dalle elezioni di giugno 2024 e che ha fatto perdere terreno alla Presidente von der Leyen, al punto che l’applicazione del Regolamento sulla messa a disposizione di materie prime e prodotti associati alla deforestazione, prevista tra la fine del 2024 e l’inizio del 2025, sarà posticipata di 12 mesi, a seguito delle pressioni del Partito popolare europeo, visto che altrimenti le imprese dovrebbero mettere in pubblica piazza gli scarsi risultati ottenuti, circa il proposito di non commercializzare nel mercato interno dell’Unione prodotti provenienti da territori deforestati.
Dalle osservazioni che precedono emerge come l’istituenda Commissione dovrà fare i conti con complesse questioni di natura giurisdizionale, economica e politica aventi potenziali effetti sui già precari equilibri al suo interno. Appare probabile che, in sede di definizione delle azioni comuni, ulteriori compromessi dovranno aggiungersi a quelli già raggiunti all’indomani delle audizioni dei Commissari. Una tale previsione, tuttavia, non è da intendersi in una accezione necessariamente negativa, considerando che già negli orientamenti politici si prospetta un futuro in cui «collettivamente» si affronteranno le minacce e si coglieranno le opportunità, poiché «i prossimi cinque anni definiranno il ruolo dell’Europa nel mondo per i prossimi cinque decenni», in una prospettiva di continuità, seppur accelerata, con gli obiettivi del precedente mandato.