La nomina di Neil Gorsuch alla Corte Suprema USA e il nuovo ruolo del Senato
Il 7 aprile scorso, con un voto a maggioranza semplice al Senato, Neil Gorsuch è stato confermato come nuovo giudice alla Corte Suprema statunitense. Gorsuch ha preso il posto di Antonin Scalia, venuto a mancare nel febbraio del 2016, in piena campagna elettorale presidenziale. Scalia era uno dei massimi esponenti della dottrina dell’interpretazione “originalista” della Costituzione e costituiva uno dei baluardi conservatori in seno all’Alta Corte. La judicial philosophy di Gorsuch non si allontana molto da quella di Scalia, del quale riprende l’approccio testualista, ovvero fedele ai canoni costituzionali come interpretabili in base alle volontà stabilite sulla Carta dai Framers. Il nuovo giudice supremo sembra poter dunque mantenere gli equilibri “ideologici” interni alla Corte, sinora divisa equamente tra corrente “progressista” e corrente “conservatrice”.
La nomina di Gorsuch e la sua successiva conferma al Senato è stata però il risultato di un lungo braccio di ferro tra i Senatori repubblicani e la controparte democratica. La morte di Scalia è avvenuta infatti nel pieno della Presidenza Obama, ad un anno circa dalle nuove elezioni presidenziali, tenutesi l’8 novembre 2016. I Repubblicani in Senato si erano però battuti sin da subito affinché venisse nominato uno justice conservatore che “rimpiazzasse il voto” di Scalia, opponendosi così in maniera preventiva ad ogni possibile soluzione da parte del Presidente Obama.
Il leader del GOP al Senato, Mitch McConnell del Kentucky, aveva giustificato la propria riluttanza nel considerare ogni possibile nomina da parte di Obama con il fatto che il Presidente si trovasse ormai “a fine mandato” e che pertanto non avrebbe potuto prendere una decisione così rilevante, tenendo conto soprattutto del fatto che i giudici supremi godono di un mandato a vita. L’argomentazione di McConnell era del tutto inaccettabile sul piano costituzionale, posto che il Presidente può esercitare “pienamente” i suoi poteri dal momento del giuramento sino al termine del suo mandato, senza interruzioni di sorta, né dal punto di vista temporale, né dal punto di vista sostanziale. Il Partito Repubblicano aveva così inasprito le tensioni con i Democratici, già di fatto alterate dal processo di polarizzazione in atto nel sistema politico statunitense, nonostante Obama avesse compiuto un passo in avanti sulla strada del compromesso, nominando quale nuovo justice Merrick Garland, giudice “moderato” che non avrebbe indebolito oltremodo la componente conservatrice. I Senatori repubblicani si erano rifiutati di procedere addirittura con gli “hearings” (audizioni) preliminari alla votazione, inscenando una vera e propria tattica ostruzionistica ben al di là del perimetro definito dallo stesso Regolamento del Senato.
La tattica ostruzionistica dei Repubblicani ha pagato nel lungo termine, grazie alla vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali e grazie soprattutto al fatto che i Repubblicani hanno mantenuto anche la maggioranza in Senato. Il GOP gode, nella presente Legislatura, di 52 seggi al Senato, anche se tale maggioranza, prima della conferma di Gorsuch, non era sufficiente per poter confermare le nomine dei giudici supremi, per i quali era necessario invece raccogliere almeno 60 voti, al fine di superare un eventuale ostruzionismo da parte della minoranza.
I Repubblicani in Senato hanno sopperito alla mancanza di quella supermaggioranza, adoperando una procedura “straordinaria”, la cosiddetta “opzione nucleare” o, per i suoi sostenitori, “constitutional option” che ha di fatto ha modificato le regole del Senato senza porre in essere una revisione sostanziale dello stesso Regolamento del Senato (Standing Rules). Il par. 1(a) della Rule XIX del Regolamento del Senato non prevede limiti temporali per i dibattiti, iscrivendo pertanto per i Senatori un “right to debate” pressoché assoluto. Questo consente di fatto la cosiddetta pratica del filibustering, ovvero dell’ostruzionismo, pratica alla quale si può soprassedere con la cosiddetta “cloture motion” la cui invocazione è disciplinata dalla Rule XXII del Regolamento del Senato. Questa prevede, ai paragrafi 2 e 3, che un Senatore possa presentare per l’appunto una mozione di chiusura, firmata da almeno 16 Senatori, con la quale si pone fine ad un dibattito su una data proposta di legge o su ogni altra questione pendente al Senato, come ad esempio la conferma delle nomine presidenziali. Passato il tempo necessario dopo la sua presentazione, la cloture motion viene dunque sottoposta a votazione. La Rule XXII prevede che siano necessari i due terzi dei Senatori per approvare una cloture motion per una misura che comporti una modifica del Regolamento del Senato, mentre per tutte le altre deliberazioni è previsto un quorum più basso, ovvero dei tre quinti (60 Senatori).
Il Senato a maggioranza repubblicana ha scavalcato di fatto questa procedura tramite il sistema della “nuclear option”. Ogni Senatore ha infatti il potere di invocare, tramite point of order, il rispetto di una determinata Rule o di una determinata procedura, dinanzi al Presiding Officer del Senato. Questi decide tramite ruling, potendo creare, nel caso, un nuovo “precedente”, nel caso in cui venga data un’interpretazione della norma invocata, che differisca dalla prassi o dalle Regole in vigore sino ad allora. Al ruling del Presiding Officer si può ricorrere attraverso “appeal”, ma in quel caso si procede con una votazione a maggioranza semplice. In altre parole, il Senato può, a maggioranza semplice, creare dei “precedenti” che di fatto modificano le stesse procedure parlamentari, spesso contravvenendo alle norme poste in essere dal Regolamento del Senato, il quale, come visto, richiede invece una maggioranza qualificata per le revisioni dello stesso.
I Repubblicani in Senato hanno dunque modificato, con un nuovo precedente, la Rule XXII, senza però modificare la stessa, prevedendo la possibilità di poter scavalcare a maggioranza semplice (e non dei tre quinti, come previsto dalla Rule XXII) il filibustering sulle nomine dei giudici supremi. Va detto che nel 2013, anche i Democratici si avvalsero della nuclear option, eliminando di fatto la supermaggioranza per tutte le altre nomine presidenziali.
Con il nuovo precedente stabilito dai Repubblicani, la cloture motion ora è divenuta applicabile pertanto solo per la legislazione e non anche per le nomine presidenziali, ivi comprese le nomine dei giudici supremi. In questo modo, le pratiche di filibustering sono state svuotate, lasciando la possibilità alla minoranza in Senato di potersi opporre a scelte unilaterali della maggioranza solo per le misure legislative. Questo stato di cose altera naturalmente i rapporti tra Senato e Presidente a favore di quest’ultimo. Il Presidente degli Stati Uniti ha ora la possibilità di nominare i giudici supremi senza dover tenere conto della minoranza in Senato, ovvero potendo contare solo su una maggioranza semplice, aumentando considerevolmente le possibilità di optare per una soluzione più “politicamente” mirata, in grado di ristabilire a favore della sua parte politica anche gli equilibri all’interno del massimo organo del potere giudiziario.
La polarizzazione in atto nel sistema politico statunitense lascia temere che la Corte Suprema potrebbe divenire ben presto estremamente “politicizzata”, mancando di fatto un contrappeso importante, com’era quello dato dalla supermaggioranza prima richiesta per la conferma dei giudici supremi. Sino alla nomina di Neil Gorsuch, vi era sempre stato un “equilibrio tra poteri” dettato per l’appunto dalle contrapposizioni esistenti in ambito congressuale ed erano gli stessi partiti ad impedire al Presidente, con un esemplare gioco di contrappesi, la possibilità di operare scelte “radicali”.
La nuclear option ha rimesso in gioco la stessa funzionalità del Senato, posti i timori avanzati da alcuni Senatori Democratici circa la possibilità che i Repubblicani possano rimuovere ben presto anche la supermaggioranza richiesta per oltrepassare il filibustering sulle misure legislative (pratica, quella del filibustering, che i repubblicani hanno utilizzato in maniera continuativa tra il 2007 ed il 2014, allorquando in minoranza al Senato).
I Repubblicani si trovano così dinanzi ad un bivio: il ricorso alla nuclear option sulla legislazione, seppure scongiurato dallo stesso McConnell, potrebbe avere degli effetti positivi nel breve termine, posto che il Partito Repubblicano con molta probabilità manterrà a lungo la maggioranza in Senato. Il rischio è però quello di consegnare la medesima “arma” ai Democratici, una volta che questi ultimi riotterranno la maggioranza nella Camera Alta. In un altro senso, infine, il ricorso alla nuclear option per la legislazione apparirebbe del tutto paradossale per un Partito che difende lo spirito “originalista” della Costituzione: il Senato fu creato appunto come “camera di raffreddamento” che rendesse più difficile per una “ristretta maggioranza” la possibilità di imporre la propria volontà all’intera assemblea. Con una nuova modifica delle procedure al Senato, sul piano della produzione legislativa, il volto della stessa Assemblea cambierebbe radicalmente, e verrebbe a mancare proprio quell’equilibrio (o vero e proprio contrappeso) stabilito dagli stessi Padri Costituenti.