La lotta al turismo della droga prevale sulla libertà di prestazione di servizi

Il 16 dicembre 2010 la Corte di giustizia ha pronunciato la tanto attesa sentenza Josemans  di cui si era già discusso in questo blog. La questione riguardava la compatibilità con il diritto dell’Unione europea della regolamentazione del Comune di Maastricht che vieta l’accesso ai coffeshop ai non residenti in Olanda. In particolare, ci si chiedeva se tale normativa non fosse contrastante con la libera circolazione delle merci o la libera prestazione di servizi oppure con il principio di non discriminazione in base alla nazionalità.

La Corte esamina la questione sulla base dell’attività svolta nei coffeeshop e considera separatamente l’attività di commercializzazione di cannabis rispetto a quella di vendita di cibi e bevande, riformulando la questione così come era stata sottoposta dal giudice del rinvio. Per quanto riguarda la prima attività, la Corte considera che nessuna disposizione del diritto dell’Unione può essere invocata per opporsi al divieto nazionale, in quanto l’importazione e la commercializzazione degli stupefacenti è vietata in tutti gli Stati membri (salvo che si tratti di stupefacenti circolanti nel circuito rigorosamente sorvegliato dalle competenti autorità in vista dell’uso per scopi medici o scientifici). La circostanza che l’Olanda applichi in tema una politica di tolleranza non elimina il fatto che si tratti di un’attività vietata: nessuna libertà di circolazione può, dunque, essere invocata per una merce o un servizio proibiti nell’Unione europea.

Per quanto riguarda l’attività di commercializzazione di bevande alcoliche e alimenti, invece, la Corte procede a valutare, secondo lo schema tradizionale, se il divieto contenuto nella normativa nazionale olandese possa incidere sull’esercizio delle libertà di circolazione di merci e servizi o se possa ledere il principio di non discriminazione in base alla nazionalità.

La Corte considera prevalente il profilo della libera prestazione di servizi, rispetto a quello della libera circolazione delle merci, del tutto secondario e strumentale rispetto al primo. La Corte coerentemente con la propria precedente giurisprudenza scarta anche l’applicabilità dell’art. 12 CE (corrispondente all’attuale art. 18 TFUE), perché si tratta di una norma di natura residuale, utilizzata solo nelle situazioni in cui il diritto dell’Unione non stabilisca specifiche regole di non discriminazione.

La conclusione che la misura nazionale in esame costituisca una restrizione si impone, in quanto essa implica una distinzione basata sul criterio della residenza: la Corte procede, quindi, a verificare se tale misura possa essere giustificata da interessi legittimi riconosciuti dal diritto dell’Unione. Nel caso specifico l’obiettivo perseguito dalle autorità nazionali consiste nella lotta al turismo della droga e ai disturbi da questo provocati: la Corte considera che tale obiettivo costituisce un legittimo interesse, idoneo a giustificare una restrizione ad una limitazione alla libertà di prestazione dei servizi. In proposito la Corte ricorda che la lotta alla droga è un obiettivo condiviso dagli Stati, nonché sancito da svariate convenzioni internazionali e dallo stesso diritto dell’Unione europea. Secondo lo schema tradizionale, tuttavia, è necessario che la misura restrittiva risulti conforme al principio di proporzionalità: nel caso di specie, la Corte procede direttamente a tale valutazione, concludendo che la misura olandese sia idonea all’obiettivo perseguito e non ecceda quanto necessario per conseguirlo.

La Corte, dunque, sottolinea come la misura sia giustificata dalla necessità di contrastare il turismo della droga e il relativo disturbo, dando rilievo a detto obiettivo, il quale si ricollega sia al mantenimento dell’ordine pubblico che alla tutela della salute dei cittadini. Il ragionamento della Corte, una volta distinte le attività e messo da parte l’aspetto peculiare della causa, ovvero quello relativo alla commercializzazione della cannabis, si svolge secondo gli schemi tradizionali di controllo del mercato interno. Nessuna libertà comunitaria, quindi, può essere invocata a sostegno della “liberalizzazione”: i non residenti dovranno accontentarsi degli altri piaceri offerti dall’Olanda al di fuori dei coffeshop.