La guerra alla disinformazione nella sentenza T-125/2022 della Corte di Giustizia dell’Unione Europea
La Grande Camera del Tribunale della Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha emesso in data 27 luglio 2022 una sentenza che si appunta sulla legittimità della Decisione (PESC) 2022/351 adottata dal Consiglio in reazione all’invasione russa a danno dell’Ucraina. La Decisione in esame, che è stata seguita dal Regolamento (UE) 2022/350, riguarda l’imposizione di una serie di misure restrittive alla Russia. A seguito dell’attacco militare avvenuto il 24 febbraio 2022, le istituzioni europee hanno condannato l’invasione attraverso comunicati stampa e sanzioni, come annunciato dalla Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. Oltre al piano bellico tradizionale, il conflitto tra i due Paesi si è sin da subito svolto anche nello spazio cibernetico e in quello mediatico. Consapevole della forza potenzialmente distruttiva e polarizzante dei messaggi comunicativi, il Consiglio ha vietato la trasmissione totale di programmazioni televisive russe sul territorio dell’Unione. Il divieto ha riguardato in particolare i canali Russia Today (di seguito, RT) e Sputnik e consisteva, appunto, nel vietarne la trasmissione o la distribuzione con qualsiasi mezzo come cavo, satellite, IP-TV, fornitori di servizi internet, piattaforme di condivisione di video su internet o applicazioni, sia nuove che preinstallate.
Contro la Decisione (PESC) 2022/351, la ricorrente, RT France, ha adito il Tribunale de qua domandandone l’annullamento dando avvio alla procedura ex art. 263 TFEU. Le motivazioni del ricorso adducevano, in rito, la carenza di competenza del Consiglio nell’assumere una tale Decisione, e, nel merito, si soffermavano sulla violazione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. In particolare, la ricorrente lamentava l’inosservanza del diritto alla difesa, di cui all’art. 41 della Carta, della libertà d’impresa, ex art. 16, e della libertà d’espressione, ex art. 11, e il mancato rispetto del principio di non discriminazione.
Con riguardo al primo motivo di impugnazione, il Tribunale ha valutato la documentazione prodotta dal Consiglio e ha verificato che taluni contenuti diffusi da RT France fossero effettivamente di carattere propagandistico e a sostegno dell’azione russa ai danni dell’Ucraina (si vedano paragrafi 177-185). La minaccia, dunque, superato il confine dell’aggressione fisica, e lambendo il piano della comunicazione, rappresentava un’aggressione anche mediatica dannosa per la sicurezza della comunità. Tale aspetto ha permesso al Tribunale di sussumere la fattispecie nel quadro della “Community Foreign Security Policy” e di poter ritenere competente il Consiglio ad assumere una siffatta Decisione. Il Tribunale ha, difatti, chiarito che “adottando la Decisione impugnata, il Consiglio ha quindi esercitato la competenza conferita all’Unione dai Trattati nell’ambito delle disposizioni relative alla politica estera e di sicurezza comune” (par. 57). Ha aggiunto che “poiché le campagne di propaganda e disinformazione sono in grado di minare le fondamenta delle società democratiche e sono parte integrante dell’arsenale della guerra moderna, le misure restrittive in questione rientrano anche nel perseguimento degli obiettivi assegnati all’Unione dall’articolo 3, paragrafi 1 e 5, del TUE” (par. 56). Giova sottolineare che il Consiglio ha agito in applicazione dell’articolo 29 del Trattato sull’Unione Europea (TUE) e dell’articolo 215 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), entrambi concernenti la politica estera dell’UE. Attraverso queste previsioni normative, il Consiglio è dotato della facoltà di adottare delle misure restrittive contro persone, gruppi o entità non statali che abbiano come effetto l’interruzione o la riduzione delle relazioni economiche e finanziarie dei Paesi terzi. Adducendo, dunque, come giustificazione di una tale Decisione la minaccia significativa e diretta all’ordine pubblico dell’azione della Russia, il Consiglio ha, dapprima, adottato delle sanzioni temporanee, per poi estenderle sino al 31 gennaio 2023. A nulla è valsa, infatti, l’obbiezione della ricorrente per cui l’Autorité de régulation de la communication audiovisuelle et numérique (ARCOM), ossia l’Autorità per le Comunicazioni Francese, fosse altresì competente a pronunciarsi in materia, sicché ciò non esclude la competenza del Consiglio.
Essendosi pronunciato, da un lato, sulla carenza di indipendenza dal governo russo del canale RT France (in part. paragrafo 173), e, dall’altro, sula competenza del Consiglio e la legittimità rituale della Decisione, il Tribunale è passato a considerare la violazione del diritto di difesa della parte ricorrente. Il Consiglio aveva, difatti, assunto la Decisione inaudita altera parte, valutando gli elementi di rischio e il caso di particolare gravità e urgenza: elementi insufficienti al parere di RT France per giustificare una tale restrizione delle libertà fondamentali (parr. 69 e 70). In particolare, la ricorrente lamentava che, se ascoltata, il Consiglio non avrebbe assunto la Decisione in questi termini. Il Tribunale, anche in questo caso, ha censurato le affermazioni di RT France, e, constata la presenza di un fumus boni iuris a sostegno della Decisione del Consiglio, ha affermato che non vi era “alcun argomento addotto dalla ricorrente per dimostrare che il procedimento avrebbe potuto condurre a un risultato diverso se fosse stata ascoltata prima dell’adozione delle misure in questione o se le fossero state comunicate in precedenza le ragioni della loro applicazione” (par. 99).
Anche le tempistiche e le modalità con cui la ricorrente è stata edotta della Decisione sono state, al parere del Tribunale, sufficienti a garantire che la stessa avesse potuto prendere “conoscenza delle ragioni specifiche e concrete che giustificano l’adozione delle misure contestate, cosicché non ha il diritto di invocare una motivazione inadeguata a tale riguardo” (par. 114).
Venendo al terzo motivo di impugnazione, il Tribunale ha riconosciuto che effettivamente il Consiglio, imponendo una restrizione alle trasmissioni, stava ponendo in essere un’interferenza con l’esercizio della libertà d’espressione. Richiamato il test del bilanciamento, ben noto alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (ex multis, ci si riferisce alla sentenza della Grande Camera della Corte Edu, Chassagnou e altri c. Francia, nn. 25088/94, 28331/95, 28443/95), il giudice europeo ha verificato la proporzionalità della misura applicata, nel rispetto dell’articolo 52 della Carta. In particolare, il bilanciamento con l’art. 11 della Carta ha tenuto in considerazione l’entità del blocco e il conflitto con l’esercizio della libertà d’impresa. Entrambi gli aspetti sono stati risolti dal Tribunale tenendo in considerazione la temporaneità della misura: “un divieto generale e assoluto di trasmissione costituirebbe un vero e proprio atto di censura e non potrebbe essere considerato necessario o proporzionato per raggiungere effettivamente gli obiettivi invocati dal Consiglio” (par. 129). Pertanto, è nel carattere reversibile della sanzione imposta il quid che il Tribunale ha posizionato sul piatto della bilancia, ritenendo che altrimenti sarebbe stata danneggiata l’attività imprenditoriale di RT France e, soprattutto, la libertà d’espressione. Con riguardo, da ultimo, all’asserita violazione del principio di non discriminazione sulla base della nazionalità, il Tribunale, nel rigettare anche quest’ultimo motivo di impugnazione e valutato il carattere necessario delle limitazioni imposte, ha confermato ancora una volta che la Decisione del Consiglio è stata guidata dalla salvaguardia della pubblica sicurezza, minacciata dai contenuti pubblicati a sostegno dell’aggressione subita dall’Ucraina, e non dal fatto che la rete televisiva si finanziava con fondi provenienti dal governo russo.
Le tematiche affrontate dal giudizio in esame sono numerose e profonde. Il divieto totale di trasmissione è la misura più severa che possa essere imposta a qualsiasi mezzo di comunicazione. Il momentum nel quale si è inserito questo giudizio pare, peraltro, piuttosto fertile. Dimostrata la ancora contemporanea rilevanza dei servizi di comunicazione tradizionali, come appunto le trasmissioni televisive – un aspetto che giustamente, come nota Ylenia Citino, sembra talvolta tralasciato dalle priorità di policy della Commissione – la sentenza del Tribunale pare inserirsi nel quadro più complesso di un nutrito dibattito sull’incidenza di disinformazione e discorsi d’odio negli equilibri democratici. Su questi temi, si è impegnata anche una nutrita parte della produzione normativa e regolatoria della Commissione Europea: basti considerare il Digital Services Act, la proposta del Media Freedom Act, e il nuovo Codice Rafforzato contro la Disinformazione.
Orbene, nel caso in esame, il divieto non ha riguardato solamente i contenuti propagandistici: il Consiglio ha esteso il blocco totale a attività giornalistiche che in vero coprono vari settori e non solo contenuti legati alla guerra, come hanno notato alcuni commentatori. Tuttavia, in applicazione dell’art. 20 del Patto internazionale sui diritti civili e politici che stabilisce che “qualsiasi propaganda di guerra è vietata dalla legge” (par. 207 della sentenza), il Tribunale ha ulteriormente giustificato la valutazione del Consiglio. È indubbio come una tale misura appaia necessaria in un contesto come quello attuale, anche memori dell’effetto che le campagne di disinformazione possono avere sull’opinione pubblica (mutatis mutandis, basti pensare alla nota vicenda che ha riguardato l’allora presidente statunitense, Donald Trump).
Pare chiaro però che il blocco totale non possa essere permanente, come anche ribadito dal Tribunale, e che, pertanto, presto o tardi si dovranno prendere in considerazione strade differenti, quali appunto prevedere blocchi di contenuti a sostegno della guerra, e non dell’intera attività di impresa di un provider. Ebbene, il divieto del Consiglio sembra mancare di una solida base giuridica sicché i menzionati articoli del TUE e TFUE non prevedono né menzionano l’applicazione per attività di propaganda. A ciò si aggiunga che il Tribunale non ha per nulla considerato la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, se non quando si è ispirato ai criteri del bilanciamento. Un eminente precedente da considerare avrebbe potuto essere la sentenza OOO Flavus e altri contro la Russia (Terza Sezione, nn. 12468/15 23489/15 19074/16), ove la Corte EDU si è pronunciata in merito all’oscuramento totale di un sito web da parte della Russia rilevando la violazione dell’art. 10 della Convenzione. In quel caso, peraltro, la Corte aveva individuato una serie di garanzie legislative per evitare blocchi eccessivi e non proporzionali.
Alla luce di questo e molte altre pronunce di stesso segno, parrebbe difficile giustificare la Decisione del Consiglio, sicché impone un divieto di sei mesi a RT France, già prorogato di altri sei mesi. Inoltre, parrebbe ancor più difficile affermare che la medesima possa soddisfare i requisiti delle garanzie procedurali dell’articolo 10 CEDU, soprattutto se si considera che si tratta di un organo composto da funzionari politici, non indipendente e non specializzato. In conclusione, la Decisione preventiva del Consiglio, assunta inaudita altera parte, se da un lato può essere motivata tenendo conto della minaccia della guerra alle porte dell’Unione e delle preoccupazioni degli effetti della disinformazione, sembra difficilmente ammissibile nella sua interezza. Il blocco totale della trasmissione, della distribuzione e dell’accesso attuato nei confronti di RT France ha l’effetto pratico di estendere la portata del divieto ben oltre i contenuti presumibilmente illegali presi di mira, costituendo tutt’altro che la via meno intrusiva per raggiungere il medesimo scopo. In conclusione, con la sentenza in commento, il Tribunale della Corte di Giustizia è intervenuto a difesa degli interessi dell’Unione: il rischio è, tuttavia, che la situazione d’emergenza possa giustificare la cristallizzazione di un modus operandi che potrebbe risultare, soprattutto nel lungo periodo, del tutto incompatibile con l’obiettivo perseguito.