La Germania è ora divisa sul “freno al debito”: prospettive sul futuro dello Schuldenbremse

Le conseguenze politiche della sentenza del 15 novembre del 2023 del Bundesverfassungsgericht in tema di nullità della legge di bilancio non sono tardate a mancare. Anzi, la crisi di bilancio che ne è derivata è stata fra le cause della rottura del patto politico fra le forze che sostenevano il Governo Scholz.
Si ricorda, in sintesi, che con la suddetta pronuncia il Tribunale costituzionale federale ha ritenuto che il trasferimento dell’autorizzazione all’indebitamento per l’emergenza pandemica a un diverso fondo votato alla transizione energetica e climatica (Energie-und Klimafonds – EKF) violasse il “freno all’indebitamento” (Schuldenbremse) sancito dagli articoli 109, comma 3, e 115, comma 2, della Legge fondamentale (Grundgesetz), i quali limitano il ricorso al debito pubblico a circostanze eccezionali. Inoltre, la Corte ha evidenziato la violazione del principio di annualità del bilancio (articolo 110, comma 2), sottolineando che non è consentito approvare integrazioni al bilancio a esercizio finanziario già iniziato né estendere autorizzazioni all’indebitamento oltre l’anno fiscale di riferimento (se si vuole, Musso).
L’improvviso “buco di bilancio” ha costretto l’esecutivo a reperire quanto precedentemente coperto dai prestiti autorizzati con la legge dichiarata nulla. La prima iniziativa è stata l’approvazione nel mese di dicembre 2023 di una legge integrativa del bilancio per legittimare i prestiti per il Energie- und Klimafonds già accesi nel medesimo anno finanziario, utilizzando ancora la dichiarazione d’emergenza prevista dall’articolo 115, comma 2. Il Governo ha motivato l’emergenza con la necessità di effettuare interventi urgenti per riparare le conseguenze negative delle alluvioni in Westfalia e Renania e della guerra russo-ucraina. Due mesi più tardi, con la legge integrativa del bilancio del 2024, il Bundestag è intervenuto per sanare le scoperture sugli anni finanziari a venire con tagli ai sussidi agricoli e al welfare, nonché con l’aumento dell’imposizione fiscale (Pracht).
Mesi più tardi, a costituzione finanziaria invariata, le tensioni politiche fra i tre partiti della coalizione governativa, detta Ampelkoalition (coalizione semaforo), si sono esacerbate durante la stesura del progetto di bilancio per il 2025. Divisi fra i liberali di FDP – più rigoristi in tema di debito pubblico -e i socialdemocratici (SPD) e i Verdi – più favorevoli alla spesa pubblica -, gli alleati hanno raggiunto un accordo nel mese di agosto, dopo lunghe trattative. Nell’intesa, le forze politiche hanno tentato di conciliare due opposte esigenze: da un lato, l’integrale rispetto della Finanzverfassung e, dall’altro, l’aumento degli investimenti in infrastrutture pubbliche. La soluzione escogitata è stata non concedere sussidi a Deutsche Bahn, la società pubblica che gestisce le ferrovie tedesche, bensì di fornirle un prestito e un aumento di capitale. Infatti, tali strumenti sarebbero assimilabili a “operazioni finanziarie” che l’articolo 115, comma 3, della Legge fondamentale scorpora dal calcolo dell’indebitamento perché neutrali dal punto di vista contabile, in quanto il soggetto beneficiario è tenuto al rimborso. Se l’escamotage consente il rispetto dell’art. 115, alcuni hanno sollevato obiezioni sulla convenienza dell’operazione per le finanze pubbliche perché è probabile che Deutsche Bahn necessiti in futuro di ulteriori prestiti proprio per il rimborso di quanto accordatole in precedenza, al fine di evitare che il costo degli stessi ricada interamente sugli utenti, colpiti da eccessivi aumenti delle tariffe (Märtin).
Infine, il dibattito sul progetto di bilancio si è concluso con lo strappo dei liberali, i quali avevano chiesto agli alleati di rinunciare a gran parte delle politiche ambientali e sociali per accelerare sulla riduzione del disavanzo pubblico (Bundestag), e la conseguente revoca da parte del cancelliere dei ministri appartenenti a tale partito, tra cui il Ministro delle Finanze Christian Lindner. In seguito al voto con esito negativo sulla mozione di fiducia al Governo, il Paese attende le elezioni politiche anticipate previste per il 23 febbraio 2025 (Caterina).
La necessità di rispettare la Finanzverfassung per evitare ulteriori censure dal Tribunale costituzionale federale ha diviso inesorabilmente i membri della “coalizione semaforo”, anche per l’incapacità del Governo stesso e delle opposizioni di ripensare le regoli costituzionali sul bilancio. Regole su cui, dopo la sentenza del 15 novembre 2023, gli studiosi hanno, invece, aperto un dibattito de jure condendo. Se alcuni commentatori della pronuncia hanno elogiato l’opera di revisione costituzionale del 2009 che ha introdotto l’attuale versione dello Schuldenbremse (Meyer); altri hanno esortato la politica a modificare le regole costituzionali (Schwarz). Meickmann ha, invece, tracciato un parallelismo con la sentenza del 9 luglio 2007. In quella pronuncia, il Tribunale costituzionale federale ha sostenuto che il medesimo sarebbe potuto intervenire in maniera più decisa per far valere il freno al debito, se il testo costituzionale avesse previsto parametri più determinati per valutare lo sforamento del tetto di indebitamento. La pronuncia è stata l’occasione per la riforma del 2009. Nel caso qui in esame, tuttavia, il legislatore costituzionale interverrebbe per aumentare la discrezionalità di Governo e Parlamento. Altri ancora hanno suggerito possibili modifiche del testo costituzionale, tra cui Korioth che ha rilevato come l’articolo 115 nella formulazione del 2009 non sia riuscito a ridurre l’indebitamento perché il decisore politico ha potuto sfruttare le deroghe in maniera lasca. Dunque, ha proposto un ritorno al testo originario del 1949, il cui articolo 115 circoscriveva l’indebitamento solo alle spese per investimento, individuando non numericamente ma qualitativamente la tipologia di spesa a debito ammessa (Sulle diverse riforme costituzionali in tema di finanza pubblica in Germania, si rinvia a Saitto). Più radicali sono Märtin e Mühlback che ne propongono l’abolizione e sostengono che il freno al debito sia “un errore cardinale inciso nella Legge fondamentale, che limita la capacità d’azione dello Stato a causa di una paura mal indirizzata verso il debito pubblico”.
La medesima rigidità sullo Schuldenbremse, che ha caratterizzato la politica interna, ha accompagnato il percorso di riforma delle fiscal rules eurounitarie. Come ha rilevato Lorenza Violini, la sentenza del 15 novembre 2023 è stata interpretata dai settori ordoliberali tedeschi come un “monito” per le trattative europee sul nuovo Patto di Stabilità e Crescita (PSC). Infatti, la posizione (infine vittoriosa) di Berlino in sede di Consiglio ha irrigidito la proposta della Commissione europea, tarata sulla differenziazione Paese per Paese delle traiettorie della spesa primaria netta, con l’inserimento di due parametri fissi agli articoli 7 e 8 del Reg. (UE) n. 2024/1263. Le due norme citate prescrivono due clausole di salvaguardia riguardanti il ritmo di discesa del rapporto debito/PIL e del rapporto deficit/PIL (sul punto, Bartolucci, Chessa, Guazzarotti).
La prospettiva delle elezioni ha, però, cambiato lo scenario. La rottura del patto politico della Ampelkoalition ha aperto scenari di riforma delle regole sul debito nel dibattito parlamentare (si vedano, ad esempio, gli interventi durante la discussione al Bundestag introdotta dal Ministro dell’Economia Habeck sulla situazione economica del Paese) ed elettorale. Il tema del mantenimento delle attuali regole sul bilancio è uno degli argomenti chiave della campagna elettorale e trova le forze politiche divise sul punto. Se si analizzano i programmi elettorali, si incontrano le seguenti posizioni. Da un lato, la CDU/CSU, i liberali di FDP e il partito di estrema destra AFD rimangono saldamente a favore dello Schuldenbremse, anche sottolineando – con toni e sfumature differenti – che a livello europeo non intendono rimettere in discussione la regola del divieto di bail out e l’impostazione dell’Europa come Stabilitätsgemeinschaft. Dall’altro lato, la SPD, i Verdi, Die Linke e la neonata formazione Bündnis Sahra Wagenknecht (BSW) si pongono in una posizione critica verso le attuali norme costituzionali. La proposta più radicale è quella di Die Linke che vorrebbe permettere di finanziare a debito qualsiasi investimento. BSW e Die Grünen propongono, invece, di consentire l’emissione di debito pubblico per coprire le spese per investimenti in settori chiave per l’economia, in primis le infrastrutture. Restano, però, diverse le proposte sulle altre tipologie di investimenti ammesse. Infine, la SPD è più moderata: non respinge l’idea del freno al debito ma vorrebbe renderlo più flessibile, in particolare nelle situazioni di emergenza.
In base all’esito delle votazioni, si deciderà il futuro della Finanzverfassung tedesca, con l’avvertenza che gli effetti non saranno limitati alla Germania e coinvolgeranno gli altri Paesi europei, a partire dalle valutazioni del venturo esecutivo di Berlino, in sede di Consiglio, sulla sorveglianza multilaterale degli altri Paesi nell’ambito del nuovo PSC. Va, però, rilevato che, allo stato odierno, la divisione fra i partiti sulle opzioni di politica costituzionale probabilmente renderanno difficile un accordo per giungere a una riforma costituzionale condivisa.