La dignità umana delle persone senza fissa dimora. Secondo la Corte costituzionale ungherese non esiste un diritto di rifiutare l’aiuto offerto dallo stato
Con una sentenza emessa all’inizio di giugno, la Corte costituzionale ungherese ha rigettato una serie di ricorsi che riguardavano la costituzionalità di una norma (art. 178/B della Legge n. II del 2012 sulle contravvenzioni) che punisce con ammonizione, servizio sociale o detenzione chi soggiorna abitualmente in un’area pubblica (Decisione n. 19/2019 (VI. 18.) AB, per ora disponibile solo in lingua ungherese). I cinque ricorsi presentati in via incidentale, riguardanti un totale di otto casi di arresto per la contravvenzione in questione, sono stati uniti e decisi in un unico procedimento. Con una decisione 8 a 6, il giudice delle leggi ungherese ha scelto di offrire un’interpretazione correttiva della norma, stabilendo un c.d. requisito costituzionale (sulla falsariga dei Leitsätzer conosciuti dalla prassi della Corte costituzionale federale tedesca), invece di dichiararla incostituzionale. Secondo tale interpretazione una sanzione può essere legittimamente imposta soltanto nel caso in cui sia assicurato il collocamento della persona bisognosa nel sistema di assistenza.
La decisione ha suscitato scalpore nell’opinione pubblica e lo sdegno di molti studiosi di diritto costituzionale (vedi per esempio i due post pubblicati sul Verfassungsblog da costituzionalisti ungheresi). È stato oggetto di critica soprattutto un passaggio in particolare nella motivazione. La Corte costituzionale ungherese afferma che, “secondo il sistema di valori della Legge Fondamentale, nessuno ha il diritto ad essere nullatenente o senza fissa dimora, questo stato non fa parte del diritto alla dignità umana” (par. 102). Per conoscere il quadro completo del ragionamento della Corte, la seconda parte della frase però è altrettanto importante: “al contrario, tale stato deriva dalle disfunzioni interconnesse della convivenza sociale e della vita individuale, che una società fondata sulla fedeltà, sulla fede e sull’amore deve gestire e, possibilmente, eliminare sulla base del rispetto per tali valori”. I giudici costituzionali affermano inoltre che, secondo la loro lettura, è l’emarginazione sociale a violare il diritto alla dignità umana, e lo stato violerebbe tale diritto se lasciasse soli gli individui emarginati (par. 97 e 102).
In breve, lo stato ungherese ha l’obbligo costituzionale di creare e mantenere un sistema di assistenza alle persone senza fissa dimora (sancito dall’art. XXII, secondo comma, della Legge Fondamentale), ma, secondo il giudice delle leggi ungherese, l’adempimento a tale obbligo è possibile soltanto se le persone in questione collaborano con lo stato (par. 61 e 98). La legge sulle contravvenzioni prevede che una persona che abitualmente soggiorna in un’area pubblica debba essere prima avvertita dalle forze dell’ordine e invitata a recarsi a una struttura di accoglienza. Dopo tre avvertimenti fatti nell’arco di 90 giorni, le forze dell’ordine hanno il dovere di prendere la persona in custodia e iniziare un procedimento di contravvenzione (art. 178/B, quarto e settimo comma, della legge impugnata). Secondo la Corte costituzionale, tale disciplina rispetta i principi di gradualità e proporzionalità (par. 68).
Non è la prima volta che la Corte costituzionale ungherese si occupa di diritti delle persone senza fissa dimora e della (in)costituzionalità della penalizzazione della loro condizione. Sette anni fa ha già dichiarato incostituzionale una disciplina simile (Decisione n. 38/2012 (XI. 14.) AB). In quell’occasione la Corte ha stabilito che „è incompatibile con la protezione della dignità umana punire le persone che hanno perso la propria abitazione per un motivo a loro estraneo e che perciò vivono in un’area pubblica, ma non violano i diritti altrui, non recano danno e non commettono altre irregolarità” (par. 53). Non si tratta però di un overruling, in quanto nel 2018 sono state modificate sia la Legge Fondamentale (LF) che la disciplina legislativa, proprio in risposta alla decisione poc’anzi presentata. Con il Settimo Emendamento alla LF, il legislatore (che nell’attuale costellazione politica ha anche il potere costituente) ha elevato la norma incostituzionale a rango di disposizione costituzionale, togliendola dalla giurisdizione della Corte costituzionale. Oggi è l’art. XXII, terzo comma, della LF a stabilire che “è vietato soggiornare abitualmente in un’area pubblica”. Non è la prima volta che il legislatore ungherese sceglie una soluzione assai problematica dal punto di vista del principio dello stato di diritto in risposta a una dichiarazione di incostituzionalità.
Anche ammesso che la Corte costituzionale ungherese non abbia avuto un compito facile, considerando che oggi è la stessa LF a stabilire il divieto, la motivazione è piuttosto debole ed incompleta in più punti. Innanzitutto, il divieto costituzionale è generico e non determina alcun obbligo per lo stato di creare un reato o una contravvenzione. La Corte avrebbe potuto dire che assicurare l’uso conforme all’interesse pubblico delle aree pubbliche non è un interesse legittimo che giustifichi la penalizzazione del soggiorno abituale in un’area pubblica (questa è anche l’opinione del(la) giudice Czine, dissenziente, par. 131-34). Quattro giudici dissenzienti erano del parere che pur in presenza di un divieto espresso nella LF, la legge violi altri principi costituzionali. Il giudice Schanda (opinione dissenziente condivisa anche dai giudici Hörcherné e Szalay) ritiene che sebbene le persone senza fissa dimora abbiano l’obbligo di collaborazione, è da tenere in conto che una parte di loro „non è (più) in grado, o soltanto limitatamente, di collaborare”, e la Corte costituzionale „non può ignorare la realtà sociale” (par. 166). Per questi tre giudici porre le persone senza fissa dimora sotto processo per contravvenzione viola la loro dignità umana (par. 167). Anche il giudice Stumpf (dissenziente) è critico nei confronti del ragionamento della maggioranza circa il diritto alla dignità umana, definendolo contraddittorio, in quanto prima afferma che il diritto all’autodeterminazione e la libertà d’azione non si estendono all’infrazione di un divieto costituzionale, poi però esamina la necessità e la proporzionalità di una limitazione di tali diritti fondamentali (par. 175).
Oltre alla contraddizione lamentata dal giudice Stumpf, ci sono diversi argomenti nella motivazione della maggioranza non pienamente sviluppati. Per quanto riguarda la filosofia sottostante la nuova LF, in vigore dal 2012, è vero che essa si basa su un impianto poco liberale, nel quale l’uomo è visto „non come individuo isolato, ma piuttosto come un membro responsabile della società” (par. 60), „la libertà del quale comporta responsabilità” (par. 101), ma non è chiaro per quale motivo „l’unica via di uscita” dalla povertà e dallo stato di senza fissa dimora sia „avvalersi dell’aiuto offerto dallo stato”, come afferma la sentenza (par. 102). Rimangono, inoltre, senza risposta diverse critiche già espresse dalla Corte costituzionale nel 2012 nei confronti della disciplina legislativa precedente ma sempre valide. Per esempio, la nuova sentenza semplicemente omette di prendere in considerazione che il risultato della persecuzione del „soggiorno abituale in area pubblica” spinge molte persone senza fissa dimora che – il più spesso per via di esperienze negative passate – non hanno intenzione di recarsi a una struttura di accoglienza a territori periferici, non ufficialmente qualificati come area pubblica (come dimostrato con dati da una relazione presentata dalla Fondazione „Menhely”). La Corte del 2012 affermò esplicitamente che la norma impugnata non mirava a proteggere l’ordine pubblico, ma a rimuovere le persone senza fissa dimora dalle aree pubbliche e sollecitarle ad avvalersi dei servizi sociali (par. 53 della Decisione 38/2012).
Insieme alla disposizione costituzionale, anche la disciplina nella legge sulle contravvenzioni è stata riformulata nel 2018 con lo scopo di prevenire critiche simili a quelle già esposte nella sentenza del 2012. Ad esempio, il nuovo art. 178/B contiene una definizione di soggiorno abituale, la mancanza della quale è stata lamentata (vedi par. 58 della Decisione 38/2012). Il legislatore sembra aver tratto ispirazione anche dall’opinione dissenziente del giudice Dienes-Oehm, il quale raccomandò di porre l’accento sulla rimozione (forzata, se necessario) della persona dall’area pubblica come conseguenza legale della contravvenzione, e di applicare un’ulteriore sanzione solo in caso di particolare gravità della condotta e recidività (par. 108).
E meritano attenzione le opinioni separate di entrambe le sentenze, le quali rispecchiano chiaramente i cambiamenti avvenuti nella composizione della Corte nell’ultimo decennio. È forse noto che la nuova LF ha reso possibile per il governo eleggere i giudici costituzionali unilateralmente se in possesso di una maggioranza qualificata nel Parlamento (vedi un mio post precedente su questo blog). Il governo attualmente in carica è stato in possesso dei due terzi dei seggi per la maggior parte del tempo a partire dal 2010. Al momento della decisione del primo caso soltanto sei dei quindici giudici erano di nomina di questo governo, mentre attualmente tutti e quindici lo sono (per cui oggi si è soliti definire la Corte costituzionale ungherese come una packed court). Infatti, quattro di quei sei giudici hanno espresso il loro dissenso nel primo caso, mentre gli stessi quattro hanno fatto parte della maggioranza nel secondo caso. I restanti due giudici invece hanno espresso il loro dissenso nel secondo caso (insieme ad altri quattro non ancora in carica nel 2012), ma non nel primo. Perciò, anche se formalmente non si tratta di un overruling, almeno non secondo la maggioranza della Corte stessa, è chiaro che c’è stato un cambio di orientamento.
Senza soffermarsi sugli ulteriori dettagli del caso, leggendo la decisione qui presentata si può osservare che la giustizia costituzionale ungherese è cambiata radicalmente negli ultimi anni. Il cambiamento del contesto normativo che regola le competenze e la composizione della Corte costituzionale ha provocato una graduale trasformazione della sua giurisprudenza, sia nella sostanza che nello stile. La Corte, diventata famosa negli anni Novanta per il suo approccio attivista, mostra una crescente deferenza al legislatore e chiusura nei confronti delle fonti sovranazionali. Da questo punto di vista la decisione sui diritti delle persone senza fissa dimora è emblematica.
La motivazione asserisce senza lasciar dubbi che il parametro del controllo di costituzionalità è la nuova Legge Fondamentale, „il cui contenuto non può essere giudicato” dalla Corte (par. 53). In realtà, come hanno spiegato due ex giudici costituzionali nel loro amicus curiae, la possibilità di giudicare la legittimità del nuovo art. XXIII, terzo comma, della LF ci sarebbe stata, sia dal punto di vista procedurale che da quello sostanziale. Per il giudice dissenziente Juhász la Corte è andata comunque oltre le proprie competenze, e avrebbe violato il principio di separazione dei poteri stabilendo un requisito costituzionale (l’esenzione dalla pena nel caso in cui non sia assicurato il collocamento in una struttura di assistenza) (par. 162). Sempre sulla linea del self-restraint, la Corte afferma anche che l’efficenza del funzionamento del sistema di assistenza sociale non può essere oggetto di controllo di costituzionalità (par. 63) se non al fine di stabilire un livello minimo di assistenza (par. 108).
Inoltre, nonostante i numerosi riferimenti a trattati internazionali e alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo sia nella Decisione 38/2012 che in un amicus curiae presentato da un gruppo di organizzazioni non governative, la Corte omette qualsiasi riferimento a qualsiasi fonte sovranazionale. Dal 2014 non è più membro della Corte neanche Péter Kovács, professore di diritto internazionale, che con le sue opinioni separate arricchiva le sentenze con riferimenti a fonti sovranazionali ed analisi fatte sulla base di esse. Adesso tali analisi non si trovano neanche nelle opinioni separate.
La parte più importante della decisione dal punto di vista dello sviluppo giurisprudenziale rimane senz’altro il ragionamento circa il diritto alla dignità umana delle persone senza fissa dimora. In sintesi, interpretando la (pur inconsistente) motivazione della maggioranza dei giudici costituzionali attualmente in carica, il diritto all’autodeterminazione e la libertà d’azione, i quali derivano dal diritto alla dignità umana ma non costituiscono il nucleo essenziale di esso, possono essere limitati per salvaguardare l’ordine pubblico, e l’uso delle aree pubbliche secondo la loro destinazione (prevista dalla legge) sarebbe un „valore costituzionalmente protetto” che rende una tale limitazione necessaria. Poiché la disciplina prevede di iniziare il procedimento di contravvenzione soltanto in caso di mancata collaborazione da parte della persona senza fissa dimora, cioè in ultima ratio, la limitazione sarebbe non solo necessaria, ma anche proporzionata (par. 100). Con questa argomentazione la Corte costituzionale ungherese ha dimostrato, e non per la prima volta, che è in sintonia con l’ideologia conservatrice rappresentata dal governo attualmente in carica.