La delimitazione del legal privilege nell’ordinamento dell’Unione europea: il “peso” della comparazione
Con sentenza resa il 14 settembre 2010 nel caso Akzo Nobel, la Corte di giustizia ha fornito una nuova chiarificazione circa i limiti che l’ordinamento dell’Unione europea riconosce al legal privilege nell’ambito dei procedimenti antitrust.
Nell’ordinamento dell’Unione, il legal privilege assume il rango di principio generale in virtù del quale, nell’ambito dei procedimenti di indagine svolti ai sensi del Regolamento n. 1/2003/CE, le comunicazioni tra avvocato indipendente e impresa, finalizzate all’esercizio del diritto di difesa, sono coperte da segretezza così come affermato dalla Corte nella sentenza AM&S del 1982. Tale principio è espressione del bilanciamento tra diritto alla riservatezza e diritto di difesa delle imprese, da un lato, ed esigenze di tutela della concorrenza, cui tendono le indagini delle autorità antitrust, dall’altro. Come ricordato dall’avvocato generale Kokott nelle conclusioni rese nella causa in commento, il legal privilege è riconosciuto in tutti gli ordinamenti degli Stati europei, in virtù di un’espressa disposizione legislativa o di un orientamento giurisprudenziale, sebbene la portata ed i criteri per la sua applicazione varino secondo le diverse discipline nazionali.
La questione posta all’esame della Corte nel caso Akzo Nobel riguarda l’interpretazione fornita dal Tribunale in merito al requisito dell’“indipendenza dell’avvocato”, quale necessario presupposto per l’applicazione del legal privilege. In proposito le parti ricorrenti avevano sollecitato un revirement della giurisprudenza in materia alla luce di due ordini di argomenti: il primo atteneva alla possibilità di pervenire a un’interpretazione estensiva della sentenza AM&S; il secondo, svolto in via subordinata, tendeva a ottenere il superamento della tradizionale concezione del legal privilege in considerazione dell’evoluzione degli ordinamenti dell’Unione e degli Stati membri in ambito antitrust.
In merito all’interpretazione della sentenza AM&S, è stato chiesto in particolare alla Corte se il legal privilege si estenda anche alle comunicazioni tra impresa e in house legal counsel. In proposito la Corte conferma quanto rilevato dall’avvocato generale Kokott, ribadendo che solo l’avvocato esterno può essere considerato “indipendente”: egli, infatti, a differenza dell’in house counsel, non è legato all’impresa da alcun vincolo gerarchico e strutturale, vantando, dunque, una certa autonomia rispetto alle sorti della società.
Per quanto concerne il secondo argomento, è stata proposta un’interpretazione evolutiva del principio del legal privilege e, dunque, un’estensione dello stesso alle comunicazioni tra imprese e in house legal counsel, sulla base dell’evoluzione intervenuta, negli ordinamenti nazionali e dell’Unione, in seguito al processo di modernizzazione impresso dal Regolamento n. 1/2003/CE.
Nel respingere anche tale argomento, la Corte, in primo luogo, ha confermato l’esame comparatistico effettuato dal Tribunale in relazione agli ordinamenti dei ventisette Stati membri. Tale esame aveva riscontrato l’assenza di una tendenza generale verso l’assimilazione di giuristi d’impresa e avvocati esterni, avendo rilevato che nella maggioranza dei Paesi membri tali figure rimangono distinte e non assimilabili sotto molti aspetti, tra cui quello inerente all’iscrizione all’ordine professionale.
In merito al possibile rilievo dell’evoluzione del diritto antitrust dell’Unione e negli Stati membri, la Corte ritiene, inoltre, che le innovazioni intervenute in seguito al caso AM&S non siano, comunque, tali da consentire di estendere il legal privilege alle comunicazioni dei giuristi d’impresa.
Su tali basi, la Corte giunge a confermare l’attualità dei confini del legal privilege, delineati trent’anni prima nella pronuncia AM&S. è interessante notare come la Corte sembri subordinare la possibile estensione del legal privilege all’emersione di una tendenza in tal senso favorevole nella maggioranza degli Stati membri. Ci si può chiedere, al riguardo, se il peso attribuito agli ordinamenti nazionali (peraltro secondo un criterio numerico, che non dà evidenza delle ragioni sostanziali della minoranza) non sia “eccessivo”: il dubbio sorge considerando che la Corte è stata chiamata a definire il legal privilege come principio proprio del diritto dell’Unione, attinente alla tutela dei diritti fondamentali incisi dai poteri di indagine attribuiti, alla Commissione europea ed alle autorità antitrust nazionali, ai sensi del Regolamento n. 1/2003/CE.